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Mentre i suoi coetanei pensano a giocare, Tiziano, non ancora decenne, suscita l’“universale applauso” affrescando una mirabile Madonna col Bambino su una parete al primo piano di palazzo Sampieri di Pieve di Cadore. “Essendo egli pertanto d’età puerile, et esplicando nella tenerezza degli anni quella inclinazione che gli era stata impressa dalla natura, formò sopra il muro della sua casa una immagine di Nostra Donna col succo di fiori, di così ben appropriati colori che rendé stupore al padre, agli amici e a ogni intendente della pittura”.
Un esordio sbalorditivo. Sennonché, di leggenda si tratta: il topos della precocità dell’artista, speculare a quello della sua longevità, si è originato e radicato in ambito cadorino, all’interno di una tradizione orale che ancora oggi alimenta l’immaginario popolare locale.
L’episodio è narrato nel Breve compendio sulla vita di Tiziano, prima biografia postuma – successiva ai profili di Dolce e Vasari, composti quando il Vecellio era ancora in vita – riportata alla luce, dopo un lungo oblio, da Lionello Puppi in un’accurata edizione critica (Il Polifilo, 116 pagine).
E’ lo stesso studioso a sottolineare come il testo, “se pur non porta novità eclatanti rispetto alle informazioni offerte dai predecessori, merita tuttavia attenzione per qualche spunto originale problematico e per la testimonianza che arreca intorno a ciò che restava della memoria del Vecellio”. L’identità di chi ne ha redatto, in uno stile pedissequo seppur non scevro di velleità letterarie, le pagine, è stata celata dietro il cenno ad uno “spiritoso ingegno amatore delle opere sue [di Tiziano] immortali”, nel quale è stato riconosciuto un omonimo discendente del maestro, pittore a sua volta, cui la tradizione storiografica ha affibbiato l’epiteto di Tizianello.
La volontà di rendere omaggio ad un “non mai abbastanza celebrato pittore” trova cagione, secondo Puppi, “nella mancata ufficiatura del rito d’esequie solenni, negato (se mai previsto) dalle circostanze della morte”; ad ogni modo, le intenzioni dell’autore sono puntualizzate nell’incipit, ove si esprime altresì l’auspicio che la narrazione venga fruita “sì per la qualità del soggetto, come per la relazione con la quale sarà da me, lontana da ogni affetto, fedelmente descritta”. Proposito solo in parte ottemperato: nel Compendio, infatti, non mancano – già lo si è visto – aneddoti di fantasia, palesemente volti ad incrementare l’aura leggendaria attorno all’artista.
Oltre al citato episodio dell’affresco giovanile si apprende, ad esempio, che il Vecellio avrebbe ritratto Carlo V “in arme bianche sopra un ferocissimo cavallo et lo pose nel capo di una sala terrena: qui si vedeva la maestà dell’imperatore con la solita dispostezza in maniera dal vivo ritratto, che altro non li mancava che li spiriti vitali. Onde, se Zeusi ingannò l’uccello formando l’uva, e Parrasio lui medesimo col velo, Tiziano, che non fu minor di questi, né d’altri che fosse mai, ingannò quasi tutti i principali baroni e cavalieri di Carlo V che, impassando per la sala ove era il quadro, lo riverivano, stimandolo veramente il vivo et vero imperatore”.
La notizia riferita dal biografo è priva di fondamento e riconducibile all’identificazione del binomio Tiziano-Carlo V con Apelle-Alessandro Magno, quest’ultimo forse suggerito da un passo di Plinio, da cui sarebbe tratta pure l’evocazione di Zeusi e Parrasio, dove si ricorda che l’artista greco avrebbe effigiato Antigono in armatura e cavallo. Né si può escludere che l’errata informazione sia scaturita dall’elaborazione fantasiosa dei racconti, altrettanto privi di veridicità, intorno ad un’immaginaria cavalcata compiuta dall’imperatore e dal pontefice per le vie di Bologna.
Ad essere manipolato è anche il ricordo della morte del pittore. Come riferisce Tizianello, l’avo fu inumato “nella chiesa dei Frari di Venezia benché avesse, morendo, ordinato di dover essere sepolto nella chiesa arcidiaconale della sua Patria, nella suddetta cappella della vera famiglia: ma ciò non seguì perché s’interpose una mortifera pestilenza che non lasciò eseguire in questo l’ordinazione di lui. Piansero la morte di questo grand’uomo tutti gli amorevoli cittadini della sua Patria e tutti i virtuosi d’ogni qualità, né i poeti di maggior grido rimasero di far onorata memoria alla sua virtù”.
L’asserzione che Tiziano, dopo aver inizialmente vagheggiato di essere sepolto ai Frari, avesse infine optato per l’Arcidiaconale di Pieve, “dovette appartenere – osserva Puppi – ad un retaggio familiare, confidando la propria sopravvivenza nella tradizione orale”. Quanto alla commozione che la sua dipartita avrebbe suscitato nei concittadini, si tratta di pura invenzione: nei fatti, la morte del pittore non ebbe pubblica risonanza, tanto che non fu registrata nemmeno nelle riunioni del consiglio della Magnifica Comunità di Cadore.
Ultima bugia: in conclusione del Breve compendio l’autore tesse le lodi dell’indole generosa e liberale del maestro, cui viene riconosciuto un “animo rilevato et grande onde, quando faceva viaggi alla corte dei principi, conduceva con molta spesa onorata seco ei suoi parenti”.
Ebbene, l’affermazione non trova alcun riscontro nelle carte pervenute e, in ogni caso, non rispecchia le abitudini dell’artista che, negli spostamenti, sembra invece piuttosto sparagnino. La parsimonia e la spregiudicatezza di Tiziano, scaltro uomo d’affari, sono d’altronde incontestabili, e poco si addicono con lo spirito “candido” a lui attribuito dal suo biografo.
Pinocchietto Tizianello, le bugie pazzesche del pronipote di Tiziano
Un discendente di Tiziano scrisse nel Seicento una biografia del grande maestro
nella quale l’intento celebrativo prevale sull’obiettività. Così, l’artista avrebbe dipinto all’età di soli nove anni
una mirabile Madonna. E davanti al ritratto di Carlo V a cavallo, la folla si sarebbe inchinata prendendolo per vero…