Oggi per i lettori di Stile e per gli studiosi, sei inedite caricature ed una piccola inedita testimonianza autografa. Angiolo Tricca, novello Raffaello e principe dei caricaturisti, nel novero dei Macchiaioli… un po’ falsario e furfantello!
di Roberto Manescalchi
Angiolo Tricca (17 febbraio 1813 – 23 marzo 1884) fu un caricaturista italiano e un pittore di temi storici. Così la verità del web che, come al solito, è riduttiva e quasi sempre inesatta anche se, a parziale giustificazione, bisogna ammettere che a Tricca sono stati dedicati, purtroppo, studi sporadici e poco approfonditi. Oggi, contributo che crediamo prezioso, presentiamo ai lettori di Stile e al mondo degli studiosi ben sei inedite caricature di questo artista.
Il giovane Leonardo che assiste Verrocchio intento a dipingere il Battesimo con, dietro lo stipite di una porta un giovane, forse il geloso Pietro di Cristoforo Vannucci (Perugino), che sembra spiare è certamente il dipinto di un pittore di temi storici. Questo, in qualche modo, ci da già la misura delle conoscenze, anche letterarie, di Tricca che, data la scena, sembra ben conoscere la storia e pare memore del sonetto di Giovanni Santi da cui il celebre “due giovin par d’etade e di amori”. Del resto i due giovinetti ritratti in calzamaglia sono colti in atteggiamento assolutamente effeminato e in Tricca che prendeva per il culo il mondo la cosa non è certo casuale.
Assolutamente nel novero dei macchiaioli, così ce lo descrive, a noi piace un po’ di più, il suo carissimo amico Telemaco Signorini nei ricordi di: Caricaturisti e Caricaturati al Caffè Michelangelo (1848-1866): “E ridendo si ricorda il Tricca. Questi, ritrattista fine, un po’ ricercato ma accuratissimo, e più di tutto caricaturista sommo, era l’anima del Caffè (Il caffè Michelangelo). Inventava ogni giorno una burla, ogni ora un motto salace, ogni poco una nuova caricatura. Giunse a farla a sé stesso e così bella che, fra tutte quelle fatte nell’epoca del Caffè, è conservata come una delle migliori. La satira era parte della sua mente, del sangue suo, non parlava se non prendeva in giro qualcuno. Le debolezze del prossimo non gli sfuggivano mai, ed era tanto il bisogno di canzonar la gente, che perfino al canuccio spelacchiato che sempre lo seguiva, faceva prendere il cappello”.
Nato a Sansepolcro il Tricca, già allievo di Vincenzo Chialli, uno dei più importanti pittori umbri dell’ Ottocento si trasferisce a Firenze nel 1837 dove oltre a far caricature fa di tutto e di più: pittore di temi storici, riproduttore di quadri antichi sfruttando, a partire dalla metà del secolo, anche le nuove tecniche di derivazione fotografica, restauratore, falsario, mercante e, a nostro modesto avviso, gran cialtrone.
Sodale del Senatore Giovambattista Collacchioni… uno che era Gonfaloniere della Guardia Granducale quando ancora Canapone saliva i tornanti della Bolognese che l’avrebbero portato verso il nord e poi a Vienna e che appena il Granduca aveva svalicato (qualche ora dopo), ma non era giunto ancora alla dogana delle Filigare (comune di Fiorenzuola) già cantava: “Fiorin di canna / e Leopoldo gli è scappato a Vienna / pol’essere, ma in Toscana e un’ ci ritorna / fiorin di canna…” … e si apprestava a diventare 1° senatore del novello regno. Traditore di gran carriera per comodo e convenienza, intanto che i Fiorentini, quasi tutti, avevano salutato il Granduca al grido di: “Addio, babbo Leopoldo!”
Complice in affari di Stefano Bardini, il più importante antiquario fiorentino a cavallo tra Otto e Novecento e dello stesso Senatore, furono tra gli artefici dello spoglio sistematico del lapideo del centro di Firenze. Ricordiamo, nella grande lapide commemorativa dello scempio, in Piazza della Repubblica la scritta: “ L’antico centro della città da secolare squallore a vita nuova restituito”. I nuovi palazzi che si affacciano su Piazza della Repubblica, in luogo del vecchio Ghetto e delle sue architetture, così magnificati dalla lapide che si dice dettata da Isidoro del Lungo, furono definiti dal solito Telemaco Signorini: “Porcherie!”, ma tant’è! Con le nuove architetture fu magnificato quindi anche Stefano Bardini che lasciò ai fiorentini quel che in vita non era riuscito a vendere delle loro pietre. Insomma si, avete capito bene, i fiorentini ringraziano ancora il Bardini per il lascito di quattro sassi invenduti che erano già loro. Dopo il furto sistematico delle pietre del centro altro affare della congrega Tricca, Bardini e Collacchioni fu lo spoglio degli arredi delle ville medicee e tra un affare e l’altro non disdegnarono di occuparsi, più o meno direttamente della vendita di insigni capolavori. Al proposito ci sovviene della vendita della Natività e del Battesimo di Piero della Francesca oggi alla National Gallery e, perché no?, della scuola di Pan di Signorelli che se non fosse finita a Berlino e poi sotto le bombe, forse sarebbe ancora tra noi.
