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Le donne, gocce di un unico mare. Ritratti in altorilievo dall'altra metà del cielo firmati da Adele Lo Feudo


Adele Lo Feudo, Volto di Ilaria Alpi

“Gocce di un unico mare siamo noi.
Materia che si plasma,
trasforma;
acqua che la trasporta
come in un vortice di vita,
emozioni, ricordi,
a testimoniare che siamo :
gocce di un unico mare.”

Adele Lo Feudo

“Gocce di un unico mare,
Donne che hanno lottato per i loro diritti,
mettendo a repentaglio la loro stessa vita
come un mare in tempesta,
ci donano come delle madri
una vita piena di pace,
proprio come il mare con la sua immensa calma,
ci culla con le sue onde.
grazie per tutto quello che avete fatto.”

Mariana Polisena

 
 

di Stefano Maria Baratti

La pittrice Adele Lo Feudo – artista di origine cosentina, tuttavia tra le più singolari nell’odierno panorama umbro – collabora con la stilista modenese Mariana Polisena alla realizzazione di una mostra collettiva che reca il significativo titolo di «Gocce di un unico Mare», una polivalente rassegna che abbina arte e moda riunendo da un lato ventuno ritratti monocromatici di donne, magistralmente eseguiti con tecnica acrilica da Lo Feudo, e dall’altro sei vestiti d’epoca, frutto di un percorso scolastico di modellistica sartoriale di Polisena (fatta eccezione di un originale indumento della pittrice italiana Juana Romani, 1867-1924).
Il leit motif della rassegna è il volto femminile, diventato una sorta di mappa, una carta topografica su cui leggere il destino di personaggi dell’antichità, celebrità dello spettacolo, protagoniste femminili che hanno rivoluzionato il mondo nel campo della politica, della letteratura, delle arti e della scienza, ma anche di gente comune, il cui unico ruolo di madri o impiegate è stato, nonostante tutto, momento fondativo della coscienza universale tra i legami individuali di tutte le donne. Ed è proprio questa osmosi tra donne illustri che si sono impegnate in imprese titaniche per il progresso sociale e culturale – e tra quelle comunemente relegate a un anonimato di casalinghe o madri, che si basa la novità in assoluto di questa mostra che richiamando l’attenzione sul mondo femminile rende altresì omaggio, e ne valorizza, la propria emancipazione.

Adele Lo Feudo, Volto di Ilaria Alpi

Senza contestualizzare e nemmeno individuare le fonti figurative a cui si è ispirata l’artista nella fase di selezione dei suoi soggetti, Adele Lo Feudo delinea un perimetro di un portato emozionale votato all’identità di ciascuna donna tramite un ritratto che – quasi in sintonia con il concetto di iconologia funeraria – fa da garante alla sopravvivenza della propria individualità (solo un ritratto, quello di Franca Viola, la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore, è ispirato a un personaggio vivente).
In quest’ottica, i ventuno ritratti sono dei contributi che si pongono nel solco di una riflessione caratteristica dell’estetica dei «Fayum», i ritratti su tavole pittoriche apposte sulle mummie che riproducevano in modo realistico le fattezze di defunti nell’antichità dell’Egitto romano. La variegata gamma che compone il corpus della mostra di Adele Lo Feudo sotto molti aspetti manifesta delle affinità con questi ritratti romano-egizi, che nella loro frontalità d’impianto si saldano alla struttura di un pensiero già condiviso dallo scultore Alberto Giacometti, che sosteneva fossero immagini «inchiodate da vive di fronte alla morte», un concetto ripreso anche dallo scrittore francese Jean-Christophe Bailly: «Non aspettano nulla, sono lì, senza peso, senza leggerezza, senza passare o spegnersi. Resistono, resistono all’infinito. Senza alcuna affettazione, senza atteggiamenti, resistono alla complicità e persino al fascino».
Adele Lo Feudo, Volto di Benazir Bhutto

 
Le ventuno opere di Lo Feudo, nei limiti di un approccio meramente tecnico e meticolosamente analitico, offrono oltremodo delle similitudini con le opere del miniaturista di moda Giambattista Gigola (1767-1841), i cui ovali ritraggono su avorio frontalmente dei soggetti di personalità a lui contemporanee in un genere allora molto in voga che si rifaceva soprattutto agli esempi di Rosalba Carriera e Anton Raphael Mengs. Questo tema centrale nella rivelazione di identità individuali, un genere silenzioso di soggetti che non cerca né di parlare né di esprimersi, fa parte di una ritrattistica che eventualmente sarà rimpiazzata dall’avvento del procedimento fotografico conosciuto come «dagherrotipo».
Orientata dal gusto personale della moda dell’epoca, la stilista Mariana Polisena produce gli abiti di sei soggetti ritratti da Adele Lo Fuedo, quelli di Elsa Schiaparelli, Amelia Earhart, Emmeline Pankhurst, Benazir Bhutto, Edy Lamarr e Pina Bausch, mettendone in luce l’importanza delle potenzialità sceniche degli indumenti, e soffermandosi sulle tendenze contemporanee come possibile liaison tra le linee della moda e lo stile del ritratto. Questo binomio tra arte e moda, offre un’esigenza estetica che tuttora sembra ben lungi dalla possibilità d’esaurirsi, e costituisce uno dei vari ambiti di un discorso culturale in piena attualità, vale a dire quello di una realtà «ibrida» della moda e della sua capacità fascinatoria che per Roland Barthes rappresentava il codice estremo dell’estetica sociale.
Adele Lo Feudo, Volto di Emmeline Pankhurst

«Gocce di un unico Mare», il titolo ideato dalla stessa Adele Lo Feudo, ravvisa specificatamente una tematica di un universo femminile, quasi un componimento haiku, dove l’enunciazione di una breve lirica capovolge e sintetizza in una o due righe l’intero universo, dall’esperienza di un trauma personale (“gocce”), si raggiungono mete universali e senza tempo (“mare”), riunendo una serie di ritratti dove non è più estranea la soggettività di ciascuna donna, ma si ricompone una pluralità di significati che rende partecipi di un «tutto».
Quasi inconsciamente Adele Lo Feudo e Mariana Polisena ripropongono nei dipinti e negli abiti di queste donne quell’anima universale, in cui sia Platone che Plotino solevano trasferire le nostre «gocce» in uno spazio immortale e divino, quello appunto di un «unico mare».