di Stefano Roffi
[S]e il valore di un artista può essere misurato attraverso l’influenza esercitata sulle generazioni successive, il lascito di Henri de Toulouse-Lautrec è certamente significativo, in particolare se analizzato attraverso gli elementi della sua poetica che trovano un passaggio stilistico nel lavoro di Pablo Picasso.
Attorno al 1899 Picasso si avvicina a un gruppo di artisti e scrittori catalani d’avanguardia che si ritrovano a Barcellona nel caffè-cabaret Els Quatre Gats, omaggio ironico al celebre Chat Noir parigino di Aristide Bruant, richiamandosi al movimento modernista e alla sua finalità di catturare artisticamente la realtà nella sua natura elusiva e sfuggente. Agli artisti Santiago Rusiñol, Ramón Casas e Miguel Utrillo, animatori di questo gruppo poi trasferitisi a Parigi, si uniscono successivamente altri giovani pittori, fra i quali Isidre Nonell, Carlos Casagemas e lo stesso Picasso. Nel caffè trascorrono le serate a discutere delle novità artistiche e letterarie europee; fra queste, le rivoluzionarie affiches provenienti da Parigi che vi sono appese, in particolare di Steinlen e di Lautrec, oltre che dei giornali satirici da loro illustrati, ravvisandovi la capacità di liberare l’arte dal vincolo della contemplazione per farne veicolo di comunicazione di massa, non pochi decenni prima del lavoro di Warhol.
È proprio attraverso l’esempio di Steinlen e di Lautrec che si attua la trasformazione di Picasso da pittore accademico in artista d’avanguardia. Già nel disegno picassiano del menù di Els Quatre Gats la linea è quella di Lautrec e perfino i colori sono molto simili a quelli del celebre manifesto Divan Japonais. Picasso si concentra sul linguaggio della linea; peraltro il padre, professore di disegno, lo aveva avviato all’Academia Real de San Fernando a Madrid dove Picasso studia Ingres, maestro del linearismo, l’artista la cui opera esemplificava i principi accademici secondo i quali la forma ideale è quella scultorea e la figura umana la misura. Partendo da Ingres, analizza lo stile più ardito di Lautrec, di Bonnard e di Vuillard, artisti che avevano applicato l’uso decorativo della linea e i piani privi di profondità delle stampe giapponesi, incentrando nella figura il fulcro del loro sistema compositivo.
Picasso nell’ottobre 1900 decide di partire per Parigi cedendo, più che al martellamento pubblicitario connesso all’Esposizione Universale, al desiderio di vedere una sua opera esposta nel padiglione spagnolo. È infatti uno degli artisti scelti per rappresentare l’arte del suo paese: la n. 79 del catalogo, dal titolo Les Derniers Moments, è indicata come opera di “Pablo Ruiz-Picasso”; soggetto patetico suggerito dal padre don José, pittura non memorabile.
Picasso e i suoi amici visitano l’Esposizione e vedono le opere di Lautrec, Cézanne, Bonnard, Degas e altri contemporanei francesi. Ritrovano a Montmartre i manifesti di Lautrec all’ingresso del Moulin Rouge; il ricco, alcolizzato e ammalato Lautrec vive ormai appartato in seguito a una paralisi e morirà alcuni mesi più tardi, a soli trentasette anni. Picasso ha modo di conoscere l’ultimo splendore di Montmartre quale l’ha immortalata Lautrec. Al mondo brillante, elegante, colorato si sostituiranno ben presto le orde anonime dei turisti che accorreranno a contemplare passivamente e a buon mercato i luoghi dove altri si erano divertiti.
Pur facendo la bella vita in compagnia degli amici, Picasso lavora molto. Nonell gli cede il suo studio in rue Gabrielle dove Picasso abita con Casagemas, suo amico fin dall’epoca del Quatre Gats; poi si trasferisce in boulevard Clichy, in una camera messa a disposizione da un altro spagnolo, il mercante d’arte Pedro Mañach. Rispetto all’ultimo periodo trascorso in Spagna lo stile di Picasso cambia radicalmente, da molto asciutto (come nel Ritratto di Josep Cardona e Finestra chiusa, entrambi del 1899) a fortemente evocativo. Inizia a manifestarsi il Picasso più conosciuto, pronto ad assorbire, non senza un certo opportunismo, molti degli stili dominanti della sua epoca, esprimendosi per qualche tempo in opere che ricordano quelle di Lautrec e, altrettanto fortemente, di Van Dongen: ma lui ha la capacità creativa di fare proprio qualunque stile e l’intuito per capire quale si affermerà.
Un manifesto di Lautrec, la litografia pentacromatica May Milton, domina nel suo studio parigino; lo ha strappato di notte da un muro, come un fan col poster del proprio idolo, per appenderlo e poi includerlo nel dipinto Le Tub (Camera blu) dell’autunno 1901, pochi giorni dopo la morte di Lautrec: una sorta di omaggio e insieme una affermazione di continuità, di consapevolezza dell’influenza recepita, al punto da realizzare in quel periodo opere di assoluto “esprit Lautrec”.
Dall’ammiratissima pittura di Lautrec riprende ambienti e soggetti, dipingendoli con colori vivaci molto apprezzati dal pubblico. Lo colpisce nelle sue opere la scelta di evitare tutto ciò che è impressione retinica per isolare quanto attraverso l’occhio penetra e suscita una reazione: una rielaborazione mentale, quindi, una percezione non soltanto visiva, ma psicologica, che consente di andare al di là della superficialità cromatica per far emergere la vitalità ritmica dei soggetti rappresentati, la loro funzione nella collettività, non fatta per essere contemplata, e neppure per essere analizzata come valore estetico: può essere soltanto vissuta, integrandosi attivamente nel suo tessuto comunicativo. È in questo abbandono risoluto dell’arte come contemplazione a favore dell’arte come comunicazione la ragione della rivoluzione di Lautrec; l’esordiente, acutissimo Picasso ne coglie per primo la portata, facendola propria e assimilandola anche formalmente attraverso il sintetismo robusto, il disegno incisivamente sinuoso, senza fronzoli, ma anche il gusto del tratto e del tocco sferzanti, trasformandone l’ironia amara nell’aggressività di chi vuole partecipare alla scena del mondo fino ad aggredirne la visione.
Ritrovando nei locali notturni parigini l’atmosfera del maestro, in una sorta di pellegrinaggio artistico nei suoi luoghi, Picasso si induce a dipingere scene decadenti e provocatorie che dalla sicurezza formale e dal coraggio tematico di Lautrec traggono forte influenza; la sua tavolozza è però più colorata e la materia pastosa e granulosa, a piccoli tocchi, mentre il francese usava un colore molto fluido, filiforme e senza spessore, oppure i campi larghi e pieni delle litografie. Picasso se ne differenzia anche nel modo di trattare le scene: del music-hall egli non descrive l’aspetto fiabesco ma quello sordido, precorrendo già in germe il “periodo blu”, pieno di disperazione e di malinconia sulla linea dell’atmosfera del Quatre Gats, la sua “università”.
L’influenza di Lautrec sull’arte di Picasso si esemplifica nel dipinto Le Moulin de la Galette del 1900: prendendo a confronto il celebre omonimo soggetto di Renoir, in cui predomina la luminosità disincantata di una rilassata festa borghese, nella versione di Picasso un magma di personaggi occupa un interno claustrofobico; la loro espressionistica ambiguità rinvia ai soggetti socialmente e umanamente deviati raffigurati da Lautrec nel Moulin de la Galette, mentre l’atmosfera della scena notturna con uomini e donne che ballano è vivacizzata da accezioni trasgressive, in primo luogo il non celato lesbismo delle giovani in primo piano, tema frequente anche in Lautrec.
In tutti i luoghi di Montmartre Picasso ritrova il ricordo di Lautrec, mentre questi va chiudendo la sua vertiginosa esistenza. Il giovane spagnolo potrebbe anche averlo incontrato durante il suo secondo soggiorno a Parigi, perché Lautrec vi è rientrato quasi contemporaneamente in maggio. Entrambi sono amanti dei locali notturni, ma Lautrec non li frequenta più: avverte la fine imminente e nello studio dell’avenue Frochot fa ordine fra le proprie opere, preparando inconsapevolmente il museo che porterