Alberto Pasini, da Parma a Costantinopoli. Tra Romanticismo e Orientalismo

Stefano Roffi: "Il suo essere “romantico”, “verista”, “orientalista” non assumerà per lui, come per tanti altri, la gravità e lo spessore di vere e proprie ideologie; anche per questo, il trascorrere dall’una all’altra corrente, che in altri è spesso l’esito di un divenire esistenziale, in Pasini si verificherà senza problematiche e contraddizioni sofferte, perché si tratterà sempre dello stesso gusto – fortemente padano – dell’aderenza alla realtà delle cose". La mostra alla Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo

 

Alberto Pasini, La carovana dello Shah di Persia, 1867, olio su tela

Da Parma a Costantinopoli.
Il lungo viaggio di Alberto Pasini fra Romanticismo e Orientalismo
 
di Stefano Roffi
 
Il 10 ottobre 1813, nel parmense, nei pressi di Busseto, nasceva Giuseppe Verdi; tredici anni dopo, il 3 settembre 1826, a Busseto veniva al mondo Alberto Pasini. La mente e le mani di Verdi diedero origine a pagine immortali della storia della musica; la mente e le mani di Pasini riportarono sulla carta e sulla tela alcune fra le immagini più significative della pittura ottocentesca italiana. A unire i due maestri, oltre all’origine, fu lo sguardo all’Oriente, che in quel secolo forniva spunti alla cultura e alla fantasia del mondo occidentale rivolto al mito di Paesi al tempo percepiti come lontanissimi quanto leggendari, misteriosi, fiabeschi. L’Oriente, con Nabucco, I lombardi alla prima crociata, Il corsaro e Aida, per Verdi rappresentò un viaggio della mente e talora un escamotage narrativo per affrontare sul palcoscenico temi patriottici proibiti dalla censura; viaggio invece vissuto in prima persona per Pasini e affrontato non senza disagi tra Egitto, Sinai, Persia, Turchia, Palestina, Libano, Siria. I due si stimarono e si frequentarono. Come risulta da una lettera alla propria moglie del 29 settembre 1880, Pasini fu ospite di Verdi a Sant’Agata; all’incontro seguì una riguardosa e prolungata corrispondenza di tipo “natalizio”, di cui furono conservati gelosamente in casa del pittore buste e biglietti: in uno degli ultimi, del 1896, l’anziano Verdi così si rivolge al settantenne Pasini “… felice lei che, giovane ancora, può trovare sollievo nella meraviglia dell’arte sua, io non ho più né la volontà, né la forza”.
Se l’interesse per l’Oriente fu per Verdi legato a singole opere liriche, per Pasini divenne identitario della sua arte.
Una forte corrente di gusto rivolta alla cultura e agli usi orientali, ebbe origine in Francia nei primi anni del XVIII secolo con la pubblicazione di una celebre raccolta novellistica in arabo, resa nota in Europa col titolo Les mille et une nuits attraverso una libera traduzione francese di Antoine Galland, viaggiatore fra Turchia, Persia e Arabia, che riscosse uno straordinario successo e che iniziò la voga e lo studio in Europa della raccolta. L’Oriente, oltre che fonte di studi scientifici o meta di viaggi, a quel tempo venne evocato come luogo di suggestive architetture e rovine, meraviglie ed esotiche bizzarrie, ma assunse importanza di vero movimento artistico e letterario solo in epoca romantica, specie dopo le campagne napoleoniche in Egitto e in Siria (1798-1801). Per parecchi decenni costituì un validissimo supporto all’interesse per l’Oriente la politica coloniale europea in piena espansione, inoltre l’affermazione della fotografia come nuovo strumento, anche artistico, per rappresentare la realtà spingeva i pittori a nuovi difficili cimenti. In Italia, il culmine “popolare” di questo percorso improntato al gusto esotico si avrà nell’Aida verdiana, rappresentata alla Scala di Milano nel 1872 con le scenografie di Carlo Ferrario.
Massimo esponente pittorico orientalista fu Eugène Delacroix, la cui influenza toccò Théodore Chassériau e, attraverso di lui, raggiunse lo stesso Pasini. Delacroix, partì per il Marocco e l’Algeria nel 1832, al seguito di una missione diplomatica promossa dal re di Francia Luigi Filippo, spinto dalla volontà di visitare quello che definiva “l’Oriente mediterraneo”. A Tangeri, precursore dei cahiers de voyages, riempie i suoi taccuini di schizzi che hanno come soggetto la gente e la città, abbozzati sul posto, per trasporre le immagini su tela al suo ritorno in Francia; realizzerà un centinaio di dipinti, riuscendo persino a ritrarre, seppur con molte difficoltà, le donne di Algeri, nel celebre Donne di Algeri nei loro appartamenti del 1834. Arriviamo così a Pasini, l’unico italiano ad aver meritato un posto d’onore tra gli orientalisti europei, certamente il più noto. A diciassette anni, orfano di padre dall’età di due anni, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Parma, dove si distingue per la diligenza nel frequentare il corso di paesaggio e per alcune opere, che vengono premiate; il suo interesse si sposta poi verso il disegno, in particolare la litografia. Nel 1848 lascia l’Accademia, e un anno dopo partecipa alla I Guerra d’Indipendenza, soldato della Colonna dei Volontari di Modena; al rientro, per vivere progetta insegne pubblicitarie di negozi, etichette di acque minerali (Tabiano) o bibite. Verso la metà del secolo, l’artista realizza alcune litografie che riproducono le scenografie di Girolamo Magnani, di cui una per il Trovatore del compaesano Verdi, poi, sempre in litografia, le Trenta Vedute di Castelli del Piacentino, in Lunigiana e nel Parmigiano. Nonostante gli apprezzamenti, Parma gli va troppo stretta, forte è il desiderio di uscire dall’ambito locale e perfezionarsi là dove l’arte offriva spunti innovativi: la partenza per Parigi avviene nell’estate del 1851. Pasini porta con sé da Parma una lusinghiera lettera di presentazione del celebre incisore Paolo Toschi, che, insieme ad altri attestati di stima, gli consentirà di accedere agli ambienti artistici parigini. L’incisore parigino Henriquel Dupont lo mette in contatto con l’editore Lemercier e con Eugène Ciceri, ben lieto di poter contare su un valido aiuto per il proprio studio litografico. I due diverranno amici e si ritroveranno sovente nella casa di campagna di Ciceri, ai margini del bosco di Fontainebleau, quel luogo che, nel cuore dei paesaggisti romantici francesi, aveva preso il posto di Roma. Pasini venne così a trovarsi là dove dal 1830 al 1850 si era schierato tutto il fronte dei paesaggisti della “Scuola di Barbizon”: Rousseau, Diaz, Decamps, Daubigny, Dupré, Millet, Troyon, per citare solo alcuni dei più noti e da lui più studiati. Erano i pittori che avevano promosso il maggior rinnovamento della pittura francese e avevano mutato l’intero corso dell’arte europea, partendo da quella pittura di paesaggio che più interessava il nostro. Era quello, insomma, il massimo sodalizio culturale e professionale al quale potesse aspirare un giovane pittore italiano desideroso di apprendere. Pasini non si aggirò solo per Fontainebleau o sulle rive della Senna, ma, evidentemente già portato all’avventura, si spinse sulle coste della Bretagna e della Normandia, a Varengeville-sur-Mer, disseminata tra boschi e “falaises”, a Dieppe, a Etretat, i luoghi frequentati e dipinti da Monet alcuni decenni più avanti, alla scoperta di paesaggi strani e remoti, sull’esempio di Maxime Du Camp e di Gustave Flaubert, che, nel 1847 avevano percorso a piedi il nord-ovest della Francia alla ricerca di una bellezza inusitata, sempre più difficile da cogliere nella ordinarietà della vita urbana.
La sua litografia Le soir, del 1853, in quell’anno lo fece ammettere per la prima volta al Salon parigino; vi si scorgono affinità con gli spazi sconfinati e stranianti del pittore romantico tedesco Caspar David Friedrich, che in realtà volgeva lo sguardo verso mete più filosofiche e religiose, ad accendere i riflettori sulle angosce dell’uomo, sulla solitudine, espresse grazie al ricorso a una natura arcana e simbolica. Senza estremizzazioni romantiche, nelle opere di Pasini di questo periodo, fra il 1853 e il 1854, si avverte l’urgenza di riversare in pittura le emozioni provate per tutti quegli spettacoli naturali che gli si erano parati davanti negli ultimi mesi, tanto insoliti ed entusiasmanti per lui. Sono scorci di paesaggio intensamente sentimentali, dove poche e marginali sono le tracce della presenza dell’uomo; siamo alle prime battute della sua piena vita d’artista, già contraddistinta da questo spalancarsi di nuovi, inusitati orizzonti; ora sono quelli di Francia: boschi, radure, le impervie e drammatiche marine atlantiche, fiumi placidi, albe e tramonti dilatati nel tempo e nello spazio, nell’empito delle sensazioni vissute in una natura romanticamente partecipe. Più avanti saranno orizzonti d’Egitto, di Persia, di Turchia.
Il suo in realtà non è un temperamento passionale né drammatico; Pasini ha un carattere equilibrato, concreto, confortato in modo tipicamente ottocentesco dall’incrollabile fiducia nelle proprie capacità e nella propria buona volontà, una personalità che lo configura anche fisicamente come un qualsiasi affermato professionista del suo tempo: notaio, medico, gentiluomo di campagna che sia. Il suo essere “romantico”, “verista”, “orientalista” non assumerà per lui, come per tanti altri, la gravità e lo spessore di vere e proprie ideologie; anche per questo, il trascorrere dall’una all’altra corrente, che in altri è spesso l’esito di un divenire esistenziale, in Pasini si verificherà senza problematiche e contraddizioni sofferte, perché si tratterà sempre dello stesso gusto – fortemente padano – dell’aderenza alla realtà delle cose.
Molti anni dopo, riandando col pensiero a questo primo periodo francese, egli avrebbe spiegato allo storico dell’arte Giulio Carotti in un’intervista del 1895 apparsa postuma nel dicembre 1899 in “Emporium”:
“…cercando unicamente di rendere il vero colla maggior sincerità e col maggiore rispetto, cominciai lentamente ad acquistar qualche robustezza di impasto, migliori effetti di luce e d’ombra e più vigorosa intonazione ed armonia di colore: e se vi pervenni fu soltanto perché sentivo luce e colore dinanzi al vero e non pensavo al modo con cui gli artisti del tempo mio li rendevano sulle loro tele. Naturalmente ciò non esclude che, pur sentendomi poco portato verso le opere dei grandi artisti accademici, serbassi tutta la mia ammirazione per Théodore Rousseau, Jules Dupré, Camille Corot, Carl Daubigny, ma specialmente pel primo così potente e vigoroso, così felice interprete dei grandi effetti della natura. Dopo seppi che per lo appunto essi avevano conquistato la loro potenza e personalità praticando già per i primi un culto esclusivo e religioso per la natura”. E più avanti il Carotti “La conversazione ritornò poi sulle sue evocazioni nei quadri e poi si risalì agli artisti di Parigi che maggiormente gli piacevano e che egli osservava con maggior interesse. Per associazione di idee si passò da Rousseau a Troyon, a Diaz, a Dupré; agli inglesi che li ispirarono, a Constable, Bonnington e su al Turner…”.
Sul finire del 1854, il giovane Pasini lascia lo studio di Ciceri per l’atelier di Théodore Chassériau. Accantonata la litografia, la pittura è ora al centro dei suoi interessi, e, fuori dal paesaggismo sulla maniera dei Barbizonniers, Pasini ricerca un proprio linguaggio espressivo. Il grande cambiamento avviene a settembre dello stesso anno, quando Chassériau declina l’offerta di Nicolas Prosper Bourée, ministro plenipotenziario dell’imperatore Napoleone III, che lo vorrebbe come disegnatore ufficiale al seguito di una missione diplomatica presso la corte di Teheran. Propone il suo pupillo, ragazzo veloce nel disegno, bravo con i colori, abile nel ritrarre scorci e paesaggio: Bourée accetta. Al tempo della sua partenza per la Persia, Pasini aveva ormai appreso nello studio di Chassériau il metodo di fermare in appunti sommari i particolari di figure che potevano attrarlo, grazie a una prodigiosa sveltezza di occhio e di mano che gli consentiva di trasporre la visione in immagini controllatissime, quasi sempre risolte alla prima stesura. Quel viaggio in Oriente ne avrebbe segnato definitivamente le scelte figurative, e lo avrebbe avviato a una brillante carriera di pittore orientalista.
Il viaggio della delegazione parte a fine febbraio 1855, ma la Guerra di Crimea, che vede l’alleanza tra Impero ottomano, Francia, Gran Bretagna e Regno di Sardegna contro l’Impero Russo, impedisce di navigare il Mar Nero fino a Costantinopoli, e da lì, via terra, arrivare in Persia; soluzione più rapida ma non attuabile. Unica e sfiancante alternativa è passare per l’Egitto, circumnavigare la penisola arabica e infine superare l’altopiano dell’Iran. La nave approda a Bushir il 6 maggio, e in carovana raggiunge Teheran il 2 luglio, tappe intermedie Shiraz, Persepoli, Pasargade, Isfahan, Qom. La lunga odissea offre a Pasini la possibilità di realizzare decine di disegni e schizzi, che poi trasformerà in dipinti. L’artista rimane ben dieci mesi alla corte dello Shah, seguendolo durante i suoi spostamenti in Persia, partecipando alle cacce con il falcone, dipingendo su commissione per il sovrano, suo estimatore. L’itinerario, che lo porta nuovamente a Parigi, si conclude nell’agosto del 1856; del suo primo viaggio, l’artista conserverà una nostalgia profonda e il desiderio, non realizzato, di un ritorno.
Alberto Pasini, Mercato a Costantinopoli, 1874, olio su tela, 130 x 105cm

I suoi lavori verranno esposti al Salon di Parigi e alla Promotrice di Torino, e avranno il loro formidabile venditore nel mercante d’arte Adolphe Goupil, rapido a comprendere che quel pittore emiliano ma parigino di adozione è autore di opere orientaliste di grande efficacia e bellezza, “genuine”, che si distinguevano da quelle di colleghi, anche di fama, che, cavalcando la moda – i cosiddetti orientalistes en chambre, come Domenico Morelli – non avevano mai visto i luoghi che dipingevano, immaginandoli nel proprio studio, con resa folkloristica e stereotipi sulla scorta di incisioni e fotografie, raffigurando un Oriente avvolto nella sensualità femminile – alla maniera di Ingres – impenetrabile, colorato a tinte retoriche, ben più distante dei tanti chilometri reali. Pasini invece rappresentava un orientalismo che nasceva dall’esperienza diretta, non solo di una conoscenza de visu dei luoghi, ma del molto tempo trascorso in essi e in mezzo alla popolazione, un vero e proprio reportage interpretato e studiato nella vita di tutti i giorni.
Costantinopoli, dove sbarcherà il 26 ottobre 1867, consacrerà la sua arte e porterà notevoli benefici economici, pur se, per certi versi, segnerà precisi confini creativi; Goupil rende, infatti, i soggetti turchi tra i pezzi più ambiti dal mercato, e su questi chiederà a Pasini di concentrare il proprio lavoro. Un lavoro che, adesso, si esprime nella sua pienezza: i colori, la luce, le situazioni e i momenti fermati sulla tela raccontano un Oriente vero, stupefacente quanto contraddittorio, miserabile e ricchissimo, sporco e scintillante. Tre ancora i viaggi a Costantinopoli, nel 1868, 1869 (a bordo del treno che sarebbe poi stato battezzato Orient Express) e 1873.
Alberto Pasini, Accampamento persiano, olio su tela

Diverse sono le opere orientaliste di Pasini che, pur nell’adesione al vero, accentuano il senso di solitudine e di inanità dell’uomo di fronte alla bellezza misteriosa e dominatrice della natura, memoria interiorizzata della poetica dei pittori Barbizonniers ai quali Pasini riconobbe sempre il merito di un’espressione “potente e vigorosa… felice interprete dei grandi effetti naturali”. L’incarico assegnatogli dal Bourée — di documentare luoghi ed eventi del viaggio in trasposizioni grafiche chiare ed essenziali, necessariamente definite con rapidità —, significò per Pasini recuperare il formalismo del disegno e solo apparentemente accantonare le implicazioni sentimentali e particolariste della pittura di Barbizon, che lo avevano coinvolto nei suoi primi anni in Francia; i paesaggi di Rousseau, Dupré, Cabat, Decamps, di cui Théophile Gautier scriveva che “l’effet remplace la réalité“ erano stati al tempo materia di profonda riflessione per il giovane Pasini alla ricerca di una propria maniera figurativa in armonia con le teorie artistiche più attuali che consideravano la pittura “un art de transformation“, espressione del sentimento e del pensiero individuali, finalmente libera dai coinvolgimenti narrativi o didascalici del soggetto.
Il fascino per un mondo ignoto di cui indagare la bellezza doveva essere all’origine della sua ammirazione, ancor prima di partire con Bourée, per l’esotismo dei soggetti orientali di Chassériau, che celavano i valori del disegno — riflesso dell’assimilata lezione del maestro Ingres — sotto l’apparente immediatezza della trasposizione pittorica. Dipinti che coniugavano caratteri di rigorosa definizione documentaria a una stesura intensamente cromatica, al punto da suscitare un sentimento di struggente nostalgia per ciò che era diverso e lontano e presto sarebbe stato irrimediabilmente perduto. Era dunque con ben presenti alla memoria i dipinti di Chassériau, insieme ai suoi preziosi suggerimenti relativi al modo di disegnare scrupolosamente e con rigorosa semplicità la natura e le situazioni di quel mondo orientale, che Pasini aveva affrontato il compito di ritrarre luoghi e fatti salienti dell’Arabia e della Persia per conto di Bourée; invero, i lavori, che riflettono gli insegnamenti di Chassériau, eseguiti durante e al ritorno da quella spedizione e da altri viaggi, non abbandonano del tutto l’esprit romantico degli esordi francesi.
Alberto Pasini, Falconieri, 1880, olio su tela

Un approccio applicato a soggetti ‘sublimi’ ed emotivamente coinvolgenti con l’intenzione di ribadire, in linea di continuità col pensiero positivista, la volontà di chiarezza e di intransigenza che comportavano un’analisi dei sentimenti, severa e distaccata, analoga alla rigorosa elaborazione del disegno, ma senza ostracizzare il senso romantico dell’infinito naturale che ben aveva acquisito; il tutto in sintesi armoniosa. Pasini prediligeva “la Persia orrida” ove tutto è “abbandono e vastità”, caratteri a lui “carissimi” e nei quali individuava – se indagati criticamente – la possibilità di “sviluppo” e “d’incremento” della sua maniera figurativa, come egli stesso affermava.
La disposizione all’analisi, conseguente a un atteggiamento indagatore anziché contemplativo, consentiva, d’altro canto, di comprendere la bellezza anche di soggetti semplici e quotidiani, del tutto estranei al tono sublime dei paesaggi romantici: “les montagnes elles-mèmes peuvent avoir autre beauté que le grandiose”, scriveva a questo proposito Sainte-Beuve nel 1857. Così, ai disegni di Pasini che raffigurano la vastità senza confini del deserto, gli aspetti curiosi delle città orientali, le esibizioni dei cavalieri in lande desolate, si alternano visioni di terrazze, scorci assolati, abitazioni umili e solitarie, dove la presenza dell’uomo è appena rammentata da rare tracce di quotidianità. Cose semplici, analizzate con spirito moderno, a suggerire la consapevolezza dell’uomo che la realtà è inesplorata e silente, e impegno dell’artista è quello di indagarne la complessità per via formale.
L’orientalismo si traduce così in Pasini in un originale tentativo tardo-romantico e verista insieme di soddisfare la nostalgia dell’ignoto, di dar valore al sentimento dell’esotico, anche se condotto con la verità, la minuzia, il bello stile, il vivace cromatismo, tipici del suo modo narrativo, combinando elementi apparentemente opposti.
Alberto Pasini, La carovana dello Shah di Persia, 1867, olio su tela

In uno dei suoi dipinti più grandi – ben diverso dai lavori di dimensioni contenute realizzati per la ricca borghesia dell’epoca – Le Shah parcourant les provinces de son royaume (La carovana dello Shah di Persia), del 1867, dall’afflato poetico e panico come le vedute francesi del periodo pre-orientalista, lo spazio che vi si trova racchiuso è immenso, dilaga da ogni parte fino a una lontananza dove ancora nembi di polvere indicano il movimento della sterminata carovana costituita da “figurine” che si muovono in un paesaggio soverchiante; si dilata il deserto, limitato solo dagli aridi monti rocciosi; incombe sulla scena, avvolgendola, il grande cielo nuvoloso. In nessun secolo, come nell’Ottocento, si sono dipinte nuvole, di ogni forma, luce, spessore e bellezza; quelle di Pasini, presenti in numerosi altri dipinti sempre in cieli spettacolari, sono tra le più grandiose e memorabili.
Viene alla mente uno tra i primi ad essersi dedicato allo studio sistematico delle nuvole, John Constable, esponente del Romanticismo inglese noto proprio per i suoi schizzi di nubi realizzati negli anni venti, manifestazione del Dio-Natura; in questi piccoli dipinti fissati su un taccuino all’aria aperta (quasi mezzo secolo prima dell’en plein air degli impressionisti) c’è il desiderio, tipico del Romanticismo, di catturare le forze della natura, la maestosa bellezza del cielo. La sua arte divenne così nel tempo punto di riferimento in Europa per i pittori naturalisti del XIX secolo, compresi proprio i protagonisti della Scuola di Barbizon. Grandiosità e potenza delle nuvole sono pane quotidiano anche per Joseph Mallord William Turner, l’altro grande esponente del Romanticismo british, che pure dipinse uomini potenti – in questo caso Annibale e Napoleone – miniaturizzati al cospetto dell’immensità del potere cosmico.  Le nubi ottocentesche di Constable e Turner, permeate dall’onda lunga del Sublime, cariche di tempesta o intrise dalla luce arcana del sole, parte di un apparato di natura simbolica, sono immagine del pathos dell’uomo dell’Ottocento, che cerca di recuperare una dimensione spirituale contro l’idea della materia che frana verso il nulla configurato dall’evoluzione del pensiero di matrice illuminista. Non si coglie invece questo contrasto prometeico fra uomo e natura tipico di gran parte del Romanticismo nelle opere di Pasini che descrive una natura infinita e misteriosa ma non per questo antagonista dell’uomo. Nubi ancora, in Pasini, che rammentano anche quelle marmoree in Mantegna, all’interno delle quali, con pura materia, si stagliano volti candidi e bianchi cavalieri come se fossero esempi della statuaria classica; nella Camera degli Sposi, Mantegna si proiettò nella dimensione dell’antico, realizzò le nubi più solide e tridimensionali della storia, che paiono discendere direttamente dal cielo trionfale della Roma imperiale, e che ben accompagnerebbero la marcia solenne di uno Shah.
Nella grandiosa costruzione di Pasini si avverte il senso dell’ignoto; l’Oriente è la frontiera estrema con cui si confronta l’individuo, frontiera non sovrumana come in Friedrich o Turner ma reale o filtrata dalla mente del pittore. Ciò che più di tutto spiega l’emozione del quadro con la carovana persiana, è il senso epico che vi spira, come di rado avviene negli altri orientalisti, e nelle altre opere dello stesso Pasini; egli qui trattiene dalla tradizione romantica una dimensione epica che coniuga non più col mito, con la religione o la grande storia ma con l’esperienza nelle terre d’Oriente, rendendo leggenda il presente. La caratteristica precisione grafica dell’artista, che risente della pratica incisoria, appare evidente nella resa del folto drappello – quasi un suggerimento della marcia trionfale dell’Aida – composto da eleganti dignitari su cammelli bardati, cavalieri con lance e parasoli, figure a piedi con ventagli, elefanti, suonatori di tamburi. Dall’Oriente Pasini, in questo e altri quadri, riporta il senso di uno spazio di dimensioni inedite, di una luce chiarissima e trasparente in cui si esaltano i colori e si stagliano netti i contorni. Il cromatismo brillante di Pasini, contenuto nell’affollato insieme, è pronto ad accendersi nelle figure più evidenti ai margini della carovana e nello sfondo, limitato sulla sinistra da montagne rocciose dai riflessi azzurri, dalle quali pare si levino come da vulcani primordiali le grandi nubi che invadono la tersa luminosità del cielo, di un azzurro senza fine che pare preso dai cieli veneziani di Canaletto e Guardi.
Dopo le mostre non monografiche a Parma nel 1913 e nella natia Busseto nel 1926, corredata da un piccolo e prezioso catalogo di cui la Biblioteca della Fondazione Cariparma di Busseto conserva un esemplare, e quella del 1996 a Palazzo Bossi-Bocchi a Parma curata da Giovanni Godi e Corrado Mingardi, la mostra della Fondazione Magnani-Rocca si propone come un ulteriore omaggio a Pasini nelle sue terre d’origine e una nuova e importante tappa nell’indagine presso la Fondazione sull’Ottocento italiano, dopo la memorabile esposizione, a cura di Roberto Tassi, delle opere della Raccolta Gaetano Marzotto, di cui La carovana dello Shah di Persia faceva parte, e le mostre che ebbero Giuseppe de Nittis, Giovanni Fattori, Francesco Scaramuzza come protagonisti.
Luigi Magnani, che creò la Fondazione pensando a un personale Pantheon dell’Arte da destinare al pubblico, come in ambito musicale, anche in ambito pittorico non si interessò particolarmente all’Ottocento italiano; è evidente la predilezione per l’arte francese dello stesso periodo, apprezzata per la capacità di sublimazione formale che la coeva pittura italiana, verosimilmente da lui percepita come patetica o narrativa, non esprimeva: oltre a un Monet e ad alcuni Renoir accuratamente scelti, spicca il nucleo degli splendidi acquarelli di Cézanne, acquisiti negli anni settanta e ottanta del Novecento. Sono tuttavia documentati viaggi di Magnani in Tunisia e Marocco (a Tangeri come Delacroix); forse per testimoniare nella propria raccolta le suggestioni di quei viaggi acquistò Odalisque sur la terrasse di Henri Matisse, modernissimo epigono della grande tradizione orientalista.
 
PASINI E L’ORIENTE. Luci e colori di terre lontane.
Fondazione Magnani Rocca, via Fondazione Magnani Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma).
Dal 17 marzo al 1 luglio 2018. Aperto anche tutti i festivi (25 aprile, 1° maggio, 2 giugno). Lunedì chiuso, aperto il lunedì di Pasqua.
Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) – sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18).
Ingresso: € 10,00 valido anche per le raccolte permanenti – € 5,00 per le scuole.
Il sabato ore 16.30 e la domenica e festivi ore 11.30, 16.00, 17.00, visita alla mostra ‘Pasini e l’Oriente’ e ai capolavori del Paesaggismo impressionista della Fondazione Magnani-Rocca (Monet, Renoir, Cézanne) con guida specializzata; è possibile prenotare via mail a segreteria@magnanirocca.it, oppure presentarsi all’ingresso del museo fino a esaurimento posti; costo € 15,00 (ingresso e guida).
Informazioni e prenotazioni gruppi: tel. 0521 848327 / 848148 info@magnanirocca.it
Ristorante e Caffetteria nella corte del museo Tel. 0521 848135.
mostra e catalogo a cura di Paolo Serafini e Stefano Roffi. Il catalogo (Silvana editoriale) presenta interventi di Paolo Serafini, Stefano Roffi, Lea Saint-Raymond, Cyrille Sciama, Guendalina Patrizi.
Ufficio Stampa: Studio ESSECI, Sergio Campagnolo tel. 049 663499 – Stefania Bertelli gestione1@studioesseci.net
La mostra è realizzata grazie a: FONDAZIONE CARIPARMA, CRÉDIT AGRICOLE CARIPARMA.
Media partner: Gazzetta di Parma.
Sponsor tecnici: Angeli Cornici, Butterfly Transport, Fattorie Canossa, Società per la Mobilità e il Trasporto Pubblico.

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa