[five_sixth_last]Antonio delli Carri
Foggia, 1989
Pubblichiamo la scheda critica sull’opera in concorso di Antonio delli Carri, scritta da Alfonso Panzetta, presidente della giuria del Premio Nocivelli, edizione 2014. Antonio delli Carri è stato, nello stesso anno, primo assoluto nella categoria under 25 e nella sezione scultura.
Il giovanissimo scultore pugliese, ancora in formazione all’Accademia di Belle Arti di Foggia, con la sua intrigante opera che trae ispirazione da un echinoderma degli abissi profondi, vissuto ottanta milioni di anni fa nel Cretaceo superiore, è stato la vera rivelazione di questa edizione del Premio Nocivelli. «Uintacrinus» è da considerare la sua “opera prima”, un lavoro di esordio che allo stesso tempo mostra una sensibilità creativa originale, già ben avviata e articolata, che si rende concreto mediante soluzioni tecnico-formali assolutamente coerenti con la sintassi linguistica dell’uso dei materiali contemporanei nella scultura.
La formazione del suo giovane autore, unitamente alla provenienza geografica, chiariscono gli orizzonti culturali che fanno da cornice a questo lavoro dal forte e affascinante magnetismo. Antonio delli Carri ha una prima formazione classica, cui ha fatto seguito la frequentazione di un anno di “Conservazione dei Beni Culturali” all’Università (prima di decidere di passare all’Accademia di Belle Arti), quindi una predisposizione alla riflessione e allo studio dell’arte, soprattutto del secondo Novecento. Nell’opera presentata al Premio Nocivelli, infatti, se da un lato paiono evidenti le suggestioni e i ragionamenti condotti sui migliori esempi dell’Arte Povera, o talune assonanze che rimandano ai lavori Luigi Mainolfi, di contro tutti questi riferimenti sono totalmente rielaborati in un modo originale e autonomo che, nelle parole del giovane artista che descrive l’aspetto scabro della superficie dell’opera, si caricano di una sfumatura personalissima e intima: “… un insieme di ricordi della mia vita: le uova di cioccolata rotte a Pasqua ed accatastate; i vetri rotti incementati come sicurezza sui bordi dei muretti a secco; le pigne raccolte nelle terre di Capitanata; i cocci ritrovati durante uno scavo archeologico.“.
Ricordi d’infanzia, amore per la sua terra di origine, suggestioni fissate nella mente in modo indelebile che delli Carri non propone in maniera didascalica, bensì trasformati nel linguaggio universale dell’arte, quello in grado di parlare a chiunque in modo coinvolgente.
Antonio delli Carri è figlio della sua terra e, forse non ancora consapevolmente, perfettamente in linea di discendenza con quella parte di creatività plastica “alta” che nel secondo Novecento ha avuto i natali in Puglia, almeno a far capo da quel genio di Pino Pascali, immaginifico creatore di opere e installazioni, passato come una meteora dirompente nel panorama dell’arte internazionale e scomparso giovanissimo nel 1968 all’apice della sua carriera, nella cui produzione si riunivano felicemente le radici della cultura mediterranea con la dimensione ludica dell’arte. Senza voler fare l’elenco degli artisti più rilevanti di Puglia che si collocano coerentemente nella linea evolutiva di Pino Pascali, mi piace ricordare almeno Iginio Iurilli, giunto alla maturità con le sue “ispide” e spiazzanti installazioni mediterranee profondamente poetiche, e Christian Loretti, un altro giovane scultore emergente la cui radice mediterranea rivitalizza forme arcaiche e primitive.
Se nella logica dell’establishment della critica contemporanea la Puglia può essere vissuta come “periferia” rispetto ai soliti centri di produzione artistica – in questo allineandosi a generazioni di storici dell’arte – non bisogna dimenticare però, che proprio dalla “periferia” giungono gli outsider, e da quella periferia giunsero Nicola Pisano e Nicolò dell’Arca.
Alfonso Panzetta
Stile Arte intervista Antonio delli Carri
Iniziamo con una breve scheda.
Antonio delli Carri (ebbene sì, delli è in minuscolo!), nato in Capitanata, ho 25 anni e vivo in via… beh questo non ve lo dico!Sono ancora all’inizio del mio percorso artistico, faccio scultura solo da tre anni, per cui trovo ancora precoce il termine produzione artistica, in quanto è ancora in fieri come la mia stilistica. Posso però affermare che la mia ricerca, per ora, è sugli agglomerati di scaglie, come Uintacrinus. Sto scegliendo di orientarmi verso una scultura che può definirsi in qualche modo iconica, perché penso che oggigiorno saper fare un buon figurativo debba essere un requisito base che ogni scultore dovrebbe possedere. Ritengo che sia molto più difficile spingersi oltre, dando forza e tensione al modellato o facendo l’iconico che, credo personalmente, è il mezzo che mi consente di utilizzare in maniera più spinta la mia fantasia, senza però distaccarmi troppo con la realtà, giungendo a primo impatto all’archetipo dell’idea che voglio rendere. Di sicuro vivo l’approccio con la scultura più come qualcosa di alchemico che romantico.
Nell’ambito dell’arte, della filosofia, della politica, del cinema o della letteratura chi e quali opere hanno successivamente inciso, in modo più intenso, sulla sua produzione? Perché?
Sono sempre stato attratto dalla cultura daunia, la quale vedo tutt’ora sempre fonte di grande spunto e ricerca. Penso sicuramente che gli studi classici hanno avuto una buona influenza su di me, consciamente ed inconsciamente. Dico consciamente perché mi ha sempre affascinato la cultura elleno-latina, apprezzando, oltre l’arte, soprattutto i grandi pensatori, i matematici e drammaturghi(o commediografi a seconda), in quanto vedo l’arte sempre come risultante della fusione di questi tre elementi: pensiero, logica ed appariscenza. Inconsciamente perché, molto di quello che ho studiato per dovere di studente al liceo, è stato assorbito involontariamente da me e sputato fuori solo a distanza di tempo, come dei fantasmi che hanno reclamato giustizia al mio es. Un grande input l’ho avuto dalla conoscenza dall’arte medievale, in modo particolare dallo studio dei tre stili che hanno caratterizzato il sud Italia: il romanico, l’orientale arabo ed l’orientale bizantino. In particolare mi ha sempre colpito l’iconicità, l’eleganza e la semplicità del romanico, specie quello pugliese che risulta una sommatoria e sintesi dei tre stili citati precedentemente.
Da quando ho iniziato a studiare, dal punto di vista pratico e teorico la scultura contemporanea, ho rivalutato molti dei miei canoni estetici. Anche se differenti dalla mia stilistica di scultura, personalmente sono sempre rimasto affascinato dal coraggio, dalla freschezza e dall’idea di tre maestri giovani della scultura italiana, ovvero Gabriele Garbolino Rù, Paolo Grassino e Davide Rivalta, soprattutto per la scelta dei materiali sempre più odierni ed innovativi.
Ho apprezzato molto l’arte del maestro pugliese Iginio Iurilli. Ho sempre ammirato come attraverso la semplicità e la pulizia di alcune forme, ogni volta che vedo le sue opere, io riesco a respirare i colori, le forme i profumi e l’essenza della mia terra.
Di sicuro un ruolo fondamentale e sicuramente non ultimo ha giocato conoscere un artista conterraneo, Christian Loretti, forse molto più che un semplice maestro per me. Esigente nell’insegnamento e di sicuro un sincero e carissimo amico, sapendo tirar fuori da me tutto questo bagaglio, insegnandomi praticamente tutto. Posso dire con certezza che devo a lui l’intera mia conoscenza nell’arte della scultura. Penso che sia stato fondamentale per me osservare il suo lavoro e le sue opere, innanzitutto da un punto di vista tecnico, imparare quindi come realizzare un’opera, dall’ideazione alla realizzazione e come trattare e conoscere i diversi materiali. E poi da un punto di vista stilistico, come spunto per le mie idee, imparando a spogliare un opera di tutti quelli elementi che spesso possono risultare inutili, banali o decorativi, cercando di arrivare ad una sintesi estetica che funzioni e risulti semplice e d’impatto.
Può analizzare nei temi e nei contenuti l’opera da lei realizzata e presentata al Premio Nocivelli, illustrando le modalità operative che hanno portato alla realizzazione?
Era da tempo che lavoravo sulla scultura di una medusa giocando sempre sull’ironia del nome, tra la medusa animale e la Gorgone. Dopo molti tentativi ero arrivato a concepire una scultura fatta di agglomerati di scarti di scaglie in gesso. Inizialmente la scultura si presentava troppo pesante ed il costo per formarla e fare una copia in altro materiale sarebbe stato eccessivo. Un giorno mentre aiutavo il mio maestro nella lavorazione di un suo pezzo, provai così, quasi per gioco, a stendere la resina in eccesso che colava dalla forma, per poi romperla ed ottenere così delle scaglie che a primo impatto mi ricordavano le uova di cioccolata rotte. Mi sono reso conto, per cui, che potevo in questo modo riadattare il concetto dell’esperimento precedente alla resina, utilizzando un materiale epossidico come fugante. In tal modo riuscivo ad ottenere una texture interessante avendo comunque il vantaggio della leggerezza, vantaggio che mi sarebbe servito per poter creare i tentacoli senza rischiare che si rompessero per via dell’eccessivo peso e della lunghezza. Nella ricerca delle immagini mi sono imbattuto nella figura dell’uintacrinus, un echinoderma, che visivamente si rifaceva al concetto di medusa, ma assomigliante per altri versi ad un polipo. Insomma una forma che a me colpiva molto, ed in quanto animale estinto poteva figurare, quasi per assurdo, molto contemporaneo. Così realizzai una struttura molto leggera composta in ferro e schiuma poliuretanica espansa, sulla quale sono andato ad applicare le scaglie “di cioccolato” con un fugante epossidico. Seppure da molti nel giudizio, vi è un rimando alle sculture del maestro Luigi Mainolfi, e anche al concetto di arte povera, per via del riciclo dei materiali, devo dire non è stato qualcosa di voluto, anche se non mi dispiace affatto poter essere paragonato come rimando di idea a maestri di tale calibro.
Contatti:
delicarrist@gmail.com
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Oppure continuare a seguirmi sul sito del premio Nocivelli:
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Antonio delli Carri – Mitiche meduse e polipi omerici nel mare della Magna Grecia
Premio Nocivelli: Stile arte intervista l'artista primo tra i giovani e vincitore assoluto della sezione scultura, con un lavoro prezioso, tra arte povera e classicismo greco-romano delle pitture vascolari. "Mi sono imbattuto nella figura dell’uintacrinus, un echinoderma, che visivamente si rifaceva al concetto di medusa, ma assomigliante per altri versi ad un polipo. Insomma una forma che a me colpiva molto, ed in quanto animale estinto poteva figurare, quasi per assurdo, molto contemporaneo"