Tecnologie militari aprono le porte alla Golden Era archeologica. Quali sono le novità in campo

Dal rilevamento satellitare ai robot. Invece di rimuovere accuratamente uno strato alla volta per documentare e analizzare i siti nel corso degli anni, l'uso di scanner consentirà virtualmente di scavare i siti in poche ore, a distanza, connessi, senza intaccare lo stato dei resti archeologici o dell’ecosistema che li costudisce

Stiamo entrando nell’età dell’oro delle scoperte archeologiche in cui la tecnologia sarà il fulcro.
Oggi gli archeologi sono dotati dei più recenti strumenti tecnologici che consentono di identificare, in breve tempo, strutture nascoste.

Gli scanner laser (LiDAR) e le immagini satellitari stanno rivoluzionando il campo archeologico allo stesso modo in cui il telescopio spaziale Hubble ha rivoluzionato l’astronomia. Presto anche la robotica e l’intelligenza artificiale diventeranno una parte essenziale del campo, trasformando l’archeologia in una disciplina del futuro.Uno dei principali strumenti che trasformano l’archeologia è LiDAR (acronimo di Light Detection and Ranging). Lo strumento si basa su sensori laser che possono essere dispiegati dall’aria (in genere montati su elicotteri o droni), fornendo immagini 3D di rovine, anche quelle profondamente sepolte nella natura.

Animazione di una scansione 2D mediante LIDAR, Wikipedia

La sua accuratezza nel rilevare le caratteristiche nascoste si è dimostrata efficace, in particolare nell’America centrale e nel sud-est asiatico, dove interi insediamenti Maya e Khmer sono emersi dalla verde barriera tropicale.
Nella regione di Petén in Guatemala sono stati scoperti oltre 60.000 complessi abitativi, palazzi, autostrade sopraelevate, terrazze, mura difensive, bastioni e fortezze, rendendolo il più grande progetto LiDAR realizzato finora (2.100 chilometri quadrati).

Quelle erano le mega reti urbane dei tempi preindustriali: incredibilmente complesse, altamente urbanizzate, densamente popolate e interconnesse. Insieme ai reperti archeologici, l’indagine ha anche rivelato gli scavi di migliaia di pozzi. I siti sono nuovi per la comunità archeologica, ma purtroppo non per i saccheggiatori che rappresentano la più grande minaccia per il patrimonio sudamericano.

 

I risultati hanno ulteriormente mostrato come gli antichi urbanisti abbiano condotto progetti di estrazione e scavo su larga scala, incluso il reindirizzamento dei fiumi San Juan e San Lorenzo per consentire l’allineamento astronomico di Teotihuacán.

Un altro strumento da non trascurare sono le immagini satellitari (spesso utilizzate in aree remote, estreme o di conflitto). L’imaging satellitare multispettrale consente agli archeologi di visualizzare diverse parti dello spettro elettromagnetico altrimenti invisibili a occhio nudo e non rilevabili con le tecniche fotografiche.

L’uso delle immagini aiuta a rilevare preziosi indicatori dell’attività umana passata da segnali termici e chimici a sottili cambiamenti nella crescita della vegetazione che potrebbero indicare la presenza di strutture sepolte. Migliaia di antichi insediamenti sono stati documentati analizzando immagini satellitari prese da oltre 600 km dalla superficie terrestre (soprattutto in Egitto e Sud America).

Possiamo aspettarci nei prossimi anni il lancio di un satellite appositamente progettato per uso archeologico, che aiuterebbe a monitorare le aree a rischio e ad accelerare esponenzialmente il processo di scoperta di antichi resti.

Eppure l’aspetto principale dell’archeologia è capire come le persone vivevano in tempi e luoghi specifici, capire il passato è anche la chiave per prevedere il futuro che abbiamo di fronte come specie. Tuttavia, ciò che possiamo aspettarci, è l’evoluzione dei processi di scavo poiché l’archeologia mira a diventare più sostenibile.

Presto, i siti praticamente da scartare diventeranno nuove opportunità di scoperta.

Invece di rimuovere accuratamente uno strato alla volta per documentare e analizzare i siti nel corso degli anni, l’uso di scanner consentirà virtualmente di scavare i siti in poche ore, a distanza, connessi, senza intaccare lo stato dei resti archeologici o dell’ecosistema che li costudisce.

 

Di fatto potremo arrivare a un’archeologia più responsabile e meno invasiva. Analizzare virtualmente senza danneggiare eccessivamente i siti, né i manufatti. Come i chirurghi, gli archeologi hanno solo una possibilità per completare con successo un’operazione.

Quando inizia il processo di scavo, non c’è modo di annullare la rimozione degli strati scavati, quindi anche l’uso della robotica diventerà una parte essenziale dell’archeologia stessa.

Possiamo quindi immaginare che nel prossimo futuro gli archeologi schiereranno legioni di minuscoli robot che eseguiranno operazioni archeologiche documentando ogni fase del processo. Potrebbero essere utilizzati per raccogliere campioni (ad esempio – test del DNA) senza contaminare l’integrità del sito.

Immaginate una flotta di piccoli droni che volano autonomamente dotati di sensori termici a infrarossi e iperspettrali, programmati per funzionare come un’unità, un plotone dell’aeronautica, rilevando in pochi minuti l’architettura del sottosuolo, con una precisione senza precedenti, e producendo scansioni 3D. L’intelligenza artificiale produrrà quindi un report in loco basato su tutti i dati raccolti, che verranno poi analizzati da ricercatori e archeologi.

Questa nuova era è appena cominciata, sarà un viaggio meraviglioso, ricco di sorprese, tra civiltà e città sepolte da millenni di storia ancora da scoprire. (ebc)

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Emanuele
Emanuele