di Luca Francesco Ticini
Luca Francesco Ticini è fondatore del Comitato per la promozione delle neuroscienze di Trieste, membro dell’Institute of Neuroesthetics di Londra e Berkeley e della Società italiana di neuroscienze.
[“A] picture has no meaning but its beauty, no message but its joy”: se l’arte per Oscar Wilde non aveva alcun fine se non quello di allietarci con la sua bellezza, recentemente è divenuta, al contrario, uno strumento valido per conoscere le leggi della nostra mente, che trovano espressione proprio nell’arte. Una delle sfide più complesse per i neuroscienziati è la pittura cubista. Vale la pena, quindi, soffermarsi sui misteri fisiologici che essa cela. Il Cubismo, allontanandosi dalla pittura tradizionale, rappresentò l’oggetto eliminando dalla tela gli effetti luminosi e la prospettiva: i primi perché identificano un particolare istante nel tempo, la seconda perché legata ad un’unica posizione nello spazio. In questo modo, gli artisti trovarono una possibile soluzione a ciò di cui Platone si era lamentato nel X libro de “La Repubblica”: l’incapacità dell’arte di catturare null’altro che un singolo punto di vista di un oggetto, che è solo una sfaccettatura dell’ideale più generale. Il risultato sulla tela è una rappresentazione del tutto originale che ritrae gli oggetti guardati simultaneamente da punti di vista differenti. Il dipinto, sviluppato in questa direzione, è così lontano dagli schemi convenzionali che non ritrae più la realtà rispettando le leggi della visione con cui siamo abituati a vedere il mondo.
La maggior parte delle cellule cerebrali è capace di riconoscere un oggetto solo se guardato da un singolo punto di vista; di conseguenza esse rispondono bene alla rappresentazione pittorica classica. Tuttavia, per categorizzare ciò che ci circonda, dobbiamo costruire una rappresentazione mentale generale, un ideale, astraendo gli elementi dalle condizioni variabili in cui, in ogni momento, gli oggetti si possono trovare. Esistono, per questo compito, alcuni gruppi di cellule dediti a riconoscere gli oggetti, come pure i volti, indifferentemente se questi siano visti da destra, sinistra, dal basso o dall’alto.
L’ideale che la mente elabora a livello di queste cellule è costruito allo stesso modo delle rappresentazioni del Cubismo: una sintesi dell’oggetto senza far riferimento ad un punto di vista privilegiato.
A mio parere, è lecito supporre che le attività di questi gruppi di cellule corrispondano alle funzioni del cervello esplorate dagli artisti e che esse siano, in un certo modo, l’obiettivo che l’opera cubista si prefigge di stimolare. Ciò nonostante, Picasso e gli altri cubisti avrebbero avuto molto più successo, in termini neurologici, se avessero dipinto i diversi punti di vista sì nel medesimo luogo, ma in successione temporale come avviene nel cinema. Però, se ciò fosse avvenuto non sarebbe nato il Cubismo.
Operando in modo molto simile al cervello, ma escludendo la dimensione temporale, non è permesso al dipinto di colloquiare facilmente con la mente dello spettatore. Infatti, le cellule di cui ho trattato prima non si attivano quando tutti i punti di vista sono mostrati simultaneamente. Il cervello in questo modo perde la sua funzione essenziale, raggiunta in milioni d’anni di evoluzione: acquisire una conoscenza immediata di ciò che ci circonda. L’opera cubista deve essere reinterpretata soggettivamente nel tempo: un successo artistico, ma un pesante fallimento in termini cerebrali.
Con mezzi diversi, altri artisti hanno tentato di rappresentare in un’unica opera differenti momenti nel tempo. Gian Lorenzo Bernini, per esempio, sviluppa il gruppo marmoreo “Plutone e Proserpina” in modo tale che, visto da sinistra, rappresenti la presa al volo con passo potente e spedito; visto di fronte, il vincitore trionfa fermo con Proserpina in braccio; visto da destra si scorgono le lacrime della donna e la sua preghiera al cielo mentre il cane a tre teste, guardiano infernale, abbaia. Momenti successivi sono qui sintetizzati in un’unica opera ed è l’osservatore che, muovendosi attorno ad essa, ne ricostruisce la storia nel tempo e la può elaborare in modo corretto.
In ogni caso, la scienza non ha ancora risposto chiaramente a molte domande sul Cubismo. Ritengo, perciò, che sia tanto più avvincente, affascinante e produttivo fermarsi a guardare le opere di Picasso e dei suoi colleghi perché stimolano ad interrogarci come la genialità dell’artista possa trovare ispirazione nei suoi meccanismi cerebrali.