Un passo avanti
(è l’ appropriato titolo del saggio che segue di Giovanni Cangi)
Strano, insolito e desueto pare, in apparenza, questo articolo di Giovanni Cangi che vi sto presentando. Qui si mischiano, per altro con inusuale competenza, sapienza di discipline che credo difficilmente siano mai state accostate tra di loro. In un mondo di estrema specializzazione sembra di essere tornati alle origini e o alle enormi anticipazioni della sommatoria di competenze precipua degli artefici del primo Rinascimento.
Ho attraversato, camminando, tutti i giorni per anni, piazza Signoria in Firenze ed ogni mattina lo stupore della torre di Arnolfo che poggia, troppo e fuori piombo, sui beccatelli del palazzo sfidando tutte le leggi della statica e della scienza delle costruzioni, molte delle quali, per altro, Arnolfo di Cambio, necessariamente ignorava, ha continuato a meravigliarmi eppure è li dal XIV sec., che con i suoi 95 metri di altezza, svetta verso il cielo. Il grande architetto rivela quindi una rara perizia o il folle coraggio di un ego smisurato? Facile la risposta che la sua creatura persiste integra e in piedi. Pochi passi ancora e in piazza Duomo la vista della cupola del Brunelleschi, di poco più vecchia, è li dal XV sec., mi rende ancora più stupefatto. Più piccola di quella michelangiolesca di San Pietro è pur tuttavia enormemente più complessa, più ardita e due volte più pesante. Si calcola che il suo peso totale totale sia di 37.000 tonnellate contro le 14.000 di quella di San Pietro che, lo ricordiamo ancora, ha dimensioni metriche maggiori 58,90 metri di diametro esterno contro i 54,8 della sorella fiorentina. Impossibile da spiegare ancora oggi con che tipo di competenze il buon Filippo abbia potuto immaginare l’elevazione di quella impressionante massa muraria e che dire del miracolo dei 18 quintali della palla del Verrocchio posti in cima alla sommità della lanterna sotto gli occhi vigili di Leonardo che ancora non era partito per Milano? Fu il genio universale!
Ho visitato i musei di arte antica di mezzo mondo e non mi sono mai posto alcun problema di fronte alla enorme quantità di statue mutilate arrivate a noi dall’antichità classica. Ho sempre semplicisticamente pensato che ciò fosse dovuto alla loro età. Oggi le componenti di molte macchine, in un eccesso di settoriali e spinte specializzazioni, hanno addirittura un tempo di rottura e collasso legato alla durata del loro uso affinché, dopo un certo periodo, non troppo lungo, si rompano e si possa procedere alla loro sostituzione, attraverso nuovi acquisti, che giustificano, forse, un eccesso di produzione industriale che la modernità confonde con l’etica e la semantica del termine crescita. Il tempo, ben lo sappiamo, è del resto ‘perversa invenzione’ dell’uomo. Sembra quasi di assistere ad un titanico scontro tra misura della bellezza e scienza che se mal coniugate producono effetti disastrosi. Le statue apprendiamo da questo breve, ma illuminante saggio sono mutile e si sono rotte non per vetustà, ma per la presenza di punti deboli in cui il gioco, posto in essere dalle forze che indicano i vari tipi di sollecitazioni cui naturalmente sottoposte, esplica una attività che il materiale non è in grado di sopportare e non dipende dal tempo. Così apprendiamo che il marmo si spezza ed il bronzo, ad esempio, anche no. Di terminologia estranea allo storico dell’arte è quindi intriso questo contributo che qui, pur tuttavia, è ampiamente giustificato da una splendida e più che legittima comparazione stilistica tra una quasi sconosciuta statua, quella di Alessandro Severo, già in collezione Farnese ed oggi al MAAN di Napoli, con l’icona famosissima e inconfondibile della statuaria rinascimentale che è il David di Michelangelo. Non abbiamo alcuna contezza del fatto che Michelangelo possa aver visto il reperto antico prima delle sue esecuzioni, ma, come vedremo le analogie sono forti e pregnanti con il suo Bacco ebbro e con il David. Le ipotesi, che potranno o meno essere confermate da studi successivi, sono compito precipuo dello studioso che doverosamente è chiamato a fare ed esplicitare.
È apparentemente calmo e sereno Giovanni Cangi un ingegnere che infonde fiducia e cui affideresti volentieri la soluzione di eventuali problemi tecnici, ma è anche inquieto e curioso, attento ad ogni sorta di sopravvivenza, che vede nella storia delle idee comparate, teorizzata e posta in essere dal mentore Aby Warburg, la sua naturale fonte di ispirazione. È quindi con complicità e con la consapevolezza di enormi affinità elettive che suggerisco attenzione a questo prezioso, raro ed intelligente contributo che insolitamente, ma ben volentieri, ho accettato, con umiltà, di presentarvi. Credo possa rappresentare ‘un passo avanti’. Grazie!
