di Maurizio Bernardelli Curuz
“Stile” intervista Alessandro Cecchi, direttore del Dipartimento della pittura dal Medioevo al Primo Rinascimento degli Uffizi, e curatore, con Lucia Aquino, del percorso “Masaccio e i pittori del suo tempo” all’interno del museo fiorentino.
Il percorso che voi proponete all’interno degli Uffizi permette di comprendere la portata della rivoluzione masaccesca. Masaccio sostanzialmente, seguendo la lezione di Brunelleschi – e collaborando direttamente con il grande architetto – importa nel dipinto un impianto prospettico non più basato su una prospettiva intuitiva, ma sulla prospettiva scientifica. Ci può spiegare quali sono gli elementi portanti di questo viaggio negli Uffizi e ci può illustrare com’era, sotto il profilo stilistico, l’ambiente fiorentino nei primi decenni del Quattrocento?
Abbiamo posto pannelli all’ingresso della galleria. In italiano e in inglese, raccontiamo la Firenze di Masaccio, tra gli anni Venti e Trenta del Quattrocento. Masaccio si trasferisce nel capoluogo tra il ’17 e il ’20 e trova una città che, per quanto sia stata spopolata dalla peste, è in pieno sviluppo economico ed è retta da un’oligarchia di famiglie che investono in immagine e in arte. Firenze è realmente attraversata da un grande fervore edilizio. Masaccio si innesta su questo tessuto particolarmente attivo sul piano culturale e artistico nel quale, anche se la cultura ufficiale rimane sempre quella tardo gotica, esistono notevoli elementi di apertura in direzione del nuovo. Brunelleschi propone l’invenzione prospettica. Donatello la rivisitazione dell’antico, Masaccio è invece l’artista che incarna il cambiamento della pittura. Lavora con Masolino per qualche anno, fino a quando questi, nel ’25, parte per l’Ungheria. Tra i due si sviluppa un’intensa collaborazione. Prendiamo il dipinto che raffigura Sant’Anna (1424-1425, ndr): gli angeli dello sfondo e la santa sono dipinti di Masolino, mentre di Masaccio sono la Madonna con bambino e l’angelo. I due lavorano insieme anche agli affreschi della cappella Brancacci, rimasti incompiuti per la partenza di Masolino e per la caduta in disgrazia della famiglia committente. (l’opera sarà completata negli anni Ottanta del Quattrocento). Gli Uffizi conservano di Masaccio la Piccola madonna del cardinale Casini, realizzata al termine dell’attività dell’artista, che morirà nel 1428. Egli produce quest’operina di carattere devozionale, dimostrando straordinarie capacità. Il dipinto sarà definito da Longhi “La madonna del solletico” per sottolineare l’intimità affettuosa che lega la madre al bambino. Attorno a questi due lavori (Madonna del cardinal Casini e Sant’Anna Metterza) abbiamo ricostruito l’ambiente pittorico che circondava Masaccio. Masolino, appunto, Giovanni del Ponte, (del quale viene presentata, dopo una lunga permanenza nei depositi, la “Predella di San Pier Scheraggio”), Corrado Starnina, Lorenzo Monaco – camaldolese e, tra l’altro, squisito miniatore -. Ecco poi l’importante maestro del Gotico internazionale, Gentile da Fabriano, che arriva a Firenze nel 1420 – chiamato dal ricco e colto Palla Strozzi – e che qui si trattiene per cinque anni. Di Gentile da Fabriano presentiamo, nel percorso due opere capitali come l’“Adorazione dei Magi” del 1423 e le parti laterali dei “Santi Quaratesi” del 1425. (la parte centrale del polittico è finita a Londra)”.
Masaccio, al di là di Donatello e di Brunelleschi che comunque tracciano un nuovo percorso, arriva in una Firenze nella quale, come dimostra la presenza di Gentile da Fabriano, è ancora alta la suggestione fiabesca e narrativa del Gotico internazionale. Il realismo di Masaccio deve aver suscitato notevole sconcerto…
Indubbiamente. Masaccio recupera una concretezza di volumi, un realismo che lo avvicina, per certi aspetti, a Giotto. Possiamo anzi dire che Masaccio è un po’ il Giotto del suo tempo. Osservando gli affreschi della cappella Brancacci emerge la novità dell’artista: guardiamo la sua Cacciata dal paradiso terrestre, dalla quale emerge tutto il dramma dei progenitori, poi spostiamo lo sguardo dall’altra parte, su Masolino, che realizza due figure quasi fiabesche, collocate in un prato fiorito… I pezzenti che chiedono l’elemosina dipinti nella cappella, sono un brano della vita di tutti i giorni. In Masaccio sta la forza dell’osservazione della realtà.
Ecco allora evidenziarsi il contrasto tra il Gotico – che racconta il mondo ancora con un’aura cortese, fiabesca, piena di grazia – e la crudezza, la verità della pittura nuova.
Il Gotico è retaggio di un mondo fiabesco, di forme elette, di una visione purificata e decantata della realtà. Siamo ancora al cospetto di una modalità di percezione del mondo in chiave cavalleresca. Possiamo fare un’annotazione sociologica: Firenze coltivava certo questi ideali cortesi, ma era proiettata in direzione dei commerci e della vita pratica . Quindi il gotico, in genere molto legato alle corti, non è a Firenze così invasivo come in altre realtà. Esiste piuttosto – e il percorso degli Uffizi lo dimostra – una convivenza tra i due diversi registri di rappresentazione. Non solo: la concretezza, il realismo, la prospettiva vengono osservati da artisti che hanno ancora un’impostazione gotica. Basti pensare a Paolo Uccello – che è un grande protagonista – e alla sua battaglia di San Romano. Quest’artista mostra come la prospettiva, che dovrebbe essere applicata alla realtà, venga in verità calata in un contesto tardogotico, dominato da colori surreali od astratti. (Ma questo è ancora un sogno cavalleresco, piuttosto che una battaglia vera e propria). Comunque anche Paolo Uccello, come ci racconta il Vasari, era entusiasta dell’“invenzione prospettica”. Ciò significa che, pur all’interno di una pittura che si misura con la tradizione, vengono importati codici nuovi.