Figure femminili. Statuette che rinviano a una protettrice divina, materna, capace di incanalare il caos, di sottometterlo, di dominare la forza bruta del maschio e della natura. C’è tanto desiderio di civiltà, in quelle figure. E forse – non siamo forzando – il nucleo di antiche autonomie femminili.
Gli scavi archeologici condotti nell’antica polis di Anfipoli, situata nell’attuale Grecia settentrionale, hanno portato alla luce un centro di culto risalente al IV secolo a.C. Il ritrovamento rivela il possibile culto di una divinità femminile. Gli studiosi, guidati dal professor Dimitris Damaskos dell’Università di Patrasso, hanno identificato il sito come un luogo sacro, supportato dal ritrovamento di numerosi reperti votivi.

Anfipoli, fondata come colonia ateniese nel 465 a.C., ha avuto una storia travagliata, con un primo insediamento distrutto dai Traci e una successiva rifondazione nel 437 a.C. La sua posizione strategica la rese un importante centro commerciale e culturale, nonché un crocevia per influenze religiose provenienti da tutta la Grecia.
I reperti e la scoperta del culto
L’area di scavo, originariamente concentrata su una basilica bizantina, ha rivelato le fondamenta di una struttura rettangolare in mattoni di adobe – argilla essiccata -, riconducibile al IV secolo a.C. La scoperta di statuette femminili in argilla, stampi per statuette, conchiglie, resti di piccoli animali e tracce di carbone suggerisce un’intensa attività rituale.
Inizialmente, gli studiosi avevano ipotizzato un culto dedicato a Cibele, la Grande Madre, venerata nei Metroön, templi a lei consacrati. Tuttavia, la presenza di specifici reperti iconografici e votivi ha orientato la ricerca verso Artemide Tauropolos, una variante della dea cacciatrice legata ai riti di passaggio e alla protezione dei giovani.
Tra gli oggetti più significativi figurano un torso scolpito di Artemide, statuette femminili e un busto di cavallo, elemento iconografico che spesso accompagna la dea nelle sue rappresentazioni. La presenza di una piccola testa in argilla di Asclepio, dio della medicina, suggerisce inoltre una possibile connessione con pratiche terapeutiche o rituali di guarigione.
La cittadina era legata al culto della dea che imbriglia, sconfigge o cavalca il toro, come in una moneta battuta in onore dell’imperatore Augusto e trovata, tempo fa, ad Anfipoli. Artemide, a differenza di Europa che viene rapita dal toro-Zeus, sembra dominare la potenza taurina, incanalandola. E’ singolare il fatto che, a quanto sembra, per la monetazione sia stato utilizzato il toro tricorne, che era venerato, in questa forma, anche dalle popolazioni celtiche. Un modo, forse, per sottolineare che il toro stesso non era Zeus?

CC BY-SA 3.0
Artemide Tauropolos, la Dea della caccia e della transizione
Artemide Tauropolos è una delle manifestazioni meno conosciute della grande dea della caccia, Artemide, poi conosciuta nel mondo romano come Diana. Il suo epiteto “Tauropolos” suggerisce un legame con il toro, animale sacro in molte culture mediterranee, e con riti di passaggio che segnavano il transito dall’infanzia all’età adulta.
Nella tradizione greca, Artemide Tauropolos era particolarmente venerata in regioni costiere, come l’Asia Minore e l’Attica, dove il suo culto era legato ai viaggi per mare, ai sacrifici rituali e alla protezione delle donne. La sua iconografia include spesso animali marini, come conchiglie e pesci, elementi effettivamente rinvenuti nel sito di Anfipoli. Non possiamo poi dimenticare che Artemide e Diana sono “caste dive”, legate alla luna e al mondo femminile.
Un aspetto distintivo del culto di Artemide Tauropolos è il suo legame con i misteri religiosi e le cerimonie di iniziazione. Giovani ragazze e ragazzi, attraverso riti specifici, venivano simbolicamente offerti alla dea prima di raggiungere la maturità. In alcuni contesti, si crede che questi riti comprendessero danze sacre e offerte votive di statuette raffiguranti la dea.
Artemide Tauridea o Artemis Tauropolos poteva significare una particolare Artemide adorata nella regione della Tauride, ma anche Artemide tirata da un carro di buoi o cacciatrice di tori. Le ultime connotazioni evidenziano una vittoria o una sottomissione della forza bruta, da parte del femminile e della sfera materna.
Si può ipotizzare che Artemide Tauropolos costituisse un riferimento di culto elaborato e sviluppato soprattutto dal mondo femminile. Di notevole interesse è la vicenda di questa figura femminile che uccide il toro, in cui si può nascondere la potenza violenta della natura maschile e della natura. E’ evidente che non possiamo applicare retroattivamente una visione moderna a queste antiche elaborazioni, ma è pure manifesto il fatto che questo culto presentava notevoli contrappesi legati al mondo femminile. Per certi aspetti potremmo – per averne percezione comparativa – immaginare una sorta di Madonna che sconfigge il Maligno e che accompagna donne e bambini.
Nel mondo cristiano del Rinascimento, Artemide-Diana fu ripresa come simbolo dell'”emancipazione femminile” e della vita consacrata delle monache, con particolare riferimento al mito di Diana ed Atteone. Atteone, il cacciatore, scorge Diana nuda, nel bosco. Costei, colpita nella sfera della propria intimità sacra, provoca la morte di Atteone, trasformandolo in cervo. I cani del cacciatore uccidono l’animale.