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di Jaqueline Ceresoli
Nell’arte la moda è di moda, ma questa non è una novità. Infatti il rapporto simbiotico e di scambio tra le due espressioni creative nasce con le avanguardie storiche del Novecento, per culminare nella babilonia degli ibridi stilisti post-contemporanei. I Futuristi, interdisciplinari per eccellenza, furono tra i primi ad intuire le potenzialità estetiche del vestire colorato, anticonformista, e a subire il fascino dell’abito: icona metamorfica di sé, che appaga il desiderio di apparire diversi.
Negli anni Trenta, con Elsa Schiapparelli, l’arte s’indossa con abiti ed accessori “surrealisti” creati con la collaborazione di amici artisti; negli anni Sessanta, con Warhol, l’arte diventa merce, esattamente come gli abiti e gli accessori. In quel tempo di massificazione e di rivoluzioni giovanili, Julie Schafler fonda Art to Wear, movimento statunitense che considera l’abito come forma d’arte inossidabile, ispirandosi alle culture orientali e alle società primitive che non differenziavano l’arte dall’artigianato.
Dal 1996, con la manifestazione della Biennale dell’Arte e della Moda di Firenze, si esplorano le corrispondenze creative tra due linguaggi che hanno lo stesso fine: comunicare estetiche. Nel marzo del ’97, dopo Firenze, la mostra Arte/Moda, che presentava una sezione storica sui rapporti tra i due linguaggi, è stata portata al Guggenheim Museum Soho di New York. Nel 1992, la rivista inglese Dazed & Confused aveva cercato di approfondire le corrispondenze tra arte e moda, mettendo in discussione il valore di entrambe, pubblicando collezioni che erano qualcosa di più che la semplice messa in scena di tagli sartoriali più o meno vendibili. Oggi, è inutile negarlo, arte e moda hanno in comune non l’unicità, ma il mercato, l’artificio, la finzione e la simulazione di mondi e modi immaginari; insomma condividono la passione per l’immateriale, l’inorganico, che sono strumenti dell’immaginazione e una necessità per fare business.
Nel 2000 Armani espone al Metropolitan di New York, e da allora anche gli stilisti diventano guru dell’innovazione. Che dire poi di Capucci, Ferrè, Rabanne, McQueen e l’ultimo grido della moda: le scarpe firmate, lussuose come gioielli e presentate come autentiche opere d’arte? In linea di massima, nessuno mette in discussione il valore artistico della moda, mentre pochi onesti, riconoscono l’arte come puro fenomeno di mercato legato al business di collezionisti, galleristi e musei che creano la moda dell’arte contemporanea, divenuta un oggetto di lusso come le borse di Gucci o di Hermes. La moda e l’arte sono sempre più legate dall’esigenza della spettacolarità.
Il nuovo millennio nato nel segno dello spazio e del tempo liquidi (la definizione “modernità liquida” è di Bauman), ha sciolto le distanza tra i linguaggi: così l’artista e lo stilista si scambiano codici visivi mescolando ispirazioni e soluzioni formali, lavorando sistematicamente alla trasformazione del valore artistico in valore economico. Entrambi sono presi nella morsa del tempo effimero, spinti dall’esigenza di promuovere i loro “prodotti”, come prova della loro qualità. La moda sta all’arte, come il mercato alla comunicazione; tutto esiste solo nel momento in cui lo si comunica. Diceva Chanel: “La differenza tra la moda e l’arte sta in questo: che un oggetto di moda è bello subito e col tempo diventa insopportabile, mentre un’opera d’arte è brutta subito e col tempo diventa bella “. Ebbene, quella frase è obsoleta, poiché nel secolo scorso non era di moda il vintage e l’interdisciplinarietà dei linguaggi artistici era una provocazione. Nel passato i nuovi canoni estetici si codificano in un tempo più o meno lungo, oggi il cambiamento è immediato e necessario.
L’arte e la moda “remix” sono affette dallo stesso virus della novità forzata, l’imperativo della creatività. L’effimero e la superficialità si sono sostituiti ai valori di eternità e di permanenza dell’opera d’arte, divenuta prodotto che segue, necessariamente, le leggi del mercato. Snobismi pseudo-intellettuali a parte, sappiamo che l’arte e la moda, oltre a registrare l’evoluzione dei gusti e a riflettere lo spirito del tempo, sono beni di consumo di lusso.
Il nostro tempo sembra ossessionato dall’idea di trovare un modo riconoscibile per immortalare uno sguardo pluralistico sulle cose, come manifesto di scambiabilità e simultaneità tra naturale e artificiale. La nostra stravaganza espressiva avvalorata dalla tecnologia è alla base della ricerca progettuale della creatività contemporanea. Arte e moda propongono sogni di seduzioni perenni con strategie estetiche, diverse ma parallele, che sono come la “chirurgia estetica” dello sguardo.
L’attuale Modar (sintesi tra moda e arte) si propone come arte del contemporaneo che riformula il quotidiano, la vita, in termini artistici. Nella nostra epoca globale questa formula espressiva è adatta per definire il Dna della progettualità ibrida, alla ricerca di codici identitari riconoscibili. Arte e moda corrono il rischio di un’assuefazione contemplativa, stanno perdendo l’aura chic dell’unicità, simili nella rappresentazione del divenire anziché dell’essere, realizzabili nell’inorganicità dell’immagine piuttosto che nella realtà del materiale. Lo sconfinamento e l’intreccio dei linguaggi parte dall’Astrattismo, dalle teorie di Kandinskji, dall’idea di arte totale dei futuristi, dall’interdisciplinarietà del Bauhaus, continua con i Dadaismo e il Surrealismo, culminando con Fluxus, che ricercava un modo di rappresentare il divenire delle cose nel corso del tempo. Lo spirito di mutazione è l’argomento principale della moda, ed è il filone trendy di ricerca fertilissima sull’arte contemporanea dalla body art ad oggi, come rivelano Orlan, Goldin, Beecroft, Sissi, Morimura, Sherman, Sterback, Kaoru, Olaf, Eyre, Godber, Cohen e tanti altri autori che si ispirano al mondo patinato ed estetizzante degli atelier.
Matthew Barney è l’artista trasformista per antonomasia, capace di articolare percorsi interdisciplinari, mescolando pittura, cinema, fotografia, moda, scultura, video per incarnare il mito del bodymorphing contemporaneo.
L’arte, come moda, promuove nomadismo, lateralità, sconfinamento ed evoluzioni di sguardi sulle possibili bellezze che il nostro immaginario progetta. Arte e moda, alleate in una sorta di patto di “estetica diffusa”, promettono, bellezza, e sono due facce della stessa medaglia che racconta il presente nel quale l’identità, con la seduzione e il desiderio, è divenuta un parametro emblematico per misurare il conflitto tra virtuale e reale. L’ossessione della modernità è estetica: arte e moda reclamano modifiche costanti del corpo, del viso, maschere della giovinezza, come l’architettura e l’urbanistica s’impongono sulla natura violandola con costruzioni artificiali. Oggi riconosciamo un valore artistico alla moda quando raggiunge effetti di spettacolarità e di grande diffusione fino a condizionare i nostri sguardi, educati a pensare “ a spot” anche l’identità multimediale dell’era in cui viviamo
Cos'è Modar? E' l'arte che si fonde con le creazioni di moda
Il rapporto simbiotico e di scambio tra le due espressioni creative nasce con le avanguardie storiche del Novecento, per culminare nella babilonia degli ibridi stilisti post-contemporanei. I Futuristi, interdisciplinari per eccellenza, furono tra i primi ad intuire le potenzialità estetiche del vestire colorato, anticonformista, e a subire il fascino dell’abito