di Beatrice Avanzi
In occasione della mostra “Intorno agli Induno”, “Stile” ha intervistato Sergio Rebora, curatore della rassegna con Mariangela Agliati Ruggia.
La mostra ospitata dalla Pinacoteca Züst di Rancate analizza la vicenda dei fratelli Induno e l’influsso che costoro esercitarono sui pittori ticinesi della metà dell’800. Al nome dei fratelli Induno è legata l’affermazione della pittura di genere in Lombardia. Qual è il percorso che li portò all’elaborazione di questo tipo di pittura?
E’ un percorso contrassegnato da un incedere lento, che guarda in direzioni diverse, perché si basa oltre che sul lavoro svolto nell’ambito dell’Accademia di Brera, dove Gerolamo e Domenico compiono la loro formazione in momenti diversi (i due fratelli sono separati da una decina d’anni), sull’osservazione di altri modelli. A Milano, per esempio, Giuseppe Molteni, che fin dall’inizio degli anni Trenta comincia ad esporre a Brera scene di genere, oltre che ritratti. Ci sono poi i modelli d’oltralpe, tedeschi e austriaci (Peter Fendi, innanzitutto), ma anche altre influenze, messe in luce dal lavoro critico che è stato fatto negli ultimi anni: francesi, fiamminghe (non solo contemporanee) e inglesi. Dopo il 1848, infatti, gli artisti – e gli Induno tra i primi – mostrano una grande attenzione per quello che succede proprio in Francia e in Inghilterra, dove si recano in occasione delle Esposizioni Universali. Recepiti questi spunti, ne fanno un’elaborazione autonoma piuttosto precoce. E’ Domenico che agli inizi degli anni Quaranta comincia ad introdurre un’attenzione per gli elementi naturalistici e narrativi, e quindi per il “genere”, anche negli episodi “accademici”. In mostra c’è il quadro “Un episodio del diluvio”, che è un dipinto di soggetto biblico, ma trattato già con un’attenzione per il racconto e per la quotidianità.
La pittura di genere si ispira alla vita quotidiana degli umili con toni talora sentimentali, o didascalici, talora più leggeri e giocosi. Vuole illustrarci questi contenuti attraverso le opere in mostra?
Sì, ci sono varie tematiche, come lei ricordava, ed è già una grande novità che sia la vita quotidiana del “proletariato” contemporaneo ad essere presa in considerazione dalle arti figurative, e dalle arti in generale, come avviene in letteratura, per esempio, con Dickens. Un filone prioritario è quello della maternità, in particolare della maternità dolente. E’ un tema che è già presente nella pittura sacra dei secoli passati, ma viene attualizzato nell’800. Lo si vede in opere quali “Pane e lagrime”, “L’ultima moneta”, “La seconda nutrice” o in altri dipinti incentrati sulle reazioni sentimentali che il soggetto drammatico provoca. Un altro filone altrettanto importante, ma meno improntato al sentimento drammatico, è quello “folcloristico”, basato su episodi di vita contadina o proletaria più “giocosi”. E’ rappresentato da opere quali “La nonna” della Galleria d’Arte Moderna di Torino, dove sono rappresentati alcuni bambini che giocano con le stampelle della nonna, oppure “Il vecchio e il cane” del Museo Revoltella di Trieste. Sono soggetti, quindi, ben distribuiti tra il moralismo e il divertimento, che assecondano le reazioni dei committenti borghesi ai quali erano destinati.