Ritornando al Tricca che certamente fu un cialtrone c’è tuttavia da rilevare il suo impegno politico e sociale che lo vide impegnato come vignettista (satira politica) di varie riviste pubblicate a Firenze: Il Piovano Arlotto, Il Lampione e La Lanterna di Diogene.
Nel 1844 e nel 1850 tenta di ottenere la cattedra di disegno all’Accademia di Firenze, ma senza successo e si dedica alla copia e riproduzione dell’opera dei grandi maestri per le pubblicazioni a stampa dell’epoca e significativamente per la monumentale Storia della Pittura Italiana esposta coi Monumenti di Giovanni Rosini.
Nel 1948 prende su il fucile e va a Curtatone al fianco del battaglione degli studenti universitari di Pisa e Siena contribuendo a scrivere una pagina gloriosa della prima guerra di indipendenza.
Il Tricca, da pochi anni rivalutato (non certo ai livelli che meriterebbe) come artista, fu anche uno dei più grandi falsari di tutti i tempi. In molti musei sono, ancora oggi, esposte le sue opere come se fossero pezzi originali di Raffaello e/o dei suoi allievi.
Qualche anno fa il direttore della National Gallery di Londra, manifestò l’intenzione, non sappiamo se seguita da fatti, di esporre i numerosi falsi presenti in galleria… la strada è aperta anche se dubitiamo fortemente che il direttore della National abbia anche soltanto sentore di quale punta di iceberg abbia individuato e non crediamo proprio abbia la benché minima concezione di quale enorme vespaio sia andato a stuzzicare né che abbia la più pallida idea del ginepraio in cui potrebbe stare per andarsi a cacciare.
Angiolino Tricca, Stefano Bardini, Elia Volpi ed altri (nobilissime espressioni dell’italico genio di bottega) hanno provveduto a fornire di ricchissime ed adeguate radici artistiche chi le cercava e i falsi che hanno rivogato ad esperti e gallerie di mezzo mondo non contano certo pochi e identificati esemplari. Sono, crediamo, molte centinaia di pezzi. Tanti da necessitare di riscrivere diverse migliaia di pagine di storia dell’arte. Tanti da costringerci presto anche ad operare una seria revisione dell’attività di esperti, insospettabili, guru intoccabili della storia dell’arte posti su piedistalli da prestigiosissime università d’oltre Manica e d’oltre oceano.
“Egli seppe talmente bene imitare la maniera di Raffaello, che tutti gli artisti che la videro [una Madonna], unanimi giudicarono ed affermarono essere opera del divino pennello dell’Urbinate. La notizia si diffonde per Firenze, giunge agli orecchi della Granduchessa Maria di Russia la quale entusiasta per l’arte italiana, vola allo studio del Tricca, e vuole che a qualunque costo il Pittore le ceda il quadro di ‘Raffaello’. Il Tricca rifiuta, né valsero preghiere dell’augusta donna a convincerlo. La principessa non soddisfatta invia nuovamente al Tricca il proprio Ministro con mandato di comprare il quadro a qualunque prezzo. Il Tricca appagato di avere confermato ancora una volta il suo valore di disegnatore e di pittore e non di semplice conoscitore di autori, renunzia al certo ed ingente guadagno, contento di aver dato così una solenne lezione a coloro che fanno brutto e indegno mercato di contraffazioni. Di questa sua, dirò, quasi inarrivabile abilità di scorgere a colpo d’occhio la mano dell’autore senza ingannarsi mai, molto e molto se ne avvantaggiarono i critici, e un giudizio emesso dal Tricca era una sentenza inappellabile”
Così Giovan Felice Pichi ne suo: “Elogio ad Angiolo Tricca nel giorno anniversario della sua morte”, Sansepolcro 1885.
Nel quadro il Tricca si supera e si diverte ponendo, sopra la credenza del Verrocchio, il tondo di ‘Raffaello’ citando se stesso e proponendo un evidente e clamoroso falso storico.
Nel 1862 Marija Nikolaevna, consorte del Duca Massimiliano di Leuchtenberg si stabilì nella città di Firenze a Villa di Quarto, appartenuta a Gerolamo Bonaparte. Quasi ogni giorno, accompagnata dal suo consigliere, il pittore e collezionista Karl Lephard, la gran principessa visitava i musei le collezioni private e gli antiquari, al fine di acquistare, quadri, statue e mobili per la sua residenza. Si dice, inoltre, che il Tricca abbia “restaurato” il ritratto di Giuliano de’ Medici duca di Nemours. E tanto per dare un saggio di quanto poco chiara sia sempre stata l’attività del Tricca proviamo a supporre che il dipinto sul quale il nostro sia intervenuto sia quello accreditato a Raffaello (con molti dubbi secondo noi) oggi al Metropolitan.
Perché ci pare di poter sostenere questo? Semplice, intanto perché ce lo dice Karl Eduard von Liphart: Catalog der Kupferstichsammlung des Herrn Karl … sur un tableau de Raphael representant Julien de Medicis, duc de Nemours. Paris, 1867, pp. 1-16, che descrive di come va a vedere la pittura a casa di Brini con la granduchessa Maria Nikolaevna e le raccomanda di acquistarla; osserva che il dipinto era allora su tela incollata su un pannello spesso, che è stato rimosso, insieme con alcuni ritocchi, dal copista e restauratore Tricca; suggerisce che nell’iscrizione in origine si leggesse “RSMDXIV” e lo identifica come l’originale di Raffaello. Infine perché lo stesso è transitato dalla collezione Leuchtenberg (Marija Nikolaevna) in Firenze; in quella di Maffeo Barberini Colonna di Sciarra in Roma; in quella di Charles Sedelmeyer in Parigi; in quella di Oscar Richard Huldschinsky in Berlino; in quella della galleria Agnews in Londra; in quella dei Duveen Brothers, inc. Londra/New York; in quella del banchiere Jules Semon Bache sempre in New York ed infine al Metropolitan. Anche la sistematica dei molti passaggi, indipendentemente dal tutto sarebbe indicativa dell’operare del Tricca che era solito riservarsi opzioni in caso di vendite future che puntualmente procurava. Ricordiamo che, appena trasferita a Firenze nel 1869, Janet Ross acquistò dal nostro il dipinto La Scuola di Pan di Luca Signorelli e quattro anni dopo, quando il quadro venne venduto a Wilhelm Bode per il Kaiser Friedrich Museum, il Tricca continuò ad avere una percentuale.
Quindi tutto chiaro? Neanche per idea che in presenza di Tricca le copie si moltiplicano come se fossero pani e pesci. Così del ritratto di Giuliano de’ Medici contiamo, in aggiunta a quella che, dopo infinite vicissitudini è approdata al Metropolitan almeno altre quattro copie. Una presso le Gallerie fiorentine, ma che gli Alinari dicono di aver fotografato in Palazzo Medici Riccardi, che si dice essere di Alessandro Allori.
Un’altra di anonimo avvistata l’ultima volta, almeno per quel che riguarda le nostre modeste conoscenze, che nella fattispecie attingono alla fototeca di Federico Zeri, presso la collezione D’Atri in Parigi
Ed infine altre due attribuite a Raffaello che, se fosse così, unitamente al dipinto del Metropolitan, avrebbe realizzato del duca almeno tre ritratti praticamente identici. La qual cosa, ovviamente non sta né in cielo né in terra. Degli ultimi due ci sono sconosciute, anche a Federico Zeri, pure le vicissitudini e l’ attuale ubicazione… il tutto perfettamente in linea con il modus operandi del Tricca.
Tra gli allievi del Tricca, ricordiamo Federico Andreotti e suo figlio Fosco. Ad opera del figlio Angiolo Tricca fu legato indissolubilmente a Giovanni Fattori il principe dei Macchiaioli. Fosco Tricca realizzo infatti due busti bronzei: il primo, nel 1885, per commemorare il padre e ad ornamento della sua tomba nel cimitero di Sansepolcro, il secondo, nel 1925 in onore a Fattori sopra la porta che conduceva al suo studio presso l’Accademia fiorentina in via della Sapienza ora Cesare Battisti.
Come si può ben constatare dalla foto… il busto di Angiolo Tricca è assente perché trafugato. Trafugato o è lo stesso Angiolo Tricca che nottetempo è uscito dal sepolcro per riprendersi la testa e sparire nell’ombra in cui ha sempre vissuto? Si è portato la testa ed ha lasciato la corona di alloro con su scritto Angiolo da una parte e Tricca dall’altra… la prova dell’ultimo misfatto! Eppure ebbe sicuramente senso civico (lo abbiamo ricordato a Curtatone), affetti (figlio e moglie), passioni d’artista come testimonia la cartolina, raffigurante Raffaello, uno a caso, con autografo e ghirigoro, certamente significante per la destinataria, inviata a tale Emilia Coleschi signorina e forse amichetta e o musa del momento.
Angiolo Tricca, il macchiaiolo più bravo di Raffaello Sanzio. E con lui confuso. Sei inediti e la storia
Angiolino Tricca, Stefano Bardini, Elia Volpi ed altri (nobilissime espressioni dell’italico genio di bottega) hanno provveduto a fornire di ricchissime ed adeguate radici artistiche chi le cercava e i falsi che hanno rivogato ad esperti e gallerie di mezzo mondo non contano certo pochi e identificati esemplari. Sono, crediamo, molte centinaia di pezzi. Tanti da necessitare di riscrivere diverse migliaia di pagine di storia dell’arte. Tanti da costringerci presto anche ad operare una seria revisione dell’attività di esperti, insospettabili, guru intoccabili della storia dell’arte posti su piedistalli da prestigiosissime università d'oltre Manica e d'oltreoceano