Il Museo Gustavianum dell’Università di Uppsala, Svezia, e il Museo delle Belle Arti di Boston hanno raggiunto un accordo sulla restituzione di un antico sarcofago infantile egizio in ceramica, datato alla XIX dinastia (1295-1186 a.C.). Il sarcofago apparteneva a un bambino di nome Pa-nefer-neb. Il reperto archeologico fu sottratto attorno al 1970. E, con carte di accompagnamento false, venne venduto al museo americano 15 anni dopo.
Il contenitore è alto 1 metro e 9 centimetri. “La bara è realizzata con una ruota di argilla alluvionale, e il volto e il torace fanno parte di una piastra amovibile che permetteva l’introduzione del corpo. – recita la scheda del Museo di Boston – L’estremità della testa è ricoperta da un copricapo a strisce blu e gialle legato da una fascia di petali di loto con un fiore di loto blu pendente. Il viso e le mani incrociate sono dipinti di rosso e un elaborato collare floreale di petali di loto blu copre il petto. In basso, coppie di occhi wadjet, fiori di loto e sciacalli di Anubi fiancheggiano una figura della dea Nut con le ali spiegate. La parte inferiore della bara è divisa in quattro pannelli, i due superiori raffigurano il dio Osiride e i due inferiori raffigurano i quattro figli di Horus. Le fasce di testo geroglifico separano i pannelli. I geroglifici recitano: Dd mdw n Wsir nb nHH HqA Dt xnty Imnty”.
Nel 2023, lo staff curatoriale del MFA ha notato la discrepanza tra le informazioni sulla provenienza fornite al momento dell’acquisto e alcune vecchie fotografie del ritrovamento, durante lo scavo in Egitto, del sarcofago, pubblicate dal sito di raccolte fotografiche Unseen Images. Ciò ha spinto a un’indagine sull’acquisizione e sulla storia della proprietà del reperto. Il MAE e il Gustavianum si sono scambiati informazioni sul sarcofago e hanno stabilito che era stata prelevata dalla collezione del museo senza autorizzazione e doveva essere restituita.
Ma cos’era successo? I sarcofago scomparve dal museo svedese attorno al 1970. Si dice “attorno” perchè fu nel 1970 che i curatori si resero conto della scomparsa del reperto. Probabilmente il sarcofago non fu rimosso da una teca dell’area espositiva, ma da un deposito del museo stesso. Le sottrazioni nei depositi, infatti, – almeno a quell’epoca – risultavano più facili perché potevano passare anni prima che i responsabili del museo si accorgessero del furto. E nei casi migliori -. per i ladri – la sottrazione poteva non rivelarsi mai.
Nel caso specifico, i ladri lasciarono passare qualche anno. Poi produssero alcuni documenti falsi e iniziarono i tentativi di vendita. Non si sa se nel frattempo – cioè prima che il reperto approdasse a Boston – fossero avvenute anche vendite nel mondo del collezionismo privato. Quel che è certo è che nel 1985 il sarcofago fu ufficialmente acquistato dal Ministero degli Esteri di Boston e assegnato al museo cittadino. L’intermediario era un uomo che si presentava come agente di un artista svedese, che era morto nel 1999. La documentazione di vendita conteneva anche una lettera nella quale l’artista descriveva la propria partecipazione a uno scavo archeologico, ad Amada, in Egitto, nel 1937, durante il quale – sempre secondo la missiva – aveva trovato un sarcofago, che aveva ricevuto poi in dono dallo stesso Governo egiziano, come riconoscimento per i lavori di salvataggio di materiali archeologici, in previsione della realizzazione della diga di Assuan.
Il reperto egizio fu così esposto, dopo il 1985, per molti anni, dal Museo americano, il Mfa. Sono stati gli stessi curatori dell’istituzione culturale americana a trovare, on line, nel 2023, l’immagine di un antico scavo archeologico condotto nel 1920 – quindi 17 anni prima di quanto aveva scritto il pittore nella sua lettera e in un latro luogo – durante il quale – era evidente – era avvenuto il ritrovamento del piccolo sarcofago.
A quel punto gli americani hanno stabilito che il ritrovamento del sarcofago era avvenuto scientificamente nel 1920 a Gurob, in Egitto, a cura dalla British School of Archaeology, dopo di che era stato inviato a Uppsala, in Svezia, come avveniva alla fine degli scavi ai quali avessero partecipato, con l’invio di archeologi o di sovvenzioni, altre istituzioni.