Il quadro astratto di Apelle che era un cult per i Cesari
L'amore per l'arte concettuale ed astratta, rappresentata in un quadro, risale almeno ai tempi di Giulio Cesare. Due linee tracciate da Apelle su una ravola vuota suscitarono, come il taglio di Fontana, ammirazione e consensi. Oltre ai motivi di pulizia estetica che rasentavano l'ordine estremo del nulla, l'opera era ammirata anche perchè dotata di un'ottima griffe, quella del pittore greco Apelles ( Colofone ca. 375-370 a. C.– fine IV secolo a.C.). Attorno al quadro, come accade a certe opere astratte, fu tramandata o artatamente costruita dal mercante che aveva piazzato l'opera la narrazione di un vicenda prodigiosa sotto l'aspetto pittorico. Due linee indicavano l'autografia di Apelle. La terza era invece stata tracciata un un ottimo pittore di Rodi, Protagenes. Il grande Apelle, curioso di vedere le opere del collega, si era recato da lui, senza preavviso aveva trovato lo studio deserto. Una vecchia, che, da un cantuccio, svolgeva opera di sorveglianza dello studio, chiese ad Apelle chi fosse, così da poterlo dire al padrone, quando fosse tornato.
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