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Architettura – Quando furono inventati vetri e vetrate per le finestre?



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di Sandra Baragli

Un’interessante ricerca, opera della storica dell’arte Francesca Dell’Acqua, risale alle origini della vetrata medievale, scoprendo che in realtà niente di nuovo era stato inventato nel Medioevo e che un filo sottile congiunge le vetrate medievali all’epoca romana.
Chi non è rimasto incantato davanti alle splendide vetrate delle cattedrali medievali come quelle di Chartres o della famosissima Sainte Chapelle? Grandi scrittori del passato ne rimasero affascinati. Già agli inizi del V secolo il poeta Prudenzio definiva il meraviglioso effetto delle vetrate di San Paolo fuori le mura, a Roma, simile a quello dei prati fioriti a primavera (“sic prata vernis floribus renident”), ma la lista di versi e pensieri che scrittori e filosofi dedicarono ai mirabili effetti della luce filtrata dal vetro colorato è lunghissima; celebre, tra tutte, la splendida descrizione fatta da Proust delle vetrate della cattedrale di Combray. Ancora oggi il vetro, frutto del fuoco, continua ad affascinare esercitando una sorta di “attrazione fatale”, la stessa che ha guidato l’autrice di questo lavoro nel corso degli anni. La tecnica legata alla produzione delle vetrate fu in età medievale così importante da diventare tra il XII e il XIII secolo una sorta di “tecnica-guida”, con la quale venivano sperimentate nuove forme di comunicazione, modello per la stessa pittura su tavola, per la miniatura e per gli smalti che ornavano vasellame liturgico. Per lungo tempo gli studiosi si sono interrogati sull’origine delle vetrate, che era stata collocata , pur con molti dubbi, in età carolingia.

La situazione appariva, tuttavia, piuttosto complicata: il ciclo dei “Profeti” della cattedrale di Augusta in Baviera si presentava come il più antico e completo ciclo di vetrate figurate. Ma esattamente alla stessa epoca risale un famoso trattato sulle arti e sulle tecniche, il “De Diversis artibus”, scritto da un monaco tedesco, noto con lo pseudonimo di Teofilo, che dedicava un intero capitolo all’arte delle vetrate raccogliendo insegnamenti doviziosi che lasciano intravedere alle spalle una lunga tradizione. Questa riflessione condusse gli studiosi dell’Ottocento a ripercorrere le fonti scritte del primo Medioevo al fine di rintracciare notizie sulle vetrate che fossero anteriori alle cattedrali romaniche e gotiche. E in effetti nei testi altomedievali non mancano citazioni di vetrate e maestri vetrai, che vengono così a provare l’antichità della tecnica. Ciò che mancava a questo punto per avere “una nuova immagine della vetrata” (come l’autrice intitola il capitolo conclusivo del libro) erano le testimonianze materiali da confrontare con quelle scritte. Soltanto da qualche decina d’anni, grazie al metodo stratigrafico e alle nuove tecniche archeologiche, si è cominciato a considerare i piccoli frammenti di vetro che provenivano dagli scavi – un tempo considerati privi di interesse – come importanti testimonianze di un passato da riscoprire; e proprio lo studio di questi frammenti ha permesso di riportare molto più indietro nel tempo la storia della vetrata.
Così gli scavi delle chiese dei monasteri di Jarrow e di Northurberland in Inghilterra, di San Vincenzo al Volturno e di Farfa in Italia, di Saint-Denis e Rouen in Francia, di Paderborn in Germania o Müstair in Svizzera – solo per citarne alcuni – hanno permesso di ricomporre un interessante puzzle e, cosa un tempo impensabile, il confronto tra le fonti e l’archeologia ha svelato che la storia della vetrata in Occidente comincia nei primi secoli dell’Impero romano. Indubbiamente le vetrate hanno quale principale funzione quella di proteggere dalle intemperie e di lasciar al contempo penetrare la luce solare; possono esaltare lo spazio filtrando la luce attraverso i vetri colorati; infine, per quanto riguarda i contesti sacri, hanno anche un importante valore simbolico. Nello sviluppo artistico della vetrata vi è una differenza fondamentale tra gli esempi anteriori al 1000, che erano di vetro colorato ma raramente dipinto, quasi dei mosaici di pannelli geometrici – quindi con un ruolo legato esclusivamente all’architettura dell’edificio – e quelli che a partire dal XII secolo circa rivestiranno nell’Europa occidentale un ruolo tale da dettare orientamenti stilistici nella pittura, nella miniatura, negli smalti, con il comparire di immagini sacre, narrate con abile raffinatezza da capaci maestri sulla duttile superficie fatta di vetro e di piombo. Un ruolo essenziale nella produzione delle vetrate, sia nel Basso Medioevo sia nei secoli precedenti, è ricoperto dalla figura del committente, che investe somme considerevoli di denaro in questo prezioso manufatto, per la cui esecuzione spesso cerca personalmente abili esecutori.

