La critica d’arte non può che fare un discorso attorno alle opere di un artista, alla scoperta dei diversi sensi presenti come del significato destinativo che egli ha sentito, ricercato e che, di volta in volta, ha espresso nel suo poiein. Non vogliamo interpretare, non vogliamo fare investigazioni filologico-storicistiche, non vogliamo puntualizzare archivisticamente i passaggi modali, non vogliamo spiegare un artista e la sua opera. Desideriamo scrivere delle idee sollecitati dalle idee che Bonetti ha espresso tramite la sua pittura. Ci saranno concordanze e discordanze soprattutto con l’artista, poi con i critici a lui interessati. Ci saranno fraintendimenti, forse erroneità, ma il discorso sarà consono e parallelo a quello del pittore perché comune è l’intendimento: capire. Che cosa? Il vero storico della creazione, della critica, dell’arte in se stesse e in relazione all’uomo e al Cosmo. Capire che cosa? Come sono e stanno le cose da sempre nella varianza dei Tempi. Questo il compito e il conseguente lavoro datosi da Bonetti che, presente alla propria epoca, ne vede gli ingorghi, i malefizi, le grandi possibilità, rincorre giustizia perché respira troppa legge, si agita per cercare giustezza e s’aggira tra disarticolati labirinti, tra fasulli sentieri, tra consapevoli malizie. E allora ecco che sceglie, per combattere tali distorsioni, l’astrattismo geometrico per meglio contrabbandare il suo discorso, per meglio dire quello che deve dire, quello per cui si è eletto artista accettando ogni conseguenza, ogni durezza, ogni meraviglia, ogni stupore, ogni seduzione. Sempre attento ed impaziente nei confronti del mondo, dell’umana folla, scegliendo qua e là i suoi compagni, cercando nell’Antico quella scintilla che ha dato inizio alla dicotomia tra Terra e Cielo, quel momento di disaccordo cantato da Hoelderlin, quel momento in cui l’accordo si ripresenta come ricorda Auden. La metarazionalità inseguita da Bonetti è un modo tutto europeo di intendere e avvicinarsi a quanto sostiene Stevens: pittura e poesia sono simili e parallele, non opposte e contrarie.
Il segno pittorico è autonomo rispetto al segno poetico, ma entrambi sono scritture che ridicono il pensare sempre nuovo sulla realtà: gettano nel mondo l’antico soffio della caverna profetica, mettono avanti quello che l’artista ha inteso e previsto prima di altri. Chi è poeta non può dimenticarsi delle composizioni di figure tramite la manipolazione delle parole; chi è pittore non può dimenticare di rendere l’intrico di tela colori pennelli mani mente cuore a sonorità lirica. Le linee di Bonetti non si sono moltiplicate per quantità hegeliana, ma si sono sviluppate in qualità niciana e teillardiana. Sono sempre lì a stupirci con la loro apparente staticità, semplicità, “ordinarietà” – una striscia di colore ben teso -, indifese dai grandi spazi che le circondano, da cui pendono, verso cui provano l’attacco, a cui tendono i loro vertici per continuare un dialogo, per le loro parti spezzate che, in apparenza, paiono perdersi nel nulla mentre, nella sostanza, sostengono le possenti architetture e si librano nello spazio visibile come le farfalle di Visby, volando tutt’intorno e oltre la tela, invisibile cosmo. Le linee sono irrequiete, si muovono continuamente e sfondano la tela più singolari dei tagli, la negano più duramente delle combustioni, la ricompongono poeticamente come gli angeli. Le linee di Bonetti sono state trasformate dall’autore attraverso una forsennata passione e un paziente lavoro, molta fiducia nell’intelligenza, una grande ira contro la stupidità. Bonetti ha trasformato le linee in simboli; Bonetti si è trovato improvvisamente qualcosa nella tela che non era più un in-significante segno pittorico e, al contempo, il segno pittorico ha trasportato l’artista verso una terra diversa, dalla sostanza all’essenza: dalla realtà al reale. La linea è simbolo della pittura dell’arte della poesia. Simbolo dell’opera d’arte che cerca vero e verità, di non essere solo più un sensibile, di non essere più solo il risultato di un calcolo oculistico-geometrico, ma di essere un reale-spirituale esistente e vivente. Non biologismo, non spiritualismo: creazione critica. Non più solo astrattismo geometrico, ma una sintesi nuova dove astratto e concreto dialogano, dove pittura e poesia convivono, dove esterno ed interno danno vita a un terzo dato senza annientarsi e annullarsi (Nietzsche). Il niente e quindi il nichilismo sono superati e negati. Si va verso terre profonde dove l’approdo difficile sarà consentito perché il regno dell’arte è accogliente per coloro che non mentono, non bluffano, non tramano, non ingannano ma tentano, cercano, provano, riprovano la perfezione sapendo di poter essere solo splendida imperfezione.
Clicca sul link per aprire il PDF e leggere il testo, con immagini comparative:
[PDF] Beppe Bonetti
STILE ARTE 2006