Le opere che guardiamo sono il risultato del raffinato lavoro del pittore Claudio Filippini. L’artista, con cura certosina, totale padronanza del disegno e delle composizioni dei colori, accarezza e leviga le sue creazioni, passandole e ripassandole, sino a raggiungere il risultato, che lo gratifica e che, perfetto, richiama tutto il nostro essere a concentrarsi sulle immagini, E allora il pittore ci appare sostenuto, in questo procedere, da un ritmo musicale dolce e regolare, che gli suona dentro – Dante direbbe che gli detta dentro…-, ed immaginiamo la sua mano procedere lieve e sentiamo il suo cuore sereno. Perché Claudio Filippini vive bene la propria epoca, negli ambienti che l’uomo a lui contemporaneo ha modificato, per essere al passo con le conquiste tecnologiche, e con le costruzioni, che ha recuperato, per salvare la memoria recente di un mondo industriale, che si è sovrapposto a quello agricolo-contadino. In lui non c’è nessuna rivisitazione nostalgica di ciò che è lontano nel tempo. Non sogna scene arcadiche e non trasfigura la realtà. E’ concreto e benevolo nei confronti dell’oggi, di cui vede il lato positivo dovuto al progresso. Sentiamo le opere di Claudio Filippini buone, e non solo per la maestria con cui sono eseguite, ma per il paragone che, spontaneamente, ci attraversa la mente. Le avviciniamo al Verismo letterario. Ed allora, del tutto aderenti al discorso dell’artista, ci piace riflettere sui soggetti da lui scelti e rivisitati. Ci sono tante stazioni ferroviarie e ci sono tanti tratti di strade asfaltate, ma anche stradine di paese a ciottoli o lastricate. Leggiamo nel suo indulgere su queste tematiche un messaggio implicito: “La vita è un viaggio. Ogni giorno ne inizia uno nuovo e così, giorno dopo giorno, ciascuno di noi avanza e – per dirla con Ungaretti – la morte si sconta vivendo… cioè, inevitabilmente, ci avviciniamo alla tappa finale”. Questa certezza però, non disturba Filippini, che non comunica malinconia. E non ci tragga in inganno l’uso abbondante, che egli fa, del colore grigio. Qui il grigio non è triste: qui traluce e ci magnetizza. Esce dai pennelli come cipria profumata. Ha la delicatezza del petalo del fiore di pesco appena appena offuscato da una nuvoletta ovattata. I paesaggi grigi, che richiamano l’inverno, nulla hanno delle inquiete tenebre di foscoliana memoria, ma diffondono, nella pacatezza velata dei toni, una armoniosa intimità, che addolcisce i cuori e smorza acerbe passioni. Quando poi l’artista irrompe con toni accesi o rischiara con bagliori di luce, sembra dichiarare con più incisività il suo amore per la vita: la pittura, in un crescendo, declina i sentimenti e diventa lirica. Se tentiamo allora di approfondire la lettura delle immagini, quali esse siano, vi cogliamo questo insegnamento: la vita non è più solo una corsa verso la tappa finale, ma è una conquista di mete perseguite con costante perseveranza. In questa dimensione sta la statura artistica di Filippini, il quale non coglie l’attimo fuggente ma l’essenza, che travalica il tempo ed eterna, in una armoniosa simbiosi, il soggetto creato ed il suo artefice, entrambi proiettati in un futuro di crescita.
Clicca sul link per aprire il PDF e leggere il testo, con immagini comparative:
[PDF] Claudio Filippini, l’essenza delle cose
STILE Brescia 2006