Roberto Manescalchi
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Un passo avanti!
Il David di Michelangelo e la statua di Alessandro Severo della Collezione Farnese
di Giovanni Cangi
Chi si occupa di statica delle murature comprende perfettamente le difficoltà che si incontrano nel concepire strutture da realizzare con materiali non resistenti a trazione e della necessità di creare basi stabili ed ampie per scongiurare i cinematismi di ribaltamento rigido o di rottura a presso-flessione.
Le soluzioni costruttive adottate comunemente in modo intuitivo e con senso pratico spingono verso una distribuzione delle masse di tipo piramidale, per mantenere il baricentro basso e per far fronte ai pericolosi effetti prodotti dal sisma, laddove esista anche questo problema.
La progressiva riduzione dello spessore delle pareti che si adotta normalmente salendo dalla base ai piani superiori, è una regola che risponde a questa logica costruttiva e che persegue anche obiettivi di economia e di sicurezza.
L’artista che si appresta a scolpire una statua nel marmo si trova in una situazione analoga e chiamato a risolvere lo stesso problema, se non fosse per le dimensioni molto diverse e per il rapporto di scala, per cui oltre all’estetica del manufatto deve pensare, ancora prima, a come tenere in piedi l’opera, per evitare che questa collassi mentre viene realizzata. L’attenzione va posta anche sulle parti a sbalzo, in genere le braccia, che sporgono come mensole incastrate al corpo.
Accade quindi che per alcune sculture il problema non si pone, perché create già con un ampio e stabile basamento. Le situazioni più critiche si presentano invece nelle statue per le quali l’attacco alla base coincide con la sezione più debole, spesso collocata all’altezza delle caviglie, esili e fortemente sollecitate, al punto da richiedere particolari accorgimenti per incrementare la sezione d’incastro.
Va pure considerato che il problema della stabilità non è legato soltanto alla forma della scultura, ma anche alle sue dimensioni, pertanto le statue colossali soffrono maggiormente per l’elevato stato tensionale che si genera alla base. Questo perché, immaginando di raddoppiare le dimensioni di una statua, mantenendone le proporzioni, l’area delle sezioni resistenti aumenterebbe di quattro volte, mentre il volume, e quindi il peso, di otto volte, con conseguente raddoppio degli stati tensionali.
Il problema non riguarda le statue bronzee, grazie alle caratteristiche di resistenza a trazione del materiale. Le statue di marmo invece mostrano dei limiti, che già nella statuaria greca sono stati risolti con eleganza, attraverso l’introduzione di bronconi, ovvero, degli spuntoni di legno posti in aderenza ad una gamba per allargare la base e fungere da contrafforti. Un trucco ripreso nelle statue romane e giunto fino al Rinascimento, in opere mirabili ispirate dalla tradizione classica. Il broncone pertanto è come un puntone che serve a contrastare la flessione alla base più che ad assorbire il peso.
Il David di Michelangelo, costituisce certamente l’esempio più noto, dove il richiamo alla statuaria greca è alquanto evidente. La posizione naturale assunta dal David, con la gamba sinistra distesa e spostata di lato e il broncone collocato dietro la destra, nasconde in realtà un sistema di bilanciamento costituito da contrafforti disposti su piani ortogonali. Così come il braccio sinistro alzato e ripiegato permette di contenere l’eccentricità del carico e lo sforzo flessionale all’attacco, mentre il destro, aderente al corpo, è vincolato alla base mediante il contatto creato fra la mano e la gamba.
Un problema che nelle statue marmoree romane, copiate dagli originali bronzei ellenistici, veniva risolto attraverso l’inserimento di un tassello di collegamento.
Statue dove si aggiunge sempre il broncone, una colonna o qualche altro elemento che sembra collocato per caso, ma che in realtà assolve una funzione strutturale.
Statue rinvenute nei maggiori siti archeologici, come a Pompei, a iniziare dalla seconda metà del XVIII e ancora prima a Roma, nell’area del Palatino.
E’ dallo studio di queste statue romane, in gran parte entrate a far parte della Collezione Farnese che emergono elementi di confronto che vanno ben oltre l’adozione di questi accorgimenti, per manifestare segni stilistici comuni che ci pare opportuno evidenziare.
A tal fine il protagonista è ancora il David di Michelangelo, capolavoro assoluto dell’arte rinascimentale, da confrontare con un altro gigante di altezza poco inferiore ai 4 metri. Si tratta della statua in posa eroica dell’Imperatore Alessandro Severo (già considerata di Eliogabalo), conservata presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
La postura dell’Imperatore riflette quella di altre famose statue ellenistiche di età classica, replicate dai romani qualche secolo più tardi, come la copia marmorea del Doriforo di Policleto della fine del II sec. a.C., rinvenuta a Pompei.
Sicuramente Michelangelo non ha visto il Doriforo, mentre è probabile che durante la sua prima permanenza a Roma, che data a partire dal 1496, abbia avuto modo di osservare e studiare le numerose statue antiche già rivenute nell’area del Palatino. In quella di Alessandro Severo sembra aver colto elementi che riproporrà fin dalle prime opere che gli furono commissionate.
La prima è il Bacco, capolavoro realizzato per il Cardinal Riario nel 1497, che peraltro non apprezzò il risultato. Un’opera che rimanda, senza dubbio, alla statuaria classica, per la postura, oltre che per l’elemento stabilizzante, costituito in questo caso dal Satiro seduto dietro la gamba sinistra.
Ma a richiamare maggiormente l’attenzione è ancora la statua di Alessandro Severo per le analogie che presenta con il David che Michelangelo realizzerà, a partire dal 1501, dopo essere tornato a Firenze e dove lo attendeva il gigante di marmo bianco di Carrara che da decenni riposava nei giardini del Duomo.
Tuttavia un confronto oggettivo è possibile limitandosi ad analizzare i due nudi escludendo il capo, probabile frutto di un pessimo restauro, che nella statua antica non rende giustizia alla qualità della rimanente opera, al punto da poter risultare pure fuorviante nel giudizio complessivo.
Il corpo è assolutamente armonico, con l’Imperatore in posa dinamica, sottolineata dal piede sinistro fissato nell’atto di compiere quel passo che lo porterebbe nella stessa posizione dell’eroe biblico michelangiolesco. La gamba destra, già sovrapponibile a quella del David, costituisce invece l’arto portante sul quale si scarica tutto il peso. Effetto percepibile nel David dal busto leggermente piegato di lato, per assumere la posa statica accentuata dal muscolo rilassato della gamba sinistra. Un piccolo movimento in avanti che segna però un “grande passo” nella storia dell’arte, grazie all’esaltazione delle forme che sembrano prendere vita, con dettagli che nella statua antica appaiono stereotipati.
Tuttavia le analogie sono innegabili e l’imitazione evidente nella sovrapposizione delle figure, opportunamente scalate, per favorire un confronto diretto.
Altrettanto evidenti sono gli accorgimenti che Michelangelo utilizza per dare maggiore armonia alla statua e stabilità alle singole parti, come il braccio destro che, portato in aderenza al corpo, consente alla mano piegata di unirsi alla gamba per costituire un sostegno efficace. La mano che stringe la pietra da scagliare contro Golia e che l’Imperatore usa invece per impugnare l’elsa della spada.
La gamba sinistra spostata di lato in posizione di riposo assorbe in realtà una quota rilevante del peso e dello sforzo flessionale alla base.
Sicuramente nella scelta di questa postura Michelangelo è stato guidato dalla configurazione del difettoso blocco di marmo su cui si è trovato a lavorare. Sul blocco, in parte manomesso, erano già intervenuti Agostino di Duccio e Antonio Rossellino che avevano praticato un foro alla base.
Il broncone posto dietro la gamba, molto contenuto nelle dimensioni rispetto alla palma che sorregge la statua antica, appare più esile ed elegante, ma di fatto insufficiente ad assicurare la piena stabilità del David, che presenta lesioni di strappo nella parte retrostante, come, per altro, dimostrato da accurati studi finalizzati all’accertamento delle condizioni statiche dell’opera d’arte *.
Nel ‘600 il Bernini, che scolpirà il suo David nell’atto di lanciare la pietra con la fionda tesa, adotterà uno schema statico ancora più efficace, con le gambe disposte a formare uno stabile treppiede assieme alla corazza appoggiata a terra, in sostituzione del broncone.
Queste brevi e sintetiche note hanno il solo scopo di stimolare la ricerca sul tema con una visione più ampia, attraverso l’esame di altre opere di Michelangelo ispirate alla tradizione greco-romana, per un confronto con la classicità rinascimentale.
Un ultimo suggerimento in questo senso prende spunto dalla statua di Bacco, da osservare attraverso l’immagine speculare, che evidenzia, come facile vedere, una postura molto somigliante a quella del nudo di Alessandro Severo, più ancora che al David.
*Si veda Borri A., a cura di: “La stabilità delle grandi statue: Il
David di Michelangelo”, Centro Studi Sisto Mastrodicasa, Ed. DEI
Roma, 2005