di Francesca Baboni
[“U]n disegno che sia l’unico disegno possibile”, quello realizzato e voluto dalla mano del pittore. Un pittore che ha saputo conquistare l’Oriente con una maratona espositiva di grande successo.
Omar Galliani ha raggiunto la Cina con una mostra itinerante durata un anno, suddivisa in dodici tappe – oltre a Shanghai, anche Chengdu, Jinan, Tientsin, Hangzhou, NingBo, Suzhou, Dalian, Wuhan, Xi-an, Nanchino e Pechino -, interamente organizzata dal Governo cinese, attraverso il Ministero della Cultura e il Centro Italiano per le Arti e la Cultura e con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri italiano, ottenendo un impatto mediatico senza precedenti. Ha portato la grande tradizione del Disegno italiano (da qui il titolo dell’evento), che ha un suo primato riconosciuto in tutto il mondo orientale a partire dal Rinascimento, attraverso 45 opere a rappresentare un excursus della sua carriera – dalla serie delle Nuove anatomie fino al Grande disegno italiano -, realizzandone successivamente altre direttamente sul posto, in un work in progress sviluppatosi in cinque Musei cinesi.
Un viaggio andata-ritorno, un riassunto-confronto che non poteva che approdare in Italia con una grande summa espositiva dell’esperienza, la mostra che si terrà alla 52.a Biennale di Venezia nella sede della Fondazione Querini Stampalia – una delle più prestigiose realtà culturali cittadine, che per l’occasione presterà i propri spazi ad un allestimento curato dall’architetto Mario Botta – dal titolo Tra Oriente e Occidente. Omar Galliani e il grande disegno italiano in Cina.
Quaranta le opere di ampio formato, un intreccio-incontro tra due culture, una nuova traccia destinata a rimanere presente, che si manifesta con una sintesi tra la raffinatezza del disegno di tradizione italiana e la simbologia di gusto orientale. Come negli esempi delle Nuove anatomie, dove si coglie il contrasto tra il segno netto, talvolta duro, della mina di piombo che delinea il contorno di un corpo, i chiaroscuri di una bellezza intensa, sospesa nel tempo, come nelle antiche iconografie, e il tracciato, rosso di sangue, di una sua parte celata che affiora a ricordare il pulsare e il brivido della vita, il palpito nascosto. Modelli rinascimentali mescolati a prototipi di bellezza contemporanea che l’artista sa rendere universali, e che nascono dal disegno, laddove il disegno stesso viene considerato pratica pittorica e non accessoria, mezzo elettivo per delineare una precisa poetica quasi simbolista e far affiorare un “altrove”.
O nella serie recente dei Santi, in cui il frottage della matita svela le fratture interne, e la luce specchiandosi richiama e rivela a sua volta i colori, le ombre e le sfumature, unendo nel contrasto una tecnica antica ed un soggetto quotidiano e pienamente attuale. Omar Galliani sonda qui le sfaccettature della pulsione di fede delle ragazze d’oggi, marchiate da piercing e tatuaggi, desiderose d’appartenenza, alla ricerca di una loro identità e di partecipazione emotiva. Femmine aggressive che offrono sguardi conturbanti di sfida, che mostrano corpi filiformi al limite dell’anoressia e ricami blasfemi sugli abiti – che rimandano ad una moderna punzonatura -, votate al culto nevrotico del corpo.
Simbologie archetipiche della fede che tornano anche nella serie dei raffinati dittici Nuovi fiori-nuovi santi, dove il simbolo diventa elemento decorativo. Falli, fiori e sacri cuori calligrafici rivelati dalle graffiature del legno uniti a santi con l’aureola macchiata di rosso, a significare l’immagine quotidiana intaccata, così come viene intaccato il segno monocromo dall’elemento cromatico, l’impronta digitale che si sovrappone al nero fuligginoso della matita.