Presicce, siamo stati sottoterra per mostrarvi gli antichi frantoi oleari salentini. Le foto

Il territorio del comune di Presicce è, nel Salento, quello con il maggior numero di trappeti a grotta.I più antichi sono quelli dislocati sulla serra di Pozzomauro, dove i trappeti erano molto spesso annessi alle grancie basiliane del XII-XIII sec. e alle antiche masserie e casali del. XV-XVI sec. L'uso di scavarli nella calda roccia calcarenitica è molto antico ed è sicuramente legato alla presenza dei monaci greci che per primi introdussero nel Salento la coltivazione della vite e dell'olivo e le relative tecniche di trasformazione. Di conseguenza, il riutilizzo delle cripte a pianta rettangolare, in trappeti, condizionerà nei secoli successivi lo schema costruttivo di quelli presenti nel centro antico di Presicce

di Emanuele Bernardelli Curuz

Il Borgo di Presicce, uno dei Borghi più belli d’Italia, avvolge i visitatori in un’atmosfera elegante e nostalgica. La bellezza che puoi “sentire” passeggiando nel centro storico, dove tra corti e cunicoli noterai anche palazzi settecenteschi di rara bellezza, nasconde una città sotterranea ancora più singolare e suggestiva. Sotto Piazza del Popolo e lungo il centro storico abbiamo visitato, accompagnati dalla superba guida Angela Ponzo, i Frantoi Oleari Ipogei. Un sistema “arcaico industriale” di lavorazione delle olive che rappresenta un caso unico nell’ archeologia industriale a livello mondiale.

Abbiamo abbandonato i raggi di un sole estivo, scendendo diversi scalini, mancava solo una torcia per sentirsi come Indiana Jones. Una scalinata suggestiva che ci allontanava dal presente e ci conduceva in una nuova e antica dimensione.
Eravamo sottoterra, lontani dalla vita quotidiana, nel silenzio di un tempo lontano, di fatiche, di sacrifici e di storia.

L’aria è umida, i raggi del sole arrivano solo dalle grate sopra le nostre teste. Ci addentriamo nell’antico frantoio con la nostra preziosa guida che comincia il suo racconto, descrivendo con precisione ogni singolo angolo, sensazione ed emozione. Il tempo sembra fermarsi e non ci resta che ascoltare e documentare.

FRANTOI IPOGEI

“Il territorio del comune di Presicce è, nel Salento, quello con il maggior numero di trappeti a grotta” – spiega Angela Ponzo – I più antichi sono quelli dislocati sulla serra di Pozzomauro, dove i trappeti erano molto spesso annessi alle grancie basiliane del XII-XIII sec. e alle antiche masserie e casali del XV-XVI sec. L’uso di scavarli nella calda roccia calcarenitica è molto antico ed è sicuramente legato alla presenza dei monaci greci che per primi introdussero nel Salento la coltivazione della vite e dell’olivo e le relative tecniche di trasformazione. Di conseguenza, il riutilizzo delle cripte a pianta rettangolare, in trappeti, condizionerà nei secoli successivi lo schema costruttivo di quelli presenti nel centro antico di Presicce”.

La loro tipologia, infatti, è semplice e svincolata da ogni sorta di codifica, discostandosi in modo sostanziale dagli altri impianti ipogei presenti nel Salento che presentano schemi costruttivi più complessi ed articolati.

Il motivo più comunemente noto che faceva preferire il frantoio scavato nella roccia a quello costruito, era la necessità del calore. L’olio solidificando intorno ai 6°, necessitava per la sua estrazione, di un ambiente riscaldato. II che poteva essere assicurato solo in un sotterraneo, “riscaldato” dai grandi lumi che ardevano notte e giorno, dalla fermentazione delle olive e, soprattutto, dal calore prodotto dalla fatica fisica degli uomini e degli animali. A questo va aggiunto anche un motivo di ordine economico: il costo della manodopera per scavarli era relativamente modesto, non richiedendo l’utilizzo di manodopera specializzata, ma solo lavoro fisico. Scavare era più economico che costruire.

I primi trappeti a grotta vennero scavati intorno al XIII sec. nel centro abitato, ai margini del fossato che delimitava il mastio normanno, costituendo sicuramente il nucleo di frantoi più antichi.

Nel 1600, Presicce contava ben 23 trappeti a grotta, dei quali 17 padronali e 6 baronali. Un numero così elevato di frantoi padronali, e quindi privati, era dovuto alla presenza di un potere feudale molto debole, che non è mai riuscito ad arrogarsi lo “jus trappeti” e cioè la tassa sulla produzione dell’olio.

Questo ha favorito tra la fine del ‘500 e il ‘600 l’arrivo di numerose famiglie nobili e borghesi che scelsero di trasferirsi a Presicce approfittando della debolezza dei principi locali.

Quasi tutti gli ipogei presenti sono stati costruiti rispettando poche ed essenziali regole architettoniche: l’accesso era costituito da una scala degradante dai 30 ai 40° larga 12 palmi e lo spessore del soffitto doveva essere almeno di 6 palmi.

La grotta interna comprendeva un vano circolare per la vasca e la macina, la stalla, le cuccette, oltre ai vani per l’alloggiamento dei torchi. I camini, per lo scarico delle olive direttamente dalla strada attigua, avevano le rispettive aperture sulla fiancata della scala d’ingresso a pochi metri dalla vasca di molitura.

All’interno del frantoio lavoravano dalle sei alle sette persone sotto la direzione di un capociurma, detto “nachiro”, che doveva inoltre controllare il quantitativo delle olive scaricate per conto dei singoli contadini e dare la precedenza assoluta alla macinazione delle olive del proprietario del trappeto.

I trappeti a grotta sono stati utilizzati sino alla fine dell’800 e i primi anni del ‘900, dopodiché l’avvento di nuove tecnologie per la produzione dell’olio di oliva e l’impraticabilità igienica degli ambienti ipogei hanno causato il loro progressivo abbandono e il loro riutilizzo come magazzini, o nella peggiore delle ipotesi, come discarica per materiale di risulta.

Presicce, la “Città degli Ipogei e dell’Olio”

La recente denominazione di “Città degli Ipogei e dell’Olio” affonda le sue radici nella secolare vocazione olearia del territorio presiccese, dominato da estese foreste di ulivi, definiti “di non comune grandezza” già alla fine del Settecento da un viaggiatore svizzero, il conte Carlo Ulisse De Salis Marschlins, durante il suo viaggio nel Regno di Napoli.

Sulla Serra di Pozzomauro, tra la roccia viva, il monumentale “paiarone” e le vestigia dell’omonimo casale medievale, l’olivo fa bella mostra di sé e perpetua con fierezza la sua “anima olearia”, simbolo di identità territoriale e di continuità fra passato e presente, fra memoria storica e produzione attuale. Un’anima che non è visibile immediatamente ma che si configura in modo concreto nella Presicce sotterranea degli antichi impianti di produzione dell’olio, i frantoi ipogei, preziose testimonianze di archeologia industriale e di civiltà contadina.

Nel 1853, Giuseppe Castiglione aveva rilevato “a colpo d’occhio” che più della metà del territorio «è addetto ad oliveti, e quindi il principal prodotto deve essere, come è di fatto, l’olio». L’atavico legame tra città e campagna si può ancora cogliere nella sua completezza: attraverso i luoghi della coltivazione, della lavorazione e della trasformazione del prodotto è possibile seguire un percorso di consuetudini e di storie più che mai vive. Oggi come ieri l’intera comunità si riconosce nell’olio, patrimonio di cultura, di valori e di vita.

La città sotterranea

La Presicce invisibile, quella sotterranea dei fiabeschi antri dei trappetari aveva portato il progresso alla nuova Presicce delle vie ampie e soleggiate, palazzi fortificati, nuove chiese e cappelle, colonne votive, complesso di una comunità borghese, colta e lungimirante». Così Carmelo Sigliuzzo aveva evidenziato nei suoi manoscritti lo stretto legame tra il “luminoso” centro urbano e gli antri oscuri dei frantoi, definiti “trappeto” o “tarpeto” dalle fonti documentarie. La produzione di olio aveva generato ricchezza e benessere nella piccola comunità e aveva impiegato ingente manodopera a diverso titolo; infatti, «vi era lavoro per tutti: donne adibite alla raccolta delle olive, carrettieri per il trasporto, trappetari, viatecari (sic] che trasportavano l’olio a soma con otri a Gallipoli, sensali e commercianti». L’importanza della piazza presiccese era espressa dalla “voce dell’olio”, bandita in piazzetta Sant’Andrea, i cui prezzi stabilivano anche l’andamento del mercato nei paesi vicini.

La singolare, suggestiva ed immensa città sotterranea è l’aspetto concreto della secolare anima olearia, rappresentata da ben 17 frantoi ipogei nel 1745, che raggiungono il ragguardevole numero di 23 nel 18161 e di 22 nelle statistiche della Camera di Commercio di Lecce dell’ultimo quarto del XIX secolo. La più recente indagine speleologica (1992) aveva censito 23 “trappeti a grotta”*, di cui uno nell’area rurale del casale medievale di Pozzomauro, rilevato anche nel 1541 nell’apprezzo dei beni della Curia Baronale di Pozzomauros. Non è stato computato il frantoio di pertinenza della masseria Pesco.

La mancata riconversione tecnologica al fine di aumentare e migliorare il prodotto per rispondere alle esigenze del mercato non era stata operata dai proprietari per una serie ragioni tecniche, legate alla stessa morfologia degli invasi: in primo luogo, gli ipogei, spesso confinanti tra loro, erano troppo modesti per ospitare attrezzature più imponenti; i depositi per immagazzinare le olive raccolte erano scarsi e di piccola entità perché ingabbiati nel sistema urbano e, infine, era impossibile ampliare la grotta principale per l’esiguità della roccia di copertura18. Il monito del Castiglione, quindi, non aveva avuto seguito e i frantoi sotterra-nei, non adeguati alle trasformazioni imposte dal mercato, alla fine dell’Ottocento furono abbandonati.

Non esiste una datazione certa di queste strutture; la fase di realizzazione sarebbe collocabile, secondo le indicazioni dell’indagine speleologica del 1992, tra il XIII e il XVI secolo mentre il “trappeto a grotta” di Pozzomauro, ubicato nell’area rurale, risalirebbe all’XI-XII secolo.

Le aree sotterranee di maggiore densità sono localizzate lungo l’asse viario più antico, la via publica, corrispondente alle attuali vie Antonio Gramsci-Michele Arditi, con i sistemi ipogei di piazza del Popolo-via Castello e piazzetta Giuseppe Villani. La realizzazione della chiesa e del convento del Carmine nella seconda metà del Cinquecento aveva determinato lo spostamento dell’asse insediativo, ridisegnando una nuova rete viaria e un nuovo tessuto urbano, con edifici signorili dotati di frantoi ipogei.

In generale, la tipologia costruttiva dei “trappeti” di Presicce è semplice, gli invasi, scavati nel banco calcarenitico, erano costituiti da una grotta centrale intorno alla quale si distribuivano altri piccoli vani, destinati agli animali e alle grandi pile di deposito dell’olio.

L’accesso, orientato verso sud per non alterare la temperatura interna del frantoio, era caratterizzato da una scala più o meno ripida; ai suoi lati e, in parte, lungo le pareti rocciose, alcune piccole “finestre” indicavano la presenza di altri ambienti, posti in comunicazione diretta con il piano stradale attraverso aperture al centro della volta: si trattava delle cosiddette “sciave” o “sciaghe”, in cui venivano versate le olive raccolte in attesa di essere macinate. La scala di accesso immetteva di rettamente nella grotta principale, dominata dalla grande vasca di molitura con una pietra circolare (macina o pietra molare) che consentiva la frangitura delle olive. Vicino alla vasca era localizzata l’area della spremitura; qui si distribuivano i tre torchi “alla calabrese” con i rispettivi pozzetti di decantazione (angeli) e un quarto pozzetto centrale (inferno), in cui confluiva la morchia.

Se l’annata era buona, da settembre-ottobre l’ombrosa città sotterranea apriva i battenti e si animava fino a marzo-aprile, percorsa in lungo e in largo da “trappitari” (frantoiani o “marinari” o “ciurma”), “nachiri” (capi frantoiani o “nocchieri”) e asini o muli. Ai primi spettava prelevare le olive dalle “sciave”, versarle nella vasca di macinatura, riempire i “fiscoli” (gabbie circolari in fibra vegetale) di pasta d’olive appena franta da accatastare sotto i torchi, azionare i torchi per la spremitura e deporre l’olio nelle pile di deposito. Il “nachiro”, in qualità di responsabile del frantoio, controllava la quantità di olive versate nelle “sciave”, teneva il libro mastro, dava la precedenza alle olive del proprietario del “trappeto”, disciplinava i turni dei “trappetari” concedendo la possibilità di uscire durante le poche ore di riposo, raccoglieva l’olio dai pozzetti di decantazione con lu nappu (una sorta di piatto di latta), si occupava della pulizia del frantoio e della riparazione di macchine e attrezzi alla fine della stagione produttiva. Gli asini o i muli, invece, ruotavano per ore intorno alla vasca, azionando così la macina che frangeva le olive; erano dotati di paraocchi per evitare capogiri e di campanelle per segnalare il movimento.

INFO VISITE GUIDATE
Tel. 340 650 6421
e-mail: ufficioturistico@prolocopresicce.it

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Maurizio Bernardelli Curuz
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