A questi soggetti si affiancano le tematiche ispirate al Risorgimento – cui è dedicata un’altra sezione della mostra – su un duplice registro: da un lato le gesta belliche, dall’altro la ripercussione della storia sul mondo domestico e sugli affetti della gente più umile…
Sì, come altri artisti della loro epoca – ad esempio Eleuterio Pagliano e Sebastiano De Albertis – gli Induno condividono gli ideali del Risorgimento. Gerolamo partecipa in prima persona alle battaglie, dalla difesa della Repubblica Romana alla seconda Guerra d’Indipendenza, ed è un garibaldino accanito, insieme al cognato Angelo Trezzini, che è presente in mostra. Nei loro dipinti celebrano i fasti e i successi di queste campagne. In alcuni casi le opere sono sincroniche, ci sono studi e piccoli quadri che i pittori eseguono al momento – penso a quelli ispirati alla Campagna romana o alla Guerra di Crimea -. E poi ci sono le grandi composizioni monumentali, quadri celebrativi eseguiti dopo l’unificazione e destinati ad essere acquistati dalla casa regnante o dai musei e dai ministeri dell’Italia unita. Inoltre, come lei ricordava, c’è un altro ambito relativo alla raffigurazione di questi fatti, che è quello più letterario, più lirico, dove sono rappresentati episodi di quotidianità drammatica o sentimentale, quali l’addio del volontario alla mamma, alla fidanzata, o la lettera che arriva dal campo… Sono episodi in cui i fratelli Induno danno prova della loro alta capacità di regia e di racconto. Ne è esempio eloquente, in mostra, un capolavoro di Gerolamo come “Triste presentimento” della Pinacoteca di Brera.
La lezione dei fratelli Induno ebbe larga fortuna nel Canton Ticino, dove Domenico si era rifugiato dopo il 1848 per sfuggire alla repressione austriaca. Quali sono i protagonisti di questa vicenda presenti in mostra?
Ci siamo limitati a presentare gli artisti di origine ticinese o operanti nel Cantone, ma bisogna ricordare che gli Induno hanno avuto un grandissimo numero di seguaci e di imitatori. Tra i pittori presenti in mostra, il già citato Angelo Trezzini, cognato di Domenico, che sposò sua sorella Emilia. Il suo stile è molto vicino a quello dei due fratelli, soprattutto di Domenico, delle cui opere esegue anche alcune repliche e incisioni. Trezzini si è poi dedicato alla raffigurazione dell’educazione infantile, tema centrale negli anni Sessanta., condiviso anche da un altro artista che viene presentato per la prima volta a tutto tondo in quest’occasione, Bernardino Pasta. Altra riscoperta è Giuseppe Reina, originario di Como, di cui si conoscevano finora pochissime opere. Per completare meglio il quadro di questa circolazione di idee e stimoli reciproci abbiamo inoltre inserito alcune opere di Lorenzo e Vincenzo Vela, che erano molto amici degli Induno e con essi condividevano idee, modalità di lavoro, committenti, occasioni espositive.
La vicenda dei fratelli Induno fu accompagnata da uno straordinario successo di critica e di mercato. Come viene recepito oggi questo filone così particolare del nostro ’800 dal pubblico e dal mercato?
All’epoca il loro successo è stato clamoroso ed è stato molto forte ed indiscusso fino agli Anni Trenta, quando le loro opere continuavano a comparire alle vendite all’asta delle grandi collezioni che si erano formate nei decenni precedenti. Poi il gusto è cambiato e, benché l’opera degli Induno non sia mai stata messa in discussione da un punto di vista qualitativo, il loro repertorio d’intonazione moralistica e sentimentale è sembrato un po’ fuori tempo, lontano dalla sensibilità moderna. Però ora, grazie agli studi degli ultimi vent’anni, si è capito il grande rinnovamento che questi temi hanno portato, anche in parallelo al lavoro fatto dai letterati e dai poeti, che rientra in un gusto generale dell’epoca. Quindi la critica, accompagnata anche da una rinnovata filologia, sta attuando questo recupero almeno a partire dalla mostra di Firenze del 1974 sul Romanticismo storico, che ha mosso anche l’interesse per altre tematiche come, appunto, quella di genere. Il mercato dell’800, che ha gusti piuttosto tradizionali, ha invece sempre mantenuto un vivo interesse per questi soggetti rassicuranti, consolidati, che hanno sempre “sfondato”. I prezzi lo dimostrano, perché di fronte ai capolavori e ai quadri importanti, in cui è facile imbattersi spesso poiché gli Induno hanno prodotto moltissimo, i valori registrati sono stati molto alti.