di Maurizio Bernardelli Curuz
L’alloro – Laurus nobilis – o Lauro è una delle piante maggiormente utilizzate nel campo simbolico, nella pittura, nell’arte in genere e nel costume. Questo vegetale dalle foglie lanceolate e dall’intenso profumo emanato quando le foglie stesse vengono spezzate, molto diffuso nel bacino del Mediterraneo, è un sempreverde. E questo suo non piegarsi ai cicli delle stagioni – specie alla morte apparente dell’autunno-inverno – ne caratterizza la natura che fu, dagli antichi, considerata prodigiosa. Poiché non perde le foglie – come sempreverdi sono l’edera e il cipresso, che sono spesso utilizzati nell’arte e nell’arredo urbano, dall’antichità, con funzioni semantiche contigue – esso significa essenzialmente immortalità e poi estende il suo significato a gloria immortale. L’alloro può essere anche utilizzato accanto ad altri simboli, come fosse un aggettivo iconico, sempre per significare eterno, imperituro e immortale. In antico, come testimonia Aulo Gellio (Roma, 125 circa – 180 circa) ne “Le notti attiche”, con le corone di alloro, prima del passaggio all’uso di manufatti d’oro, veniva incoronato il comandante dell’esercito, dopo la vittoria, o l’imperatore. In questi contesti l’alloro significava gloria imperitura.
La presenza di raffigurazioni di foglie – riconoscibili perchè simili a una punta di lancia – od alberi d’alloro, in ambito artistico, si trova legata al concetto di eternità, di non caducità, attraverso la religione – esso appare in alcuni fondali pittorici della pittura sacra, come in Luini – attraverso la cultura e la poesia o le imprese militari. Poesia, arte ed eroismo garantiscono l’immortalità attraverso la fama e la gloria, la vita eterna nei libri, nelle discussioni, nei racconti. A livello di ritrattistica, l’alloro fu utilizzato per indicare il nome di Laura.
Il dipinto più noto, nell’ambito della simbologia del nome è, appunto il cosiddetto Ritratto di Laura di Giorgione, nel quale la pianta appare alle spalle della donna. In questo caso Giorgione volle forse rappresentare non una propria contemporanea, quanto Laura di Petrarca, la donna che già portava il nome eterno del Lauro, e che divenne immortale grazie all’amore e ai versi del poeta.
GIOVENE DONNA SOTTO UN VERDE LAURO.
Giovene donna sotto un verde lauro
vidi piú biancha et piú fredda che neve
non percossa dal sol molti et molt’anni;
e ’l suo parlare, e ’l bel viso, et le chiome
mi piacquen sí ch’i’ l’ò dinanzi agli occhi,
ed avrò sempre, ov’io sia, in poggio o ’n riva. (…) (Dal Canzoniere)
Nell’ambito della simbologia del nome, la presenza di alloro in un ritratto deve essere attentamente valutata per cercare di comprendere se si riferisca al nome proprio – Laura o Lauro – o all’attività dell’effigiata/o – poetessa o poeta-. L’alloro è legato, in particolar modo, ad Apollo, dio delle muse e pertanto delle arti. E’ per questo che i poeti di grande valore, come accadde a Petrarca, furono incoronati con rametti della pianta.
Anche il sostantivo “laurea”, con il quale si denomina la felice conclusione degli studi universitari, deriva dal nome alloro, una gloria del conoscere che viene tributata per un giorno con la corona vegetale e per la vita intera attraverso il titolo di dottore che, a sua volta, si collega al concetto di persona dotta in una determinata materia.
La rappresentazione dell’alloro, nelle arti, è particolarmente diffusa. In Iconologia, il noto libro di Cesare Ripa, che rielaborò, spesso attraverso apparati semantici complessi, la simbologia tradizionale, la pianta viene esaminata o nominata in quattordici pagine non consecutive, risultando, nell’ambito del libro, uno degli elementi maggiormente citati. In tutti i casi, elencati dallo studioso cinquecentesco, l’alloro è legato al concetto di eternità, di immortalità della fama o del sentimento. Ripa sottolinea giustamente che la corona d’alloro ha un significato rafforzativo del concetto di incorruttibilità della materia o di eternità della fama – già di per sé presente nel sempreverde lauro – poichè la forma circolare della corona stessa non ha inizio né fine. L’alloro viene collegato anche alle virtù morali e alla castità matrimoniale, cioè alla pudicizia e alla fedeltà femminile, differenziandosi, in questo, dall’edera, altro sempreverde utilizzato nel linguaggio simbolico dell’arte, che si lega alla fedeltà nella carnalità e all’eternità del fuoco della passione nei confronti di un’unica persona. L’edera, infatti, “dove si attacca muore”, vive cioè nel legame intenso ed esclusivo, possessivo, serrato e dionisiaco con il muro o con l’albero al quale si avvinghia. L’edera è pertanto eternità della passione – il dionisiaco -, mentre l’alloro, riferito a un rapporto di coppia, traslato nella pittura antica, è l’eternità mistica del sentimento, il suo lato, appunto, apollineo. Scrive Cesare Ripa sul rapporto tra la castità e l’alloro: (La castità) Tiene il ramo di alloro, perchè quell’albero hà grandissima somiglianza con la castità, dovendo essa esser perpetua, com’è perpetuo il verde del lauro, e stridere e fare resistenza alle fiamme d’amore, come stridono e resistono le sue foglie, e i suoi rami gettati sopra al fuoco (Cesare Ripa, Iconologia, edizione del 1612, Padova, pagina 75). Ripa, a questo proposito, si riferisce anche ai passi delle Metamorfosi d’Ovidio e alla figura di Dafne, che viene trasformata in una pianta di alloro perchè vuol mantenere la castità e sfuggire al bramoso abbraccio di Apollo.
L’alloro sacro ad Apollo – La rappresentazione di Dafne
Il mito di Apollo e Dafne – nome greco della pianta d’alloro – fu utilizzato, nel campo della simbologia artistica per rappresentare l’eterna verginità delle donne che consacrano la vita allo spirito, che fugge al desiderio sessuale maschile. La storia è ripresa dalle Metamorfosi di Ovidio, un libro che fu una grande miniera di miti e di spunti figurativi, durante il Rinascimento, il Barocco e il Neoclassicismo. La vicenda del giovane uomo e della donna che corrono nudi,inseguendosi, al di là della facciata permeata di moralismo, nasconde il pretesto per cantare, dipingere, scolpire la bellezza di giovani corpi udi che corrono. Qui però il mito non prevede la consumazione dell’atto sessuale, anche se la concitazione – che diviene ansia erotica, gioco, danza – la lasciano ampiamente, per quanto erroneamente, presagire.
Tutto nasce dall’orgoglioso Apollo che, secondo Ovidio, si vantava di saper usare le frecce e l’arco come nessuno era in grado di fare. Sottovalutava il piccolo Cupido che era in grado di colpire uomini e donne, facendoli uscir di senno. E così avvenne. La freccia di Cupido colpì Apollo, che perse ogni ambizione di caccia e ogni equilibrio – di cui era impassibile interprete – per inseguire una ninfa del bosco, la bellissima Dafne, che aveva consacrato la sua vita a Diana-Artemide, decidendo di restare vergine. Ecco allora Apollo focoso che corre nel bosco per ghermirla, mentre lei fugge; ma per quanto la falcata della giovane donna sia ampia e veloce, il maschio la raggiunge e sta per abbracciarla, quando lei, che ha indirizzato una preghiera al proprio padre, Peneo, inizia a trasformarsi in un una pianta di alloro, che da quel momento diverrà albero sacro del dio.
Una delle più note e splendide opere d’arte dedicate a questo soggetto è il gruppo scultoreo che Gian Lorenzo Bernini eseguì tra il 1622 e il 1625, collocato nella Galleria Borghese a Roma. (qui sopra, un particolare)
Il lauro che cresce sul Parnaso
Il Monte Parnaso, Parnaso o – raramente – Parnasso[1] (dal greco Παρνασσός / Parnassós), è una montagna del centro della Grecia, che domina la città di Delfi. Particolarmente venerato durante l’antichità, il Parnaso era consacrato al culto del dio Apollo e alle nove Muse, delle quali era una delle due residenze. Secondo la mitologia greca, su questo monte era situata una fonte sacra alle Muse, la fonte Castalia. Sul monte cresceva l’alloro, albero sacro ad Apollo. Per questo la gloria e l’eternità dell’arte e della conoscenza, suddivisa tra le specializzazione delle Muse – sono ricordate da questa pianta
L’alloro nei giardini nobili degli antichi Romani e il lauro di Livia Drusilla moglie di Augusto
E’ davvero impossibile passare a descrivere i dipinti parietali della villa di Livia Drusilla, moglie di Augusto, senza prima transitare attraverso la magia dalla quale queste opere furono suscitate. Livia, prima delle nozze con Augusto, aveva ricevuto in grembo una gallina bianca lasciata cadere da un’aquila. L’animale domestico che, nonostante l’aggressione, era in perfetta forma fisica, teneva nel becco un ramo di alloro con le bacche. “Gli aruspici ordinarono che il rametto fosse piantato, e questo diede vita al bosco annesso alla villa ‘ad gallinas alba’ (alle bianche galline). I lauri trionfali della famiglia imperiale provenivano da quel luogo, e gli stessi divennero il simbolo della prosperità del lignaggio. Alla morte di Nerone, il bosco si incendiò e tutte le galline morirono”. Il grande affresco della villa di Livia a Prima Porta documenta, nell’ambito del terzo stile, la nascita della cosiddetta pittura di giardini, “spesso in contraddizione con lo spazio reale, paradiso immaginario ma, al contempo, collezione di curiosità botaniche a metà strada tra il giardino di Alcinoo e i paradisi dei re orientali. I dipinti decoravano un ninfeo di grandissime dimensioni (5,90×11,70 m) sprovvisto di finestre”.
L’alloro simbolo dell’amore eterno
l’edera dell’amore carnale
Osserviamo questo dipinto del Correggio, avvolto dalla profonda malinconia di una giornata cupa, come suggerisce il brano paesaggistico alle spalle dell’effigiata. A sinistra della donna, lievemente acceso da una luce eloquente, ecco il tronco di un albero secco sul quale resta avvinta un’edera, anch’essa priva di vita. L’edera è simbolo della fedeltà passionale, soprattutto coniugata al femminile. Nel linguaggio delle piante essa significa dove mi attacco muoio ma anche nulla può staccarmi dall’albero sul quale sono cresciuta. Proprio per la peculiarità dell’essenza, che suggerisce l’eternità del vincolo d’amore, essa era utilizzata dagli antichi greci per ornare gli altari di imene durante i riti nuziali, sicché gli sposi se ne scambiavano un rametto come reciproca promessa di fedeltà. Ma dobbiamo, a questo punto, chiederci perché l’edera sia rinsecchita sul tronco dell’albero morto. Essa simboleggia la morte figurata della moglie nel momento in cui il compagno è defunto.
Sempre alle spalle della vedova, Correggio ha però collocato un ampio cespuglio di alloro, la pianta sempreverde che, in questo caso – come del resto avviene nei dipinti di Bernardino Luini – allude all’eternità e alla castità proiettata verso l’eterno Sommando i diversi elementi simbolici possiamo sostenere che la donna, nel momento fissato dal quadro, sta compiendo la scelta che la porterà dal dolore per la perdita del marito all’orizzonte spirituale della preghiera. Ha appena attinto al piatto di nepente, per attenuare il ricordo del dramma che si è da poco consumato. Ed ha scelto di diventare terziaria francescana, facendo voto di castità, appalesato dal cordone dotato di un singolo nodo, che è stato rappresentato da Correggio sotto il piatto. Ciò che avviene di stupefacente nel quadro è la raffigurazione sequenziale di una metamorfosi nella quale, contemporaneamente, sono dipinti segmenti simbolici legati al passato, al presente e al futuro.
La corona d’alloro alle virtù militari, quella di quercia alle virtù civiche e politiche
L’alloro nell’Ottocento e nella scultura. “Lo scultore Lombardi, seguendo i desideri della Casa Reale – scrive Adriana Conconi Fedrigolli – scolpisce un’opera che si compone di una grande statua – posta su due alti basamenti, di cui l’inferiore istoriato da quattro bassorilievi – raffigurante il Genio dell’Indipendenza, immaginato come un’elegante figura femminile, intenta con la mano destra ad offrire ai caduti due corone bronzee, la militare d’alloro e la civica di quercia, mentre con la mano sinistra, posta sul cuore, stringe nel braccio la bandiera d’Italia in segno di lutto” In questa scultura, come in altre analoghe che celebrano eventi patriottici, troviamo l’accostamento tra le due corone, che risaliva al tempo degli antichi romani, come testimonia ancora Aulo Gellio. Corone di quercia, simbolo della potenza, venivano collocate nelle città sulla testa delle statue di Giove. La differenza che pare emergere tra le due corone è che quella dall’alloro celebra l’atto eroico sul campo di battaglia, mentre quella di quercia veniva consegnata ai soldati che avessero salvato la vita ai cittadini romani.
COME SI PREPARA LA CORONA D’ALLORO PER LA LAUREA