di Alessandra Zanchi
[L]a mostra “Arp e le Avanguardie nelle collezioni della città di Locarno” prosegue l’indagine all’interno delle collezioni cittadine, iniziato lo scorso anno con “Figure a confronto”. Chiediamo al curatore Luigi Cavadini di illustrarci le particolarità dell’esposizione in corso alla Pinacoteca Casa Rusca.
Innanzi tutto, quali sono le collezioni cittadine coinvolte e come è nata questa importante iniziativa di valorizzazione? E inoltre, può raccontarci la storia della donazione Arp, che costituisce il fulcro della mostra?
Le mostre sono un’ottima occasione per riportare l’attenzione del pubblico sulle collezioni permanenti. Con “Figure a confronto” abbiamo affrontato l’evoluzione della figurazione nel corso del Novecento, attraverso il lascito Jacometti. Ora si è voluto fare un passo avanti e illustrare il percorso dell’arte verso l’astrazione, soprattutto grazie al nucleo consistente del lascito Arp. Questa donazione si deve all’artista e alla moglie Marguerite Hagenbach, e risale al 1965. Il primo nucleo consisteva di una quarantina di opere, di Arp o da lui collezionate. Negli anni successivi alla sua morte il nucleo si è allargato grazie alle continue donazioni degli amici, e si è venuta così a creare la Collezione Arp. Inizialmente collocata al Castello Visconteo, essa è andata poi a costituire, insieme al lascito Jacometti e ad altre raccolte, la Pinacoteca Casa Rusca, che oggi ospita quindi tutte le collezioni cittadine, che espone a rotazione. La Pinacoteca accoglie inoltre due volte all’anno mostre temporanee.
Parliamo ora di Jean (o Hans) Arp (Strasburgo 1886 – Basilea 1966). L’artista è noto soprattutto come scultore surrealista, ma la sua personalità è molto più variegata. Può illustrarci la sua produzione negli anni della maturità, dopo le prime esperienze con il “Blaue Reiter”, “Der Sturm” e Dada?
Con il libro “Arp e le Avanguardie nelle collezioni della città di Locarno” a cura di Pierre Casé, edito l’anno scorso, si è già attuata una ricognizione generale delle raccolte e soprattutto delle opere di Arp. La mostra, che ha preso spunto dal volume, ha invece lo scopo di riordinare la produzione, in seno alla collezione, riguardante esattamente gli anni della maturità artistica, dalla fine degli anni Trenta in avanti. In questa fase si evidenziano soprattutto due direzioni; una più “informale” e organica nel recepire e interpretare le forze vitali della natura, l’altra tendenzialmente più geometrica. È da questo connubio che nascono le sculture, per lo più a tuttotondo, note come “concrétions humaine” ovvero qualcosa che ha subito una crescita; opere che superano ormai le esperienze Dada e Surrealista, inglobandole. Come sosteneva Arp nel suo trattato sull’ arte “concreta”, lo scopo non è né quello di imitare la natura né quello di riprodurla, bensì di generare in modo immediato oggetti che diventano parte integrante della natura stessa, come le nuvole, le montagne, i mari.
Quali allora le opere più significative in mostra?
Ci sono alcuni interessanti bozzetti in gesso degli anni ‘30-’40: “Ombre chinoise” (1938) e “Silencieux” (1942) per esempio, che sono le basi della scultura più “informale” sviluppata su forme vegetali e organiche. Molte invece le opere degli anni Sessanta, spesso di grande formato, in bronzo o in pietra, tra cui spiccano alcuni rilievi che si rifanno ai “papier déchirés” nati intorno al 1932, durante l’adesione al gruppo parigino “Abstraction-Création”. La casualità della carta spezzata e incollata sul foglio – brandelli la cui forma ispira composizioni impreviste – viene trasposta in questi rilievi scultorei in cui entrano però nuove tipologie biomorfe ispirate al modo cellulare. Significativa anche la scultura in gesso del ‘66 rimasta incompiuta, con la parte alta ancora in fieri, quasi in germinazione spontanea.
Veniamo alla panoramica sulle Avanguardie europee. Quali altri gruppi e movimenti, a parte quelli in cui era personalmente coinvolto, hanno influito sulla formazione di Arp? E con quali importanti artisti ha stretto rapporti di amicizia e lavoro?
La sezioni in cui è suddivisa la mostra rispondono esattamente a questa domanda. La prima sala ospita i grandi maestri legati ad Arp. Un’introduzione al percorso espositivo e un’occasione di confronto con Klee, Max Ernst, Meret Oppenheim e poi Picabia, grande amico dell’artista e compagno delle esperienze dadaista e surrealista. Dopo le cinque sale dedicate esclusivamente al lavoro di Arp, si passa invece agli artisti che hanno segnato la strada dell’Informale: e qui trovano posto Walter Helbig e gli italiani Piero Dorazio e Italo Valenti. Al piano successivo incontriamo invece gli esponenti delle esperienze di matrice geometrica, con la significativa presenza degli amici di Arp, Alberto Magnelli e Sonia Delaunay, e della prima moglie, Sophie Tauber, sua fonte di ispirazione e modello di riferimento iniziale. Non può mancare infine Theo Van Doesburg, che rimanda ai contatti di Arp con il movimento “De Stijl” alla fine anni Venti (quando i due artisti collaborarono alla decorazione e all’allestimento del “café-dancing” di Strasburgo).
Tra i vari “assaggi” della produzione d’avanguardia esposti in questa occasione, ci parli dei più stimolanti e “gustosi”.
Il percorso è ampio e si sviluppa partendo dalle proposte maturate al Bauhaus e nei gruppi parigini “Cercle et Carrè” e “Abstraction-Création” per giungere ad alcuni “assaggi”, appunto, di Dada, di Surrealismo e Concretismo svizzero, fino alle varie declinazioni dell’Informale. Per fare comunque qualche esempio, ricorderei il famoso “Wohin? Junger Garten” di Klee (1920) e gli interessantissimi oli su tavola con applicazioni, eseguite negli anni Trenta da Kurt Schwitters – nella momentanea fase neoplastica, più rigida e formale rispetto a quella dei collage con materiali trovati – e da Gildewart, presente con la sua “Composizione 59”. Più di una inoltre le opere di Hans Richter, a costituire quasi una piccola mostra nella mostra, tra cui il “Ritratto Dada” del 1917, il “Trittico grigio” del 1957, e i “Dymo” – rilievi polimaterici o a tecnica mista – degli anni Settanta. Diverse anche le sculture di Max Bill: sculture di grandi dimensioni, generalmente in deposito, che ora possono essere ammirate nel giardino della Pinacoteca. Per concludere, direi che è d’uopo citare il ritratto di Arp eseguito da Richard Huelsenbeck nel 1950.