 
La produzione delle vetrate, del resto, come la promozione dell’attività edilizia e delle opere d’arte in generale, è stata da sempre una forma di dimostrazione del prestigio di chi se ne faceva carico. Le vetrate, così come i marmi policromi e i mosaici, decoravano sin dall’antichità contesti prestigiosi e raffinati. La scelta di schermare le finestre con il vetro, oltre che per la nota insuperabile capacità di penetrazione della luce, fu soprattutto estetica, in quanto esistevano anche griglie di metallo e stucco, pergamena, panni cerati e legno, per separare le architetture dagli agenti esterni. Un momento fondamentale nella storia della produzione vetraria è il I secolo d.C., quando sulle coste siro-palestinesi venne messa a punto la tecnica della soffiatura. Essa rivoluzionò infatti l’industria vetraria: mentre prima la tecnica più diffusa per la manifattura delle lastre da finestra era quella della colatura del vetro fuso in stampi, che creava un vetro spesso e trasparente, ora la soffiatura permetteva tempi più rapidi di esecuzione e quindi risultava più economica e pratica. Essa consisteva nel soffiare una certa quantità di vetro con una canna di metallo forata, con il risultato di produrre un materiale più sottile. La soffiatura giunse in Occidente attraverso artigiani mediorientali. Le lastre di vetro a chiusura delle finestre vennero presto adottate sia in edifici pubblici sia privati dell’Impero, come dimostrato dai reperti di Ercolano e Pompei e da autori latini, come Marziale o Plinio il Giovane, che ne parlano nelle loro opere. All’epoca di Costantino le vetrate erano ormai diffuse per arredare terme e basiliche: poste in amplissime finestre su telai di legno a griglia, costituite da pannelli di forma geometrica, colorate di verde, azzurro, marroncino e giallino. Per gli edifici più ricercati erano invece utilizzate vetrate da colori più intensi (la cosa esigeva una lavorazione più complessa, con l’aggiunta di vari metalli nel composto vetroso). Nonostante la crisi legata alla caduta dell’Impero romano, tra IV e VI secolo d.C., vetro colorato sembra essere stato impiegato per proteggere ed abbellire le finestre delle principali basiliche occidentali anche nei centri minori, ad esempio nell’arco alpino.


Si trattava probabilmente di vetrate ancora simili a quelle tardoantiche di gusto geometrico e prive di pittura, concentrate nelle finestre absidali, in concomitanza con il fulcro della celebrazione eucaristica. Il fatto che talvolta siano stati ritrovati dagli archeologi frammenti di vetro dai colori smaglianti ha fatto supporre che in questo periodo in alcuni casi venisse utilizzato vetro importato dal Medioriente. La vetrata dipinta, assemblata attraverso canaletti di piombo, fece invece la sua apparizione in Occidente all’epoca di Carlo Magno, quando le vetrate si animarono di personaggi sacri accompagnati da iscrizioni che ne spiegavano il nome, come è stato possibile dedurre dai frammenti dipinti rinvenuti nei territori di quello che fu l’Impero franco. Fonti archeologiche e letterarie attestano la presenza di vetrate anche in edifici italiani e bizantini del pieno Medioevo, ma soltanto tra il tardo XI e la prima metà del XII secolo nelle chiese romaniche compaiono i primi grandi cicli.
Tra questi, importantissimo, il già citato ciclo dei “Profeti” della cattedrale di Augusta, con le figure dai colori vivaci, rappresentate in grandezza quasi naturale. A partire dal XII secolo, nelle vetrate vengono rappresentati soggetti tratti dal Vecchio e Nuovo Testamento; talvolta vi appaiono anche i committenti ed eccezionalmente gli artisti, come il famoso maestro Gerlachus, che si rappresenta nella vetrata dell’abbazia di Arnstein an Lahn (ora presso il Westfälisches Landesmuseum di Münster) attorno al 1150 ca. Le vetrate a contenuto narrativo, che il fedele doveva osservare attentamente per comprenderne il significato, venivano appositamente allogate nei livelli più bassi, mentre i singoli personaggi sacri trovavano posto nei livelli più alti. Nel XIII secolo, ormai affermatasi la realtà comunale, con l’emergere di nuovi ceti sociali artigiani e mercantili, compaiono nelle vetrate anche soggetti profani, spesso chiaro veicolo di messaggi politici. Sono di questi anni le celeberrime vetrate di Chartres, dove tra i soggetti rappresentati appaiono le attività artigianali, simbolo dell’evoluzione avvenuta nella società medievale, in cui gli artigiani affermano attraverso il finanziamento della vetrata la propria dignità di uomini liberi e l’acquistato prestigio sociale. Ma con le vetrate romaniche e gotiche finisce il “passato segreto” delle vetrate per periodi più conosciuti ed indagati. La storia della vetrata narrata da Francesca Dell’Acqua presenta una quantità di fonti archeologiche e scritte (ampiamente commentate) che va ben oltre la descrizione dei singoli rinvenimenti di vetro da finestra tardoantico e altomedievale, comprendendo anche un’analisi storica, economica e sociale che arriva a descrivere il mondo dei vetrai, artefici di tali capolavori. Il confronto tra una così grande quantità di testi, così diversi, per un periodo così lungo (quasi sette secoli) non poteva non portare nuovi interessanti stimoli e risultati.
Da esso emerge, oltre ad un ampliamento dell’area interessata dalla presenza di vetrate (con un ruolo importante dell’Italia prima impensato), una nuova visione dell’architettura altomedievale proprio grazie alle vetrate, con la loro meravigliosa capacità di filtrare e colorare la luce. E se, come afferma l’autrice, “la storia della vetrata nell’Occidente mediterraneo, a riscatto di quel destino silenzioso alla quale era stata relegata dalla letteratura specialistica moderna, in realtà sia tutta ancora da scrivere”, possiamo affermare che questo lavoro, che prende spunto per la metodologia dai precedenti studi di Richard Marks (“Stained glass in England during the Middle Ages”, Londra, 1993) ed Enrico Castelnuovo (“Vetrate medievali. Officine, tecniche, maestri”, Torino, 1994), ne viene a costituire ora un tassello fondamentale.
Francesca Dell’Acqua, “Illuminando colorat. La vetrata tra l’età tardo-imperiale e l’alto medioevo: le fonti, l’archeologia”, Spoleto, Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, 214 pagine, Euro 80