Non si allontanò troppo dal centro abitato, quell’ultimo giorno, Van Gogh. Posò il proprio cavalletto in via Daubigny, ad Auvers sur l’Oise, un piccolo centro a una trentina di chilometri da Parigi, dove si era trasferito da alcuni mesi dopo aver lasciato la Provenza. Uno studioso di Van Gogh avrebbe trovato il punto esatto in cui l’artista lavorò a quello che viene ritenuto il suo ultimo quadro, Le radici, un’opera rettangolare formata, a livello della tela, dall’accostamento di due quadrati; un formato singolare – che caratterizza altre sue opere dell’ultimo periodo – in cui era possibile dirigersi verso l’astratto e il presagio dell’informale. Soggetto tormentato, quel primo piano di texture, di tronchi su radici attorte, senza la possibilità d’un cielo, presumibilmente affrontato proprio quella domenica di grande dolore dell’anima che precedette la morte, che sarebbe avvenuta, a causa di un’emorragia provocata da un colpo di pistola, all’ 1 e 30 della notte del martedì successivo, il 29 luglio 1890, in una stanza d’albergo. Il pittore aveva passato tutta la giornata di domenica, a dipingere. Fu proprio qui?
Il punto di presa diretta della realtà è stato indicato in queste ore, proprio nel paese di Auvers sur l’Oise, dallo studioso di Wouter van der Veen dell’Institut Van Gogh che l’ha identificato in una cartolina dell’epoca, nella quale appare il profilo del boschetto che s’affaccia strada e la terra erosa, alla nostra destra. Sua è la ricostruzione, che pubblichiamo, qui sopra.
Nelle scorse settimane, durante il lockdown, Wouter van der Veen stava catalogando e riordinando le immagini digitalizzate di vecchie cartoline del paese, prodotte da fotografie scattate tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Cartoline preziose perchè consentono, appunto, di osservare le case, le strade e i passaggi che circondavano il pittore nel periodo estremo della sua vita. Estremo. Ma Van Gogh aveva solo 37 anni.
. ” Mentre facevo questo lavoro di riordino al computer – ha detto lo studioso – mi è suonato il telefono. Ho risposto e ho lasciato l’immagine fissa sul video del computer”. E’ stato in quel momento, di fronte alla foto del bosco che dirupa, al ciclista che sale l’erta e all’atmosfera serena del luogo, che il ricercatore ha visto, alla sua destra, le immagini delle radici sofferte e il suo pensiero ha proiettato una sovrapposizione: quadro più cartolina. Stessa forma, contorta. Come serpenti.
Già nel 1882, mentre era all’Aia , van Gogh aveva fatto uno studio sulle radici degli alberi che aveva completato contemporaneamente a una versione più grande (ora perduta) . In una lettera a suo fratello Theo , Van Gogh aveva scritto che voleva esprimere qualcosa che avesse a che fare con la lotta della vita.
Ma, oggettivamente – vediamo l’opera degli anni giovanili, qui sopra – nonostante la tenebra, lo sguardo è completamente diverso. Nell’ultimo quadro, il pittore non ha cielo e viene divorato dalla conoscenza profonda della materia, nella quale precipita, come in un gorgo (curuz)
Van Gogh passò in questo punto l'ultima giornata di pittura. Dipinse radici attorte. La scoperta
Non si allontanò troppo dal centro abitato, quell'ultimo giorno, Van Gogh. Posò il proprio cavalletto in via Daubigny, ad Auvers sur l'Oise, un piccolo centro a una trentina di chilometri da Parigi, dove si era trasferito da alcuni mesi dopo aver lasciato la Provenza. Uno studioso di Van Gogh avrebbe trovato il punto esatto in cui l'artista lavorò a quello che viene ritenuto il suo ultimo quadro, Le radici, un'opera rettangolare formata, a livello della tela, dall'accostamento di due quadrati; un formato singolare - che caratterizza altre sue opere dell'ultimo periodo - in cui era possibile dirigersi verso l'astratto e il presagio dell'informale