Il Consiglio di Stato ha ribaltato in queste ore la decisione del Tribunale amministrativo riguardo al premio da corrispondere a Officine Immobiliari, la società coinvolta nel ritrovamento del Tesoro di Como. L’eccezionale scoperta avvenuta nel 2018 ha portato alla luce una brocca in pietra ollare contenente mille monete d’oro di epoca romana, tre anelli, una pepita e un lingottino, il tutto datato alla seconda metà del V secolo dopo Cristo. Lo riferisce il quotidiano Il Giorno.
Inizialmente, il Ministero della Cultura aveva determinato un premio di 369.041,36 euro per Officine Immobiliari, corrispondente al 9,25% del valore stimato del tesoro, pari a circa 4 milioni di euro. Tuttavia, la società aveva presentato ricorso al Tribunale amministrativo, sostenendo che il riconoscimento dovrebbe essere del 25% del valore, come previsto dal Codice dei Beni culturali.
Il Tribunale amministrativo respinse le istanze di Officine Immobiliari nel maggio 2022, sostenendo che non era mai stato adottato un provvedimento formale di concessione e che non era chiaro a chi dovesse essere attribuita la paternità del ritrovamento.
Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha ribaltato questa decisione, stabilendo che una volta esclusa la qualifica di concessionario, non può parimenti escludersi quella di scopritore. Secondo il Collegio, le attività di scavo erano state svolte direttamente dalla proprietaria, anche se attraverso la collaborazione con soggetti e macchinari incaricati. Pertanto, il ritrovamento del tesoro deve essere imputato direttamente a Officine Immobiliari, titolare del bene e delle attività in essere.
Il Consiglio di Stato ha fissato tre paletti fondamentali: la scoperta deve essere attribuita alla società incaricata dei lavori, non deve essere applicata la ritenuta d’imposta alla fonte, e la controparte deve partecipare al procedimento sulla quantificazione del premio. Questa decisione ha il potenziale di influenzare significativamente la valutazione del premio che spetta a Officine Immobiliari, in quanto il Consiglio di Stato sembra orientato a riconoscere un quarto del valore del tesoro, come previsto dal Codice dei Beni culturali.
Il Ministero della Cultura dovrà ora prendere in considerazione questa nuova prospettiva nella valutazione del ruolo giocato da Officine Immobiliari nel ritrovamento del Tesoro di Como, aprendo la strada a una possibile rivalutazione del premio e sollevando questioni cruciali sulla distribuzione equa dei benefici legati a scoperte archeologiche di tale portata.
Le monete del tesoro di Como appartengono alle emissioni degli imperatori Arcadio, Onorio, Teodosio II, Valentiniano III, Marciano, Petronio Massimo, Avito, Leone I, Maioriano, Libio Severo, Antemio e Anicio Olibrio. Sono presenti solidi anche a nome delle Auguste Aelia Pulcheria, Galla Placidia, Giusta Grata Onoria e Licinia Eudossia.
Sono presenti per lo più emissioni di zecche occidentali, con prevalenza di quella di Milano da cui provengono ben 639 solidi. Ciò indica che il Tesoro fu costituito in Italia settentrionale, nell’area direttamente dipendente da Milano per l’approvvigionamento monetale.
L’esame dei segni presenti sulle monete ha consentito di avanzare una proposta di ricostruzione della catena operativa di produzione, dall’affinamento del metallo, alla realizzazione dei tondelli e alla coniazione e di indicare quali dovevano essere le caratteristiche e le dotazioni degli spazi in cui avvenivano le diverse operazioni.
Se, infatti, per la verifica della temperatura dell’oro fuso erano necessari ambienti bui dotati di piccoli forni, per la coniazione era opportuno che le stanze avessero buona illuminazione e disponessero di postazioni di lavoro con incudini e martelli.
La presenza di frammenti di ferro in alcune monete è indizio del recupero dell’oro proveniente dalla limatura dei bordi per aggiustare il peso. Durante questa operazione i frammenti delle lime potevano non essere riconosciuti e finivano mischiati all’oro da rifondere.
La presenza nel Tesoro di consistenti gruppi di monete che non presentano tracce d’uso e che sono stati prodotti con la stessa coppia di conii suggerisce che il Tesoro contenga porzioni di pagamenti effettuati direttamente dalle casse imperiali a un ricco privato o a un ufficio pubblico. Si tratterebbe quindi di una riserva, costituitasi in almeno 15-20 anni, e nascosta fra la fine del 472 e i primi mesi del 473, ovvero fra la morte di Anicio Olibrio e la nomina ad imperatore di Glicerio nel marzo 473.
Fra i gioielli nascosti con le monete, i tre anelli portano segni d’uso mentre gli orecchini appaiono non finiti e devono provenire da un atelier orafo come pure gli altri manufatti in oro, fra cui un frammento di lingotto che le analisi hanno rivelato essere composto da una lega di oro e argento analoga a quella utilizzata per i monili. La presenza di questi oggetti dipende dalla volontà di preservare tutto il metallo prezioso che era stato possibile raccogliere.
I risultati degli studi sono pubblicati nel libro di Grazia Facchinetti, Il Tesoro di Como. Via Diaz 2018 (con contributi di Maurizio Aceto, Fulvia S. Aghib, Angelo Agostino, Marco Balini, Roberto Bugini, Stefania Crespi, Costanza Cucini, Luisa Folli, Emiliano Garatti, Annalisa Gasparetto, Barbara Grassi, Federica Guidi, Maria Labate, Alessia Marcheschi, Elisa Possenti, Agostino Rizzi, Eliana Sedini), edito, in collaborazione con la Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del MiC, dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato nella collana Notiziario del Portale Numismatico dello Stato.