Mio cognato Van Gogh – Le testimonianze della moglie di Theo, che salvò Vincent dal Nulla

L’argomento più doloroso, quello della follia, con le sue infauste implicazioni, viene relegato ai margini di un racconto che si concentra invece sul delicato ritratto di una vicenda di intensi rapporti umani, di cui l’arte rappresenta il culmine. L’intento palese di Johanna è stato quello di assumere la difesa di Vincent, quell’“eccentrico”, che in vita dovette sempre lottare con l’incapacità di comunicare col mondo, e che riuscì a farlo, a modo suo, solo attraverso intense pennellate di colore


Absondita ha pubblicato il memoriale di un narratore d’eccezione: la cognata di Van Gogh, Johanna Gesina Bonger, moglie del fratello di Vincent, Theo; ciò che la rende un documento prezioso, che si connota per la linearità e la semplicità del racconto e per la contemporanea complessità di riflessi e di rimandi emotivi e sentimentali che vi si riversano.

Johanna si accinse a scrivere il resoconto della vita di Vincent e Theo nel 1913, per il desiderio di lasciare al figlio (Vincent Willem) una storia riferita con le proprie parole, non come quelle degli altri, una storia capace di portare in evidenza soprattutto il profondo legame d’amore reciproco che, a dispetto di tutto, univa i due fratelli. Ogni informazione riguardante la fanciullezza dei Van Gogh le giunse direttamente dalla madre di questi, Anna, a cui Johanna, peraltro, non mancò mai di riservare rispettosa delicatezza, evitando qualsiasi tono che potesse dispiacerle. Per il resto, la fonte principale, oltre alla personale esperienza, furono le lettere che Vincent e Theo si scambiarono per tutta la vita. Il risultato è un racconto insolitamente dominato da una grande tenerezza, in cui gli aspetti più drammatici e tesi sono stati smussati dalle tinte sentimentali e riferiti sul filo della discrezione. Se si riscontrano omissioni, e a dire il vero non sono poche, l’unica colpa ascrivibile all’autrice è stata quella di concentrarsi in una biografia che fosse resoconto di una costante ricerca della serenità, compendio di momenti tranquilli e di crisi in qualche modo risolte, restituiti con indulgenza e dolcezza.
Ed è dunque comprensibile che l’argomento più doloroso, quello della follia, con le sue infauste implicazioni, venga relegato ai margini di un racconto che si concentra invece sul delicato ritratto di una vicenda di intensi rapporti umani, di cui l’arte rappresenta il culmine. L’intento palese di Johanna è stato quello di assumere la difesa di Vincent, quell’“eccentrico”, che in vita dovette sempre lottare con l’incapacità di comunicare col mondo, e che riuscì a farlo, a modo suo, solo attraverso intense pennellate di colore. Johanna (come si legge nella biografia, redatta dal figlio, che completa il volume) era nata nel 1862 e aveva sposato Theo van Gogh, che era amico di suo fratello Andries, nel 1889. Nel 1891, dopo un anno e mezzo di felice vita coniugale, coronata dalla nascita del piccolo Vincent Willem, e solo sei mesi dopo la tragica fine del pittore, Theo morì, e la giovane donna tornò in Olanda con il suo bambino, con alcuni mobili e con moltissimi quadri, a cui allora non si dava particolare valore: tra di essi circa duecento dipinti di Vincent, stimati approssimativamente duemila fiorini.


Nel soggiorno della sua casa di Bussum, piccolo villaggio a quindici chilometri da Amsterdam dove si era trasferita, sopra la mensola del camino trovava posto I mangiatori di patate, sul lato opposto, sopra la credenza, La mietitura, mentre Strada di Clichy era appeso sopra la porta. Sopra il pianoforte erano stati collocati quattro quadri di Monticelli; ai lati della credenza gli autoritratti di Guillaumin e di Bernard, e accanto al camino il Vaso di fiori di Vincent. Dal bordo del paralume di porcellana bianca della lampada a petrolio posta sopra il tavolo, pendevano alcune stampe giapponesi. In un’altra stanza, sopra il sofà di Theo rivestito da una coperta orientale, vi era un grande dipinto di Gauguin, dalla Martinica; e ancora, nel corridoio del piano inferiore si trovavano disegni di Vincent del cortile dell’ospedale di Arles e la Fontana a Saint-Rémy. Nella camera da letto i tre Giardini in fiore, Fioritura di mandorli e La Veillée di Millet. Nonostante le numerosissime richieste, Johanna si rifiutò sempre di vendere quelle opere, che conservò con religiosa cura insieme alle lettere che settimanalmente i due fratelli si scambiavano e che in seguito divennero il nucleo della collezione della Fondazione Van Gogh di Amsterdam, istituita nel 1960.
Nelle pagine del diario tenuta con meticolosa precisione durante tutto l’arco della sua vita, fatta eccezione per il periodo del matrimonio, Johanna annotò in data 7 aprile 1891: “Da alcuni giorni mamma Van Gogh è qui. Oggi, nel pomeriggio, siamo rimaste a sedere in veranda: mi ha parlato di tante cose, di aneddoti familiari, di ricordi del passato che amo moltissimo ascoltare. Devo conoscere tutto su Vincent – e poi mi accingerò a scrivere la sua vita”. In verità, leggendo il frutto di tale proposito, balza subito agli occhi che attraverso l’amore nei confronti del cognato, un amore di riflesso, Johanna celebrava quello per l’adorato Theo. Ecco infatti cosa confessava ad un amico riguardo alle lettere di Vincent: “Le lettere hanno preso un grande posto nella mia vita dall’inizio della malattia di Theo. Dopo la sua morte, la prima sera che trascorsi nella nostra casa andai a prenderle. Capii che attraverso di esse lo avrei ritrovato. Ogni sera questo era il mio conforto dopo una giornata vuota. Non era Vincent che io vedevo, ma Theo. Assorbii ogni parola, ogni particolare. Non solo lo lessi col cuore, ma con tutta l’anima. Ed è sempre stato così; le ho lette, rilette finché non ho visto chiaramente la figura di Vincent. Immagini per un attimo quel che provai ripercorrendo la grandezza e la nobiltà di quella solitaria vita d’artista. Immagini il mio dolore di fronte all’indifferenza del pubblico per la sua opera. (…) Vorrei farvi capire l’influenza che Vincent ha esercitato sulla mia vita. Furono Theo e Vincent ad aiutarmi e indirizzare la mia esistenza in modo che io possa essere in pace e serena con me stessa”. Scorrendo le pagine amorevolmente composte da Johanna, il lettore può accostare con uno spirito nuovo una delle vicende umane e artistiche più travagliate, dolorose e intense mai scritte, lasciandosi coinvolgere dallo spirito di commossa partecipazione con cui la donna si è impegnata a lasciare questo suo documento. Johanna Gesina Bonger, La vita e l’opera di Vincent van Gogh, Abscondita, 96 pagine + un’appendice iconografica.
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[PDF] Mio cognato Van Gogh



STILE ARTE 2007

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Redazione
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