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Nel corso di primi anni parigini, Giovanni Boldini utilizza con grande trasporto “la piccola Berthe”, la sua amante, come modella. Senza entrare in particolari, l’artista ferrarese si avvale di un linguaggio pittorico e di un registro ambiguo che ricordano le opere settecentesche di Boucher. Le scenette vogliono evocare uno dei topoi della sessualità maschile matura: la seduzione della vergine che non conosce ancora le regole del mondo. Berthe, del resto, si presta a dare volto alla donna romantica che ancora non ha scoperto le sconvolgenti verità del corpo: è bella, buona e amabile, “da far venire l’acqua alla bocca” scrive Boldini all’amico Banti nella lettera del 17 novembre 1871.
Il piano iconografico costruito per evocare subliminalmente la seduzione si basa tanto sulla quinta floreale rigogliosa, quanto sulla postura della giovane donna, sullo sguardo obliquo degli occhi celestiali, e sull’abito castigato di Berthe, che non nasconde, nello stile dei Kimono che appaiono dipinti dai giapponesi, la flessuosità del corpo femminile. Tutto sembra castigatissimo e, all’apparenza desessualizzato. Eppure Boldini gioca magistralmente quel dito mignolo tra le labbra, con il fine di far avvertire un contatto proibito con la saliva e con la mucosa della giovane donna.
Berthe, un morbido boccone nella bocca di Boldini. Il quadro, i simboli erotici
Tutto sembra castigatissimo e, all’apparenza desessualizzato. Eppure Boldini gioca magistralmente quel dito mignolo tra le labbra, con il fine di far avvertire un contatto proibito con la saliva e con la mucosa della giovane donna