Come se il Novecento non bruciasse il modo di far pittura del passato, l’artista restò devoto a un linguaggio immutabile, senza ricerche o contaminazioni. Con due passioni: una per il paesaggio, l’altra per il ritratto.
Di Piero Galanti (Brescia 1885-1973) resta nella memoria la figura austera, appena piegata dalla tarda età, ma anche dalle contrarietà vissute, causate dalle nuove istanze emergenti, in grado di mettere in dubbio quanto profuso nella lunga carriera. Egli ha rappresentato un’espressione significativa della pittura bresciana, nonostante che due guerre gli abbiano imposto di riprendere faticosamente il cammino. Forte comunque il suo credo: l’artista darà tanto più quanto più è sincero con se stesso. Così dichiarava negli anni della prima affermazione. Fedele a tale convincimento, la sua opera non palesa rimandi a maestri, ma piuttosto dice quanto l’autore sia riuscito a porsi di fronte alla natura o alle immagini che lo hanno attratto con animo sgombro da pensieri o formule preconcette, riuscendo a ricrearle secondo la propria sensibilità. Trasgredendo alle indicazioni dei genitori che lo volevano impiegato, giovanissimo si iscrive alla scuola Moretto e, per sopperire alle necessità contingenti, frequenta prima lo studio dell’architetto Dabbeni, poi, a Milano, si impegna come disegnatore di cataloghi. Il primo conflitto mondiale lo vede per sedici mesi sul Pasubio; al ritorno in città il suo nome è presto noto. Tra i temi a lui cari è il Garda, immerso in serotine atmosfere silenti.
E’ assiduo di ogni località lacustre: Portese, Tremosine, Fasano rappresentano la premessa a quella lucente contemplazione della natura fissata in tantissime tele che compongono un “diario” proiettato pure alle valli, ai verdi declivi, ai boschi ombrosi, vedute inverate da ritratti di contadini al lavoro, massaie, lavandaie elevati a protagonisti. Ma ritrattista, Galanti lo sarà nel senso pieno della parola, richiesto da esponenti della borghesia e della nobiltà di casa nostra. I soggetti sono interpretati secondo la migliore tradizione ottocentesca locale, ed emergono da fondi scuri che contribuiscono a far risaltare i caldi toni delle carnagioni, realizzate con accurate pennellate d’impasti sottili. Nel repertorio della sua ritrattistica compaiono, fra gli altri, l’avv. Cavalleri, il prof. Padula, il prof. Vincenzo Lonati, le contesse Fenaroli e Cantoni, il maestro Lualdi, il dottor Belpietro… Né mancano i lineamenti dei vescovi Tredici e Gaggia, dei pontefici Pio XI e Paolo VI, del sen. Montini. A completamento, i numerosi visi di fanciulli, le nature morte, opere tutte propizianti a Piero Galanti l’invito a partecipare a manifestazioni a Venezia, Roma, Torino, Firenze…
Piero Galanti –
Di Piero Galanti (Brescia 1885-1973) resta nella memoria la figura austera, appena piegata dalla tarda età, ma anche dalle contrarietà vissute, causate dalle nuove istanze emergenti, in grado di mettere in dubbio quanto profuso nella lunga carriera. Egli ha rappresentato un’espressione significativa della pittura bresciana, nonostante che due guerre gli abbiano imposto di riprendere faticosamente il cammino