Archeologia. Fai una passeggiata nel bosco e vedi strane cavità. Cosa c’è là dentro? Non sono grotte. C’è un corridoio. E poi? A cosa serviva questo spazio? Quando fu scavato dagli uomini? Entriamo con chi lo ha esplorato

Nove tratti di galleria per un totale di cinquanta metri lineari. Un ingresso e due cavità che si aprono sulla vallata, simili a finestre scavate nella roccia. Una dozzina di nicchie lungo i cunicoli e decine di cellette, come se il ventre del monte avesse ospitato una civiltà nascosta. L’oscurità avvolge il percorso. Si vedono cavità per paratie e lumini.

È questo il “labirinto sotterraneo” scoperto nell’Appennino bolognese, sul crinale che separa la valle del Reno da quella del Setta. Una rete di cunicoli che si estende per circa venti metri per venti, scavata nella roccia, testimone di epoche lontane e forse di molteplici utilizzi. All’esterno, queste “finestre” sulla vallata, arcuate, che sono la prima spia – evidentissima – del fatto che non sono cavità naturali, ma che sono state realizzate dall’uomo.

La struttura suggerisce che l’insediamento potrebbe risalire all’epoca etrusca, ma le sue funzioni si sarebbero stratificate nei secoli, giungendo fino alla Seconda Guerra Mondiale, quando potrebbe essere stato sfruttata dall’esercito tedesco lungo la Linea Gotica.

L’accesso, il corridoio e la presenza di cavità, nella camera, farebbero pensare a una tomba etrusca, poi frequentata nei secoli e forse trasformata, per alcuni periodi, in un rifugio.

La zona potrebbe essere vicina a una zona di residenza di un’antica comunità di cultura etrusca.

A portare alla luce questa struttura, di cui, in precedenza erano stati segnalate le “finestre” un gruppo di ricerca composto da Fabio Righi, dell’associazione Arca (Archiviazione, ricerca e collettività dell’Appennino bolognese), Martina Mari di ErcoleTv, lo storico Dario Mingarelli, Salvatore Di Stefano del GAE, lo speleologo Ettore Scagliarini, il giornalista Nicodemo Mele. Un team di appassionati ed esperti, uniti dal desiderio di riscoprire e valorizzare le meraviglie nascoste dell’Appennino.

La posizione esatta delle grotte resta un segreto. “Non possiamo rivelarla – spiega Fabio Righi – sia per evitare che il sito venga danneggiato da predatori di reperti”.

Qualche indizio, tuttavia, è trapelato. Le cavità si trovano in una valle stretta e poco conosciuta, un piccolo canyon dal carattere tenebroso che termina in un’area ad anfiteatro. Qui, sulle pareti, emergono incisioni di forma triangolare o arcuata, elementi che potrebbero ricordare il frontone di abitazioni o tombe etrusche.

Gli etruschi sull’Appennino

L’Appennino emiliano custodisce un patrimonio archeologico di inestimabile valore, testimoniando la presenza e l’influenza della civiltà etrusca in questa regione. Le necropoli scoperte in quest’area offrono uno sguardo approfondito sulle pratiche funerarie, sulle strutture sociali e sui contatti culturali degli Etruschi. Vediamo alcuni esempi.

La Necropoli della Galassina di Castelvetro

Scoperta nel 1841 nel podere Galassina, la necropoli di Castelvetro, situata sulle prime colline dell’Appennino modenese, rappresenta una testimonianza significativa dell’insediamento etrusco nell’area. Le prime quattro tombe rinvenute in quell’anno furono documentate dall’archeologo Celestino Cavedoni, con i reperti più importanti acquisiti dalle collezioni ducali, oggi esposte presso la Galleria Estense di Modena. Dopo una pausa, gli scavi ripresero nel 1879-1880 sotto la guida di Arsenio Crespellani, portando alla luce 33 tombe, di cui alcune intatte. Le sepolture presentavano sia inumazioni in fosse segnalate da stele in pietra, sia cremazioni coperte da tumuli di ciottoli. I corredi funerari rinvenuti, tra cui spiccano oggetti in bronzo e ceramiche attiche a figure rosse, indicano stretti legami culturali e commerciali con Felsina (l’odierna Bologna) e altre regioni, suggerendo una rete di scambi estesa fino al Mediterraneo orientale.

La Città Etrusca di Kainua a Marzabotto

Tra il VI e il IV secolo a.C., l’area di Marzabotto ospitò la città etrusca di Kainua, uno dei principali centri dell’Etruria padana. Gli scavi, iniziati nel 1862 dal conte Giuseppe Aria sotto la direzione di Giovanni Gozzadini, hanno rivelato una pianificazione urbana avanzata, con strade ortogonali e abitazioni ben strutturate. Le necropoli circostanti hanno restituito corredi funerari ricchi e vari, offrendo preziose informazioni sulle pratiche funerarie e sulla vita quotidiana degli Etruschi in questa regione.

La Necropoli di Monte Tamburino

Situata nel complesso montuoso del Monte Bibele, la necropoli di Monte Tamburino ha restituito 170 sepolture risalenti al periodo tra il V e il III secolo a.C. Le tombe, sia a inumazione che a incinerazione, appartenevano a comunità etrusche e celtiche, evidenziando una coesistenza culturale nell’Appennino bolognese. I corredi funerari, tra cui specchi in bronzo e ceramiche decorate, sono esposti al Museo Archeologico Luigi Fantini, offrendo una panoramica sulla vita e sulle tradizioni di queste antiche popolazioni.

La Necropoli di Monterenzio Vecchio

Scoperta nel 1979 sul monte Monterenzio, questa necropoli ha rivelato una cinquantina di sepolture, principalmente a inumazione. Le tombe 1 e 36, in particolare, sembrano appartenere a capi guerrieri, suggerendo una struttura sociale complessa. I reperti, tra cui strigili, vasellame da banchetto e specchi, sono conservati nel Museo Archeologico Luigi Fantini, offrendo ulteriori dettagli sulle interazioni tra Etruschi e Celti nell’Appennino emiliano.

La tomba con carro nell’Appennino tosco-emiliano

Nel 1756, nella Potesteria di Portico di Romagna, fu scoperto un ricco corredo funerario comprendente materiali in bronzo, una phiale d’argento e un carro. Questo ritrovamento sottolinea l’importanza dell’Appennino tosco-emiliano come area di transito e interazione culturale tra diverse popolazioni, evidenziando la complessità delle influenze culturali nell’Italia antica.

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa