di Claudio A. Barzaghi
[Q]uella che l’arte propone ad ogni piè sospinto è una sfida. E uno dei più affascinanti guanti di sfida lanciato allo spettatore, invitato così a cercare e scoprire al di là delle apparenze, è rappresentato da una “stranezza” chiamata volti nascosti. Bizzarro fenomeno, no? In un’arte visiva dove tutto è lì, davanti ai nostri occhi, e che siamo indotti a considerare realistica perché nuda e docile, ebbene proprio lì si nasconde qualcosa in grado di sfidare le nostre comode certezze. E non ci stiamo riferendo all’occulto riconducibile alla foresta di significati tipici, ad esempio, dell’alchimia o dell’ermetismo neoplatonico, ma a vere e proprie figure nascoste che con frequenza insospettabile vivono nell’opera a nostra insaputa.
Inoltre questi volti sembrano comportarsi capricciosamente, modellano rocce antropomorfizzandole o colonizzano nubi, quando non albergano nel marmo dipinto e nella finta tappezzeria per sfruttare a proprio vantaggio l’accogliente mutevolezza intrinseca dei materiali, inclusi riflessi e trasparenze. Di fatto ci sono, e una volta individuati non si possono più ignorare, né ricacciare indietro.
Naturalmente non stiamo parlando di quelle configurazione escogitate dalla nostra mente (il fenomeno si chiama pareidolia) mentre osserviamo del fogliame o lo screensaver del nostro computer; ma di vere immagini dipinte che vivono all’interno di altre immagini, spesso senza una ragione o spiegazione credibile.
La fenomenologia è ricca e complessa. Qualcuno ha definito la questione “mistero dell’arte occidentale”, e infatti in alcune opere i volti nascosti sono così numerosi da ricordare la stazione all’ora di punta – anche perché spesso hanno l’aria di chi va a zonzo -, mentre in altri casi il volto è singolo, ben definito e con qualche azzardo riconducibile a un soggetto preciso.
Come se quanto detto sin qui non fosse sufficiente a dichiararne la stranezza, di fatto se ne scoprono continuamente di nuovi in opere molto conosciute, ammirate e studiate scrupolosamente. E ogni volta la sorpresa è grande, così come l’emozione.
Recentemente è capitato a Michelangelo e alla sua Cappella Sistina. Non si tratta esattamente dell’individuazione di un “volto”, bensì di un organo ad esso riconducibile perché collocato nella testa: il cervello. Già, due studiosi statunitensi (però non storici dell’arte) hanno clamorosamente individuato nella Separazione della luce dalle tenebre, esattamente nel collo di Dio proprio sotto la corta barba, l’inequivocabile – secondo loro – descrizione particolareggiata di un cervello umano.
Michelangelo non è nuovo a simili rinvenimenti che inducono a ulteriori speculazioni. Anche Omar Calabrese aveva concentrato la propria attenzione sul Dio della Sistina, proponendo di considerare la sua mano, della quale si leggono perfettamente le linee del palmo, come un chiromantico “autoritratto bizzarro” dell’artista.
E nel 2004 Marco Bussagli si era spinto ancor più in là con il Giudizio Universale, individuando un gigantesco volto nascosto di Dio “disegnato” dall’intera opera: “I due fuochi compositivi delle lunette con gli angeli che portano gli strumenti del martirio, posti simmetricamente ai lati di un asse verticale che segna il centro della parete con il gruppo di Cristo e della Vergine, e una lunga linea orizzontale in basso, costituita dai gruppi di figure sottostanti la prima striscia di cielo, corrispondono allo schema del volto. L’effetto antropomorfo si rafforza se, socchiudendo gli occhi, riduciamo la composizione a due soli elementi di contrasto: il cielo, appunto, e le masse umane da considerare come un tutto unico con le nuvole. Sotto, costituito dall’azzurro del cielo, si apre l’ampio spacco della bocca schiusa come a proferire le terribili parole del Giudizio”.
Ma se con il nascosto nell’opera del “divino” Michelangelo è possibile trovare appigli interpretativi in quanto scrive Plotino nelle Enneadi: “Le arti non si limitano a una pura e semplice imitazione di ciò che passa dinanzi ai nostri occhi, ma salgono di scatto in alto alle forme ideali […] donde nacque la natura”, come giustificare l’umile volto nascosto in uno straccio da Jean-Baptiste Greuze? Ne La fidanzata del villaggio (1761), infatti, in un ambiente nel quale si festeggia un candido fidanzamento si cela un ambiguo “voyeur”, un po’ volto e un po’ maschera, che sotto forma di straccio osserva tutta la scena standosene appartato in un armadio socchiuso.
I volti nascosti sono divertissement, capricci, si obietterà, anche se si trovano in autori come Leonardo (che li teorizza), Piero di Cosimo e Dürer; tuttavia suscitano inquietudine e forse paura. Nella mostra dedicata al Giorgione a cinquecento anni dalla morte, solo in riferimento al Tramonto si fa prudente accenno a una figura dissimulata nella roccia: e questo è un autore che ha nascosto volti con costanza, soprattutto lì dove apparentemente non accade nulla e dovrebbe regnare la pura descrizione della natura e del paesaggio.
Più facile l’interpretazione di un altro ritrovamento nel Bacco di Caravaggio. Qui non c’è spazio per l’inquietudine, grazie a una riflettografia multispettrale a infrarossi: “Nella caraffa alla destra di Bacco – sostiene Mina Gregori – Caravaggio dipinse la sagoma di un personaggio in posizione eretta, con un braccio sporgente in avanti verso un cavalletto da pittore con sopra una tela. Di questa sagoma sono distinguibili i lineamenti del volto, in particolare naso e occhi. Per me è il suo autoritratto mentre stava dipingendo”.
Grande l’eco della scoperta, ma gli autoritratti clandestini, seppur piccoli e dissimulati, in epoca moderna sono frequenti. Indimenticabile quello del Mantegna (brillante nasconditore di volti nell’effimero delle nuvole) dissimulato nella finta tappezzeria della Camera Picta nel castello di San Giorgio a Mantova, e individuato anch’esso in tempi non lontani.
Comunque l’autoritrarsi non “autorizzato”, quasi a dire “non sono un intruso, bensì l’autore”, è un espediente giunto fino a noi, se solo si pensa che nel dicembre scorso il designer Marcel Wanders ha scolpito il proprio volto stilizzato sullo stelo di una nuova linea di bicchieri realizzati per Baccarat.
Insomma, effigi a imperitura memoria, esattamente quanto non si potrebbe dire di un’altra scoperta del 2008. Alle Scuderie del Quirinale di Roma viene allestita una mostra su Giovanni Bellini, e nelle finte specchiature marmoree di uno dei due pilastri della Pala di Pesaro è possibile osservare alcuni curiosi profili caricaturali e grotteschi. Epperò son poca cosa.
In definitiva, uno stupore che si rinnova attraverso i secoli. Come sostiene Enrico Castelli, i volti che popolano i quadri “si nascondono per essere cercati”.
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