Bortolo Schermini, romantico misconosciuto

Fu un ottimo pittore sotto il profilo tecnico. Dalla copia del Moretto ai dipinti che rivelano un’anima aperta alle voci più intense del sentimento, nel secolo XIX che trascolorava



Quanti, varcata la soglia del santuario di Santa Maria delle Grazie, sostano innanzi al quarto altare destro, possono osservare la grande pala con i Santi Antonio da Padova, Antonio abate e Nicola da Tolentino recante gli stilemi di Alessandro Bonvicino, Moretto. Ma il dipinto è soltanto una copia eseguita da Bortolo Schermini (Brescia 1841-1896) dopo che nel 1890 l’originale è stato trasferito alla Pinacoteca Tosio Martinengo. A oltre un secolo dalla scomparsa, Bortolo Schermini appare un Carneade della pittura bresciana, nonostante in vita abbia goduto notevole considerazione giungendo a esporre accanto ai noti Campini, Ariassi, Faustino Joli, Cesare Bertolotti, Angelo Inganni, Amus, Lombardi, Faustini… Già durante gli studi presso la Scuola di disegno le sue doti gli erano valse premi nel corso di figura. Poco più che ventenne, dal 1862, impegnato quale addetto alla cancelleria del XVIII Reparto di stanza a Mondovì, ma operoso anche a Napoli e Firenze, fino alla campagna del 1866, poté comunque affinare la preparazione artistica alla visione dei capolavori di cui le città frequentate sono ricche; di quel periodo restano pure alcune vedute della campagna romana.

Allievo del Bertini presso l’Accademia milanese di Brera, consegue l’abilitazione all’insegnamento del disegno, meritando nel contempo una pensione elargita dal munifico Camillo Brozzoni. Ulteriori riconoscimenti acquisisce si a esponendo in Brescia, sia partecipando a manifestazioni lontane, come l’Esposizione universale di Vienna dove, nel 1873, “L’addio” lo addita quale originale pittore romantico. Il quadro è rappresentativo della produzione dell’artista nostro, annoverante fra altri soggetti quali “Bambina”, “Cardinale”, esposti in città nel 1875, così come “Mamma non piangere”, “Costume del primo impero” degli estremi anni Settanta. Particolarmente ammirato il volto di donna anziana (da alcuni ritenuto ritratto della madre del pittore) rilevato nel 1879 a Palazzo Bargnani ed oggi appartenente alle collezioni civiche. La piccola testa reca la soave espressione del viso emergente dal fondo scuro, la luce inonda e marca i lineamenti, vivacizza l’acuto sguardo volto all’osservatore. La considerazione acquisita porta Schermini a fare parte di commissione giudicatrice che nel 1880 attribuisce a Francesco Filippini la pensione triennale di perfezionamento in Milano; altrettanto è apprezzata la sua attività di docente che alfine, nel 1882, gli consente di portare all’altare Rachele Cappelletti, milanese di agiata famiglia, che lo rende padre di Luigi, nato nel 1883, e Giuseppe, deceduto immaturamente.


Dal 1884 al 1887 lo studio allestito in via Consolazione rimane pressoché deserto perché l’artista ha intrapreso un viaggio che lo ha portato a Nizza e Marsiglia. Ma con il ritorno a casa si rinnovano gli impegni per soddisfare le richieste di ritratti, sia la partecipazione a rassegne indette dall’Arte in famiglia o dal Circolo artistico ponendo in luce vari motivi, dal “Ritratto di Achille Coen” a “Gioie materne”, “Peonie”, “S’ingioiella la sposa”, “Menestrello”, “Offerta votiva”… alcuni dei quali confluiti nelle raccolte municipali. Scomparsa nel 1891 la diletta sposa, l’attività creativa di Schermini accusa brusco rallentamento, fino al giorno della morte, avvenuta dopo un periodo di ristrettezze: e con essa il sopravvenire di una dimenticanza che perdura e che andrebbe presto colmata. (riccardo lonati)

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