di Giovanna Galli
Abbiamo rivolto alcune domande a Giandomenico Romanelli, ideatore e presidente del Comitato scientifico del progetto espositivo “Pollock a Venezia”, che, con la mostra personale dedicata al maestro americano al Museo Correr e la collettiva dal titolo “Gli ‘Irascibili’ e la Scuola di New York” allestita al Centro Culturale Candiani di Mestre, consente di compiere un viaggio nella cultura Usa dalla fine degli anni Trenta a metà degli anni Cinquanta.
A cinquant’anni dalla mostra personale organizzata per lui da Peggy Guggenheim nell’Ala napoleonica, Jackson Pollock torna al Museo Correr con questa importante esposizione. Quali sono i criteri che hanno informato l’organizzazione dell’evento?
Abbiamo ritenuto che proprio la ricorrenza di cui lei parla, ovvero il cinquantenario di quella storica, autentica primizia che fu l’esposizione organizzata per Jackson Pollock da Peggy Guggenheim nel 1950, fosse una buona occasione per riproporre un articolato percorso nell’opera di Pollock, artista divenuto ormai un classico assoluto, considerato un pilastro della divaricazione tra pittura europea e americana avvenuta nei primi decenni del secolo scorso. L’idea da cui siamo partiti era proprio quella di ricomporre la stessa selezione di opere – allora erano solo venti – integrandola e completandola, arrivando a presentare ben cinquanta pezzi, rappresentativi di tutto il suo cammino.
Vuole indicare ai nostri lettori quali sono state le fasi principali di questo cammino?
Il primo Pollock ha una formazione tradizionale, accademica, ma è un uomo particolarmente attento agli stimoli e alle suggestioni che provengono dal mondo che lo circonda. Immediato è ad esempio l’interesse che prova verso la cultura popolare degli indiani d’America, che resterà un riferimento importante per tutta la durata della sua ricerca artistica. Precoce è anche il fascino che esercitano su Pollock gli autori del realismo sociale messicano, come Josè Clemente Orozco e Diego Rivera, e nel linguaggio delle sue prime prove tali riferimenti appaiono in modo decisamente trasparente. Fondamentale è poi la “scoperta” di Picasso, avvenuta in occasione della mostra del 1936 sul Surrealismo europeo allestita a New York. L’incontro con Lee Krasner, che diverrà sua moglie, è altrettanto importante: sarà lei che, immediatamente convinta del suo talento, lo introdurrà negli ambienti più interessanti della metropoli presentandogli tutta una serie di figure di rilievo, tra cui De Kooning e la stessa Peggy Guggenheim. Gli anni Quaranta si caratterizzano per l’assimilazione del linguaggio delle Avanguardie europee, con il passaggio ad una dimensione espressiva completamente informale. Negli anni ’47, ’48, ‘49 Pollock perfeziona il suo stile basato sulla corrispondenza di segno e gesto, sviluppando quella che verrà definita Action painting, con l’adozione della tecnica del dripping, ovvero lo sgocciolamento del colore dal pannello o direttamente dal barattolo sulle superfici. Poi, nel 1950, partecipa alla XXV Biennale di Venezia, lui che era senz’altro il più “destrutturante” tra i protagonisti del panorama artistico americano. In quello stesso anno, Peggy Guggenheim organizza la prima mostra al Museo Correr.
Collateralmente alla mostra personale, il progetto “Pollock a Venezia” prevede anche un’esposizione parallela dedicata agli “Irascibili” e alla “Scuola di New York”.
Ci spiega chi erano questi artisti?
Un altro aspetto che ci sembrava importante trattare era l’analisi del fervido ambiente culturale in cui Pollock agì e che egli contribuì in larga misura a formare. In questa seconda mostra, ospitata al Centro culturale Candiani di Mestre, da poco inaugurato, proponiamo una cinquantina di opere degli artisti che vissero e lavorarono insieme a lui negli anni del secondo dopoguerra: Rothko, Dart, Gorky, Newman, De Kooning e via dicendo. Tra questi merita una citazione particolare proprio la moglie di Pollock, Lee Krasner, di cui pochi conoscono l’attività di pittrice (del suo talento fu estimatore Piet Mondrian, che la volle nell’American Abstract Association, all’interno della quale incontrò il tormentato futuro marito, ndr). Si tratta degli esponenti della cosiddetta “Scuola di New York”, protagonisti dell’Espressionismo astratto, a cui giungevano attraverso due fondamentali approcci: l’Action painting, dove l’impegno creativo è concentrato, come si diceva, sul rapporto gesto-segno, e la Color Field painting, basata più sul rapporto forma-colore. Nel maggio 1950, il Metropolitan Museum of Art annunciò il progetto di una mostra sulla pittura contemporanea americana che non li includeva. Diciotto di loro, tra cui Jackson Pollock, si fecero firmatari di una lettera di protesta che fu pubblicata sul “New York Times”, e che valse loro, appunto, l’appellativo di “Irascibili”.
New York è stata tra gli anni Trenta e Quaranta, al pari di Parigi in Europa, un polo cosmopolita di attrazione per gli artisti. Pollock è stato uno dei principali protagonisti di questa scena culturale…
A New York Pollock giunge nel 1930 dalla California; l’olandese De Kooning lo aveva preceduto di qualche anno, insieme al russo Rothko e all’armeno Gorky. Motherwell vi arrivò da San Francisco, Still dallo Stato di Washington, Baziotes dalla Pennsylvania, Smith dall’Indiana, mentre Newmann, Gottlieb e Lee Krasner erano nati lì. Tutti questi artisti, il primo nucleo della “Scuola di New York”, appunto, esprimono agli esordi della loro ricerca la forte determinazione a liberarsi dal provincialismo; e, attratti dalle innovative esperienze d’Oltreoceano, producono via via quella divaricazione, cui accennavo prima, tra la pittura europea e la pittura americana, che si fa indipendente, nella direzione di una sintesi espressiva originale, bastata sulla trasformazione dei colori e del segno in una metafora della condizione umana. E New York, da arretrata provincia del mondo dell’arte, ne diviene il suo centro più vitale, al pari di Parigi. Dall’inizio degli anni Quaranta, la pittura astratta diventa uno dei principali temi della Scuola, e l’esperienza di Pollock emerge in maniera prorompente, aprendo la strada agli esiti più maturi dell’Espressionismo astratto.
Vuole segnalare qualche opera di particolare interesse presente nelle due mostre?
Lo sforzo iniziale è stato quello di raccogliere il maggior numero possibile delle opere esposte nel 1950; ad esse si sono aggiunti pezzi provenienti dalle principali istituzioni museali del mondo (che li hanno in verità concessi molto volentieri); oltre a quelli della Collezione Guggenheim, abbiamo capolavori giunti da New York, Washington, Amsterdam, Lisbona, Monaco… Ci sono testimonianze del primissimo periodo di Pollock, negli anni Trenta, dove permane l’aggancio al figurativo e gli influssi degli altri autori sono leggibili in maniera chiara; e ci sono le opere mature, dove le novità stilistiche da lui introdotte si esprimono nel modo più compiuto (è il caso della serie dei “Senza titolo” della Guggenheim). Per quanto riguarda la mostra al Centro Candiani, sono stati selezionati i lavori delle personalità che hanno giganteggiato nel panorama di quegli anni, che sono state il supporto e il veicolo fondamentale di diffusione della cultura artistica americana. Mi piace sottolineare la presenza delle opere di Lee Krasner, che – non mi stanco di ribadirlo – fu pittrice di spiccato talento, oltre che l’impresario del marito.
La biografia
Una vita spericolata La ribellione, la dipendenza dall’alcool, l’attrazione per le filosofie orientali e la psicologia junghiana, la contiguità con le sperimentazioni musicali più avanzate, l’improvvisazione, la creatività immediata su un tema iniziale, lo sforzo di affrancamento dalle regole della forma, perfino la drammatica scomparsa, sono i tratti caratteristici emblematici che hanno reso presto Jackson Pollock un vero e proprio mito del secolo appena concluso. Considerato il massimo rappresentante dell’Action painting e dell’Espressionismo astratto, la sua ricerca ha rappresentato un momento importante della speculazione artistica del secolo scorso e la prima affermazione del mondo statunitense come nuovo centro dell’arte a partire dalla seconda metà del Novecento. Nato a Cody (Wyoming) nel 1912, Paul Jackson Pollock cresce in Arizona e California, dove entra in contatto con la cultura popolare pellerossa, che resterà sempre per lui uno dei riferimenti più significativi. A cavallo tra gli anni Venti e Trenta studia arte a Los Angeles e New York. Precoce è l’interesse verso la pittura sociale realista messicana. La grande mostra del Surrealismo europeo allestita a New York nel 1936, insieme alla “scoperta” di Picasso, gli consentono di abbandonare definitivamente le “provinciali” influenze americane. L’esempio di Gorky, Miró e del contemporaneo De Kooning contribuiscono ad accrescere il suo interesse per il segno e l’automatismo, come immediata espressione del proprio sentire. In questa fase non è ancora maturo il passaggio alla totale astrazione, e la sua espressione appare ancorata ad un vago naturalismo. L’incontro con la futura moglie Lee Kresner, avvenuto nel 1942, gli consente l’accesso agli ambienti più interessanti della Grande Mela (è lei, ad esempio, a presentargli De Kooning). Nel 1943 Peggy Guggenheim ospita nella sua galleria “Art of This Century” la prima personale di Pollock, offrendogli anche un contratto grazie al quale egli si può dedicare totalmente alla pittura, che nel frattempo approda a una piena dimensione informale. In questo periodo si osserva l’assimilazione del linguaggio delle avanguardie europee, unita a quella che sarà la componente più forte della sua arte: la carica segnica e gestuale. A partire dal 1947 utilizza tele sempre più grandi, e dal 1949 mette a punto la tecnica del dripping; e si comincia a parlare di Action painting ed Espressionismo astratto. Nel 1950 Pollock firma la protesta degli “Irascibili”; nello stesso anno partecipa con tre opere alla XXV Biennale di Venezia, e Peggy Guggenheim organizza contemporaneamente per lui, nella città lagunare, una mostra al Museo Correr. Nel 1956, Paul Jackson Pollock muore in un incidente d’auto.