[L]unghi baffi, barba fluente – ben evidenti nella plastica descrizione compiuta dagli scultori – il Bafometto è un elemento simbolico-decorativo di quella parte dell’arte romanica realizzata nell’ambito dei siti templari; un “idoletto” che non ha nulla di demoniaco e, pertanto, non va confuso, com’è avvenuto spesso, con diavoli e creature chimeriche presenti nella statuaria francese di matrice gotica.
E’ un semplice volto maschile, generalmente privo del corpo, una scultura, in genere, a tutto tondo che inserita tra le pietre della facciata della chiesa, del campanile o comunque in un punto evidente ed esterno dell’edificio di culto, affinché costituisse, al contempo, elemento di superiore di protezione e indicatore di un luogo caratterizzato dall’influenza dei cavalieri armati.
Chi è quello strano personaggio baffuto? Riavvolgiamo, per scoprirlo, la bobina del tempo, tornando al 13 ottobre 1307, quando i soldati del re di Francia si presentarono in armi presso tutte le commende templari del regno. Arrestarono i frati, li misero immediatamente sotto processo per sospetto di eresia. Ottennero, con la tortura, inquietanti confessioni. Si diceva che fossero adoratori di uno strano idolo dal significato oscuro, il cui volto era noto a tutti, ma la cui identità era conosciuta esclusivamente dagli anziani dell’Ordine.
Qualcuno confessò che l’immagine suscitava una devozione tale da giustificarne il bacio dei piedi. Il simulacro veniva inoltre pregato e venerato come Dio salvatore che accordava all’Ordine ricchezze, faceva fiorire gli alberi e germogliare le piante. Fu proprio attorno sul volto di Bafometto che fu basato, in buona parte, il castello accusatorio degli inquisitori.
Come dimostra Barbara Frale nel libro I Templari e la Sindone di Cristo edito da il Mulino, Filippo il Bello nel 1306 si trovava al centro di una sommossa popolare, causata da alcune manovre finanziarie che avevano procurato al regno una spaventosa inflazione. Il sovrano aveva dunque bisogno urgente di denaro. Fu allora che scattò la manovra di attacco verso l’Ordine. Fu un vero e proprio massacro.
Durante gli interrogatori, i Templari, ammisero l’esistenza di un’usanza tramandata nel più stretto segreto, una sorta di rito d’iniziazione, che obbligava il neofita a rinnegare Cristo e a compiere, attraverso lo sputo, un atto di oltraggio alla Croce. Tale prova, alla quale tutti dovevano sottoporsi, avrebbe avuto la funzione di ricordare le angherie subite dai cristiani – costretti a rinnegare la propria religione, una volta caduti nelle mani dei musulmani – e di temprare in modo terrifico il carattere dei cavalieri, con un’esperienza traumatizzante che permettesse di verificarne la totale obbedienza e abnegazione. Il tutto si svolgeva alla presenza del presunto Bafometto.
La sferza dei giudizi batté su un particolare inquietante: il personaggio sembrava sparire nel momento in cui ci si avvicinava troppo a lui e riapparire nel momento in cui ci si allontanava. Si trattava di un ritratto, una sorta di disegno monocromatico scuro su un fondo chiaro.
Alcuni frati sostennero che durante il rito veniva infatti mostrato loro un telo di lino su cui si stagliava la sagoma di un corpo d’uomo nudo a dimensione naturale. Un’immagine che risulta del tutto simile alla Sindone. Il Bafometto altro non sarebbe, come sostiene Barbara Frale, che il volto di Gesù impresso sul telo sindonico, stoffa che era piegata otto volte così da essere riposta in una teca, lasciando visibile solo il viso. L’apparizione e la scomparsa della fisionomia sarebbero stati provocati dalla natura della Sindone stessa, i cui tratti appaiono visibili soltanto a una certa distanza. Non è necessario che esista una perfetta coincidenza tra la sindone dei Templari e quella di Torino. L’immagine sacra si era segretamente diffusa e moltiplicata, come le immagini del volto di Cristo che venivano riportate all’episodio della Veronica. E’ pertanto assai probabile che il Bafometto sia stato ricavato dall’iconografia sindonica.
Secondo alcune ricostruzioni, il telo giunse nelle mani dei Templari durante il saccheggio di Costantinopoli da parte dei saraceni, nell’aprile del 1204. Costoro avevano profanato le chiese e i santuari della capitale. Per impedire che la reliquia fosse distrutta, i Cavalieri di Dio la portano in Europa, in gran segreto.
Il silenzio fu imposto poiché lo spoglio dei luoghi sacri aveva creato un consistente traffico di reliquie che aveva indotto il IV Concilio Lateranense a lanciare la scomunica a chi si rendesse colpevole di tale reato. Pensiamo allo scandalo se si fosse saputo che un gruppo di frati custodiva illecitamente la più preziosa reliquia di tutti tempi. Da qui la decisione, nell’ambito dell’Ordine, di far parte del segreto solo i membri più anziani. Tuttavia per l’estrema importanza dell’oggetto, si decise di riprodurre il volto della Sindone su legno, metallo e altri supporti e di distribuirlo a tutte le sedi Templari. Un altro aspetto da non sottovalutare – ai fini della conservazione in segreto della Sindone – era la tradizione iconografica religiosa del vecchio continente opposta all’immagine del dio sofferente.
Gesù era sempre rappresentato come un imperatore, gli occhi aperti, il volto sereno, senza la minima traccia di dolore, spesso riccamente abbigliato di porpora, ornato da un diadema d’oro che sostituiva la corona di spine. Per quasi mille anni i fedeli avevano adorato l’immagine di un sovrano impassibile, accostato alla croce quasi per caso.
La Sindone, sui fedeli, avrebbe avuto un impatto devastante. Un telo che recava l’immagine di un uomo nudo, insanguinato, annientato, con la testa riversa sul petto, non avrebbe permesso di riconoscerne, nonostante l’aderenza agli esiti del racconto evangelico, la maestà divina. I vertici dell’Ordine sapevano cosa fosse quel telo e l’importanza che racchiudeva. Il più prezioso ritratto di Gesù venne così conservato con estrema cura per circa centocinquant’anni. E da esso discese il volto del Bafometto, simbolo di devozione e di appartenenza.