La vicenda artistica di Guido Strazza (Santa Fiora, Grosseto, 1922) inizia, appena ventenne, dopo un incontro a Milano con Filippo Tommaso Marinetti, che vede i suoi disegni e lo invita alle mostre di aeropittura che si tengono, nel 1942, a Roma e a Venezia.
E’ un incontro “fatale”, al quale ne fanno seguito tanti altri, così rievocati da Strazza: “Marinetti mi ha aperto gli occhi sull’arte contemporanea; l’amicizia con quel vecchio maestro era un’esperienza straordinaria, ma io tiravo dritto per la mia strada. Mi sono laureato e ho fatto l’ingegnere per due anni”.
Poi la decisione che rivoluziona la sua vita, e cioè la scelta, molto coraggiosa, di dedicarsi interamente alla pittura: nel 1948 si reca in Sudamerica, spostandosi dal Perù al Cile e al Brasile. A Lima è tra i promotori della “Agrupaciòn Espacio”, l’associazione di architetti ed artisti che lavorano al progetto di ristrutturazione della città di Callao colpita dal terremoto, a Rio de Janeiro conosce Fayga Ostrower, che lo inizia alle tecniche incisorie, e a San Paolo, pittore oramai di successo, espone alle Biennali del 1951 e del 1953.
Rientra in Italia nel 1954, concentrando la sua ricerca nei “racconti segnici”; nel ’63 si stabilisce a Roma, dove frequenta i laboratori della Calcografia Nazionale, allora diretta da Maurizio Calvesi, per approfondire il linguaggio dell’incisione. I risultati, basati sul rapporto cangiante segno-luce e, in seguito, sul rapporto luce-geometria, otterranno una sala personale alla Biennale veneziana del 1968. Sarà Carlo Bertelli, divenuto direttore della Calcografia nel 1974, ad invitare Strazza ad impostare una didattica dell’incisione, a cui egli si dedicherà con passione, competenza ed originalità. Nel 2003 riceve il premio Feltrinelli.