di Alessandra Zanchi
Ormai da qualche tempo si assiste ad un “ritorno di fiamma” nei confronti del Neoclassicismo. Lo dimostrano le mostre di rilievo già dedicate ad alcuni dei protagonisti più celebri: Canova e Appiani, Julien De Parme, Dell’Era, Mengs (per fare solo alcuni nomi). Ma una grande rassegna espositiva mancava da molti anni in Italia. Milano è oggi protagonista in questo senso accogliendo, nelle sale di Palazzo Reale, un’eccezionale mostra sul tema. Con circa quattrocento capolavori provenienti da tutta Europa, “Il Neoclassicismo in Italia. Da Tiepolo a Canova” si configura come un viaggio dagli ultimi echi del virtuosismo barocco al Neoclassicismo degli anni rivoluzionari. Abbiamo intervistato sull’argomento Fernando Mazzocca, membro del comitato scientifico insieme ad Enrico Colle, Alessandro Morandotti, Claudio Poppi e Stefano Susinno.
Professor Mazzocca, da quanto tempo non si realizzava una mostra sul Neoclassicismo?
L’ultima risale a trent’anni fa: si svolse a Londra, nel 1971, appunto. Era una mostra immensa, come solo allora si poteva fare, che copriva l’arco di un secolo, dalla seconda metà del Settecento alla prima metà dell’Ottocento, attraverso un migliaio di opere. La mostra attuale, invece, pur essendo un evento di grande impegno, è limitata alla nascita e allo sviluppo del fenomeno in Italia nella seconda metà del Settecento, fino all’ingresso dei Francesi: momento di svolta sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista artistico, perché successivamente il Neoclassicismo diventa, come noto, “Stile Impero”. Nonostante questa limitazione spazio-temporale, si tratta di una raccolta notevole di opere di pittura, scultura e arti decorative. Tra le novità vi è peraltro il desiderio di mantenere un legame stretto tra le cosiddette arti “maggiori” e “minori” (arredi, decorazioni e suppellettili), che in quegli anni ebbero un immenso sviluppo.
La mostra è anche l’opportunità di vedere finalmente restaurate alcune sale di Palazzo Reale: una prima parte del Museo della Reggia attualmente in fieri con il recupero degli arredi e degli ornamenti originali. Di quali ambienti si tratta?
La mostra si collega, cronologicamente e pure per via di alcuni degli artisti presenti, alla riapertura delle sale decorate e arredate proprio nella seconda metà del Settecento. Nel contesto del Palazzo restaurato, dopo i danni bellici del 1943, è possibile ammirare per esempio la Sala degli Arazzi con i pannelli ornamentali eseguiti da Appiani e Levati. Un recupero importante di un ambiente mai più visto dal dopoguerra.
Entriamo nel vivo della mostra e parliamo dei protagonisti. Quali sono gli artisti più significativi presenti?
Naturalmente la mostra, che riguarda l’Italia, non comprende solo artisti italiani, ma anche stranieri attivi nel nostro Paese, soprattutto a Roma e Napoli, principali centri d’incontro tra gli stessi artisti, i viaggiatori e l’aristocrazia locale. Tiepolo e Canova sono i due nomi che delimitano il percorso, ma ci sono opere importanti pure di David, Angelica Kauffmann, Dell’Era, Appiani, Batoni, Felice Giani e moltissimi altri.
Come è stato “risolto” il percorso di una mostra così ampia e varia per soggetti e generi volti a documentare non solo l’arte, ma anche il gusto e la cultura del tempo?
La mostra è scandita in sezioni tematiche. Un primo nucleo riguarda il materiale di studio degli artisti, ovvero l’antico e il classico, e quindi i luoghi in cui l’antico e il classico potevano essere visti: dicasi Roma, Napoli e Paestum, dove si concentravano i reperti archeologici, e la Roma del classicismo rinascimentale, per lo più di Raffaello, e del Seicento. Sono un’importante testimonianza in proposito le vedute di Giovanni Paolo Pannini, con i musei “reali” e “ideali”, e le immagini di Pompeo Batoni, raffiguranti i viaggiatori stranieri in contemplazione delle rovine romane. Le altre sezioni prevedono come leitmotiv l’accostamento dell’autoritratto degli artisti alle loro opere, divise in grandi generi: la pittura sacra, che continuava a sopravvivere, e la pittura più laica, di ispirazione illuminista, la vera novità del secolo, con soggetti mitologici e di storia greco-romana. Un’ulteriore sezione è dedicata all’Arcadia, fondamentale per capire la cultura e il gusto del tempo, attraverso il legame creatosi tra artisti e letterati per promuovere i generi del paesaggio idealizzato e del ritratto simbolico e celebrativo degli uomini illustri. Altre sale della mostra sono dedicate all’arte nel contesto delle corti italiane: la Roma dei grandi papi, la Napoli dei Borbone e la corte di Parma, dove venne creata in quegli anni una delle più prestigiose Accademie, a cui presero parte gli artisti più importanti del momento. Vi studiò per esempio Goya, presente in mostra con il dipinto realizzato per il concorso indetto dall’Accademia nel 1771. Non mancano infine la corte piemontese e quella milanese, con i ritratti dei grandi funzionari austriaci, ad evocare il clima illuminato delle monarchie di fine secolo. La parte conclusiva del percorso è dedicata interamente a Canova, la personalità più famosa in assoluto e il maggior rappresentante dell’arte neoclassica per antonomasia.
Ci segnali i capolavori da non perdere, quali documenti della nuova sensibilità per l’antico e portavoce del nuovo “stile”.
Innanzi tutto vi sono molte opere inedite. Per esempio, il “Ritratto del Cardinale Rezzonico” di Mengs e l’“Amore e Psiche” della Kauffmann, associato a quello di Giani per Palazzo Altieri a Roma. Importanti anche i capolavori di Batoni e naturalmente quelli di Canova: i bassorilievi di Ca’ Rezzonico, le sue note tempere e soprattutto il gesso di “Venere e Adone” da Possagno. Sempre in ambito di Neoclassicismo affermato vi è l’inedito “Ritratto di Giuseppina” dell’Appiani, recentemente ritrovato, collocato in pendant a quello di Napoleone proveniente dalla Scozia, e poi, sempre di Appiani, il ritratto di Petie (governatore di Milano dopo Marengo) con i figli, in pendant con quello di moglie e figli. Ritratti che sono già una prima idea per i futuri “Fasti di Napoleone”, destinati alla Sala delle Cariatidi. Non mancano vieppiù i paesaggi come visione “sublime” dei fenomeni naturali. Il caso del Vesuvio (colpì molto l’eruzione del 1769) è emblematico, e opere come “L’eruzione del Vesuvio dal ponte della Maddalena” di Volaire testimoniano la nascita di una pittura di paesaggio diversa dal vedutismo tradizionale, soprattutto nell’Italia meridionale. Tra le arti decorative, documentate da numerose manifatture di rilievo (la Reale Fabbrica di Napoli, la Ginori e molte altre), vi sono altresì importanti novità, come nel caso del centrotavola di Giuseppe Volpato, proveniente da Bassano del Grappa.
Qual è, in conclusione e in sintesi, la natura dello stile neoclassico che questa mostra ci può far conoscere?
Lo scopo è in generale quello di riconsiderare il Neoclassicismo in maniera non convenzionale. Mostrare in sostanza al pubblico come coesistano in realtà tanti neoclassicismi; come perduri e sopravviva ancora il naturalismo barocco e come nasca intanto il Preromanticismo, che aprirà al Romanticismo, mentre il Neoclassicismo si trasformerà in Stile Impero. Una visione caleidoscopica e sfaccettata dunque, libera da schemi troppo rigidi e più semplicemente sintomatica di un momento di mutamento forte.