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Studioso usa specchio leonardesco e traduce il mistero della Sfinge, adorata da un gruppo di legionari romani nel III secolo


Al centro, il disegno che rappresenta la Sfinge perduta. Alla nostra sinistra una sfinge greca simile, – ma mancante di iscrizione – molto più antica del pezzo studiato. A destra la sfinge di Pazyryk trovata nell’omonima località in tombe scitiche/saka dell’età del ferro, nella valle di Pazyryk nell’Altopiano di Ukok, tra i Monti Altaj (Siberia), a sud della moderna città di Novosibirsk (Russia), vicino ai confini con Cina, Kazakistan e Mongolia @ Peter Z. Revesz

di Redazione
Stile arte è un quotidiano di cultura, arte e archeologia fondato nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz

Nel corso della storia, il mondo è stato spesso sorpreso da scoperte archeologiche che hanno gettato nuova luce su antiche civiltà e culture. Un enigma che ha catturato l’attenzione degli studiosi per oltre un secolo riguarda l’iscrizione su una statua della sfinge in bronzo risalente al III secolo, scoperta nei territori dell’antica Dacia, corrispondente all’odierna Romania. Questo mistero, emerso nel XIX secolo, ha finalmente trovato risoluzione cento anni dopo.

La soluzione è stata trovata da Peter Z. Revesz – Professore del Dipartimento di studi classici e religiosi, College of Arts and Sciences e School of Computing, College of Engineering, Università del Nebraska-Lincoln – che per la decifrazione ha utilizzato un metodo leonardesco, quello dell’inversione speculare dell’immagine. L’iscrizione presentava infatti caratteri anomali. Perché? Lo studioso americano ha ipotizzato che quell’incongruenza grafica potesse essere originata da una scrittura ordinata al contrario, proprio come quella vergata dal maestro rinascimentale. E ha scoperto la frase. Poco sotto vedremo cosa dice. Prima raccontiamo le vicende della statua di bronzo.

La statua della sfinge di bronzo sulla quale appariva l’iscrizione – oggi il reperto risulta disperso, ma il pezzo fu documentato sotto il profilo disegnativo e livello di trascrizione dell’iscrizione – fu trovata in un campo del territorio romeno, durante lavori agricoli. A quell’epoca non esistevano le macchine fotografiche. E pertanto per documentare lo straordinario pezzo fu chiamato un disegnatore, che realisticamente, offrì un’immagine del pezzo e della misteriosa iscrizione sottostante. Il disegno fu poi copiato e inviato a diversi studiosi per un parere. Frattanto lo splendido reperto, che era divenuto proprietà di un nobile, venne rubato. Era il 1848. Da allora il pezzo è scomparso – e pare irreparabilmente -. Ma attorno a quel disegno e a una serie di indizi convergenti, gli studiosi stabilirono che la sfinge con iscrizione risaliva al III secolo.

La Dacia, un tempo parte del Regno dei Daci, era divenuta una provincia dell’Impero Romano nel 106 d.C. sotto il dominio dell’imperatore Traiano. Tuttavia, nel III secolo, le invasioni barbariche indebolirono il controllo romano, portando al ritiro dei Romani dalla regione intorno al 270 d.C. Successivamente, la Dacia passò sotto il dominio di diverse tribù e imperi, contribuendo a un passato complesso e stratificato.

Il mistero dell’iscrizione sulla base della statua ha alimentato la curiosità degli studiosi per anni. Tuttavia, solo di recente, uno studio pubblicato sulla rivista “Mediterranean Archaeology and Archaeometry” il 30 dicembre 2023 ha finalmente svelato la chiave per comprendere il suo significato.

Lo studioso ha scoperto che le lettere, erano scritte al contrario e in un alfabeto greco arcaico. Ha così prima creato un’immagine speculare e ha capito che le lettere erano sì greche, ma erano utilizzate, in modo fonematico, per trascrivere parole di un’altra lingua. La lingua utilizzata per l’epigrafe di è rivelata un ptoto-ungherese. Ed ecco i che il rompicapo si scioglie nella soluzione del mistero.

Tradotta in italiano, la frase suona così: “Ecco, adora: ecco il santo leone”.

La rivelazione del poema protoungherese ha sollevato ulteriori domande sulla natura della sfinge e del suo culto. La statua, unica nel suo genere, fornisce testimonianze di una religione minoritaria nell’Impero Romano.

“Sarà interessante capire – dice Maurizio Bernardelli Curuz – se la scritta al contrario fosse funzionale ad assecondare la natura misterica della Sfinge. Una scrittura ribaltata, con caratteri greci arcaici e parole incomprensibili – in proto ungherese – avrebbe spiazzato certamente coloro che non erano adepti del culto. Forse il “movente” di questa apparente stranezza fu proprio quello di velare il mistero della Sfinge, che è colei che si esprime solo attraverso enigmi”.

Lo studio completo  può essere scaricato in pdf, cliccando qui