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Dobbiamo chiederci cosa sia avvenuto nel Novecento, sotto il profilo antropologico, a fronte di una notevole circolazione e diffusione di conclamate icone pop o popolari, che dir si voglia. Volti di eroi e di capi di Stato rivoluzionari (il Che o Mao), di attrici che reincarnarono, in chiave filmica, il mito di Venere (Marilyn Monroe), di pensatori (Marx o Sartre) chiamati a rappresentare il nuovo empireo all’interno di una società progressista che aveva eliminato le immagini religiose o che aveva trasformato il mondo della fede nella testimonianza arcaica di un messaggio di giustizia e di equità.
Eppure, nonostante tutto, le icone della modernità, le Marilyn di Andy Warhol o il Sartre di Guttuso, tesero ad occupare uno spazio del sacro fino a divenire icone in senso religioso. Guttuso, come numerosissimi intellettuali dell’epoca, fu attratto dalla figura di Sartre, soprattutto a partire dal momento in cui il guru dell’esistenzialismo portò il pensiero filosofico dalle aule universitarie in aperto campo politico, indicando, di fatto, quella che sarebbe dovuta apparire come una scelta ineludibile del moderno uomo di cultura: la militanza a sinistra, con l’accesso a realtà rivoluzionarie organizzate internazionalmente come il Partito Comunista. Non stupisce pertanto che il pittore siciliano abbia dedicato al maître a penser un intenso ritratto ordito con un linguaggio che assume i termini espressivi di una moderna scelta fideistica.
Il legame di amicizia tra il filosofo e il pittore risale alla fine degli anni Cinquanta. Il rapporto si sviluppa attorno al film I sequestrati d’Altona. De Sica trae infatti ispirazione dall’omonimo dramma sartriano, storia del figlio di un potente industriale tedesco che, durante la guerra, non aveva esitato a diventare un torturatore. Tornato a casa – e gravato dall’incubo della punizione e dal contrasto fra il suo fanatismo distruttore e la rapida rinascita del suo Paese -, era stato indotto a rinchiudersi in volontaria prigionia nella villa di famiglia, avvicinato solo da una sorella cui lo legavano torbidi rapporti. Guttuso era stato chiamato per realizzare i dipinti del film, affrontando l’intervento da un punto di vista scenografico.
Il pensiero di Sartre entrò peraltro nell’opera del pittore, che nel 1964 dichiarò: “La Crocifissione la pensai subito come un supplizio. Avevo cercato quindi di legare questa specie di protosupplizio ai supplizi attuali, idea che è stata poi adoperata da altri, da artisti ai quali mi onoro di essermi avvicinato, se non altro per questa idea, come Sartre che ha fatto l’inferno dentro una stanza, come Bacon che ha fatto proprio una crocifissione dentro una stanza”. In occasione della presentazione del ritratto guttusiano del filosofo francese – così ricco di valenze storiche -, la galleria propone altri lavori dell’autore nell’ambito del nudo, della figura e della natura morta. Contemporaneamente, sarà offerto al pubblico un parallelo percorso nell’arte di Giorgio de Chirico: una strada nel mito, tra pittura sontuosa, scultura, still life, che ci fa comprendere la distanza tra i due maestri, pur nella contiguità del linguaggio figurativo.
Sartre secondo Guttuso, l'amicizia tra il pittore e il filosofo
Il legame di amicizia tra il filosofo e il pittore risale alla fine degli anni Cinquanta. Il rapporto si sviluppa attorno al film I sequestrati d’Altona. De Sica trae infatti ispirazione dall’omonimo dramma sartriano, storia del figlio di un potente industriale tedesco che, durante la guerra, non aveva esitato a diventare un torturatore. Tornato a casa - e gravato dall’incubo della punizione e dal contrasto fra il suo fanatismo distruttore e la rapida rinascita del suo Paese -, era stato indotto a rinchiudersi in volontaria prigionia nella villa di famiglia, avvicinato solo da una sorella cui lo legavano torbidi rapporti