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La Pala di Castelfranco di Giorgione è un’opera realizzata col fine di adornare la cappella della famiglia Costanzo, in un connubio “divino” teso ad esaltare l’immortalità dell’anima attraverso la potenza evocatrice dell’arte. In seguito a radiografie, che integrano quelle effettuate nel 1978, si è scoperto come la pala abbia subito numerosi ritocchi sia per quanto riguarda la posizione del Bambino che nell’orientamento dello sguardo dello stesso; gli occhi, che erano precedentemente rivolti in direzione dell’osservatore, nella versione definitiva appaiono abbassati e chiusi in un atteggiamento riconducibile al sonno. Il volto è ora inclinato in direzione del sarcofago, quasi a volerlo proteggere.
Altre modifiche – e ciò appariva già chiaro nel 1978 – coinvolgono il sarcofago stesso, che è posto in sostituzione di quello che in precedenza era stato pensato come un parallelepipedo, mero elemento ornamentale.
In un saggio per il catalogo Giorgione (Skira), edito nell’ambito della mostra a Castelfranco, Francesca Cortesi Bosco sostiene che i pentimenti denoterebbero non indecisione da parte dell’artista ma una sua scelta ben ponderata; furono con ogni probabilità effettuati su richiesta del committente stesso. Secondo Stefano Settis le variazioni sono suscitate dalla vicenda estrema di Matteo Costanzo, giovane condottiero morto prematuramente in seguito a una malattia contratta nel corso della guerra del Casentino.
Francesco Sansovino nel Della origine et de’ fatti delle Famiglie illustri d’Italia lo descrive così: “formoso di volto, et di singolar presenza condottiero nel fior di 23 anni (…) si infermò nella guerra di Casentino (1498-1499); e morto in Ravenna l’anno 1504, gli fu inscritto nel sepolcro marmoreo”.
Appare allora evidente che la disposizione originale delle figure – già decisa da tempo dal padre di Matteo, il cavaliere Tuzio – fu cambiata in seguito al drammatico evento, e la pala conclusa e posta nella cappella entro la data scolpita nel sepolcro stesso, l’estate del 1504.
Gli occhi chiusi del Salvatore, infatti, il suo atteggiamento improntato alla dolorosa meditazione e il sarcofago sono elementi utilizzati nell’ambito dell’iconografia di morte e resurrezione e sarebbero da correlare al decesso del giovane. Un estremo, affettuoso omaggio di Tuzio all’amatissimo figlio.