di Dezio Paoletti
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La città – per eccellenza – della pietra, capoluogo della più ricca provincia della Serenissima Repubblica e perfino la più popolosa fino al sacco dell’11 febbraio 1512, nel rifacimento d’inizio Settecento della chiesa dedicata ai suoi Santi Patroni, poteva esimersi dal non rispondere, con coerente munificenza, a cotante credenziali? La splendida facciata di San Faustino è una risposta intensa a questo interrogativo. Lo splendore e la bellezza della principale parete dell’edificio sono testimoniate dalle immagini qui riportate. Essa è interamente rivestita di consistenti spessori di bianco di Botticino, impreziosita da opere scultoree ed integrata da ulteriori elementi decorativi che ancor oggi vengono considerati “opere minori”. Vale però la pena soffermarsi sull’integrazione dei due aspetti menzionati nella spettacolare facciata, sia perché offrono l’occasione per cogliere la statuaria del Barocco bresciano che per riconsiderare l’operato secolare degli abili lapicidi delle botteghe rezzatesi, così denominate per rinomanza del principale riferimento territoriale, quantunque alcune d’esse operassero a Botticino piuttosto che a Brescia o dintorni. Per rivalutare, rispetto ai più rinomati scultori, i nostri marmorini o tagliapietre, che non necessariamente debbono essere considerati solo meri esecutori d’altrui disegni o di lavori ripetitivi, si consideri che il progetto della facciata è di Giuseppe (Gioseppe) Cantone nella sua duplice veste di lapicida e architetto.
Il disegno qua riportato è del nipote Giovanni Antonio Biasio, altro lapicida-architetto protagonista delle più prestigiose opere cittadine dei primi decenni del XVIII secolo (Duomo Nuovo, tanto per citare un esempio), formatosi anche lui nella grande scuola rezzatese – e il suo apporto la dice assai lunga sulla straordinaria esperienza formativa in quelle nostre antiche botteghe -.
Gli apporti propriamente scultorei, secondo le tradizionali fonti e più aggiornati affinamenti, sono di Santo Callegari il Vecchio, ovvero il capostipite della più prestigiosa dinastia di scultori barocchi bresciani, con la sola forma dubitativa per le due figure dei vescovi poste nelle nicchie del registro superiore. Ma neppure quel brio e vivacità di movimento che si riscontra negli angioletti contornanti la cimasa del portale può appartenere allo stesso scultore che ha dato forma ai due Santi protettori nelle nicchie del registro inferiore. Tralasciando gli scritti degli autorevoli esperti che, con laboriosa pazienza e ricerca ci hanno lasciato le loro ricostruzioni sulla complessa vicenda, la lettura delle opere prettamente scultoree sulla facciata porta ad evidenziare un trend evolutivo interpretabile in quattro fasi:
– una impronta ancora legata a principi manieristici, quantunque di ottima fattura, per le due statue dei Santi Faustino e Giovita nelle nicchie inferiori, ma assai in ritardo rispetto quanto si era affermato a Roma. Per l’abbigliamento da soldati romani e per una certa staticità ricordano le statue dei Santi protettori scolpite da Antonio Carra più di mezzo secolo prima (nicchie dell’abside del Duomo nuovo);
– una vena di minor staticità si percepisce nelle due statue raffiguranti i vescovi Antigio ed Onorio, inserite nelle nicchie superiori, dovuta in gran parte alla maestria di movimentare i panneggi;
-un più vivace spirito di movimento è espresso dall’altorilievo inserito nel riquadro sovrastante il portale, raffigurante il Martirio di Faustino e Giovita;
– lo spirito “berniniano” entra finalmente in scena e conclude il trend evolutivo con l’inserimento dei tre angioletti nella cimasa del portale, di sublime vivacità e gaiezza, in particolare quello posto più in alto e reggente una corona in ferro di brescianissima estrazione.