Innumerevoli sono gli artisti che, tra Otto e Novecento, hanno ceduto al richiamo dell’assenzio, leggendaria ancorché pericolosa – a quei tempi – bevanda che sedusse e ispirò personaggi quali Degas, Manet, Van Gogh, Toulouse-Lautrec. Quest’ultimo, addirittura, non usciva mai di casa senza un bastone da passeggio concavo in grado di contenere mezzo litro del liquore (e con bicchiere a parte). Altri aneddoti sono raccontati da Phil Baker nel suo volume, Il libro dell’assenzio (Voland editore), che ricorda pure come quei pittori – e con essi molti poeti, da Rimbaud, a Verlaine, a Baudelaire – fossero assidui frequentatori dell’ “ora verde” parigina, una sorta di happy hour ante litteram, che dalle cinque alle sette del pomeriggio trasformava i locali della Ville Lumière in una sorta di vivace agorà della cultura del tempo. La “fata verde”, cioè l’assenzio, dava un contributo alla socializzazione e alla leggerezza, che tale non restava, dopo qualche ora di bevute.
L’assenzio – un liquore verde, che diventa biancastro, con l’aggiunta necessaria d’acqua, e dal sapore d’anice – fu bandito dal commercio a causa della gravità del problema sociale dell’alcolismo, dei bassi costi dello stesso che consentiva vasti consumi e dalle contraffazioni pericolose che, nell’ambito di una politica economica sempre più concorrenziale, avevano immesso sul mercato prodotti molto scadenti e manipolati, con alcool industriali e coloranti quali l’ossido di rame. Questo liquore si ottiene distillando erbe officinali tra cui artemisia absinthium -un arbusto alpino molto comune – anice verde, finocchio, melissa, coriandolo ed issopo. La colorazione verde si ottiene successivamente, con l’aggiunta e la macerazione di altre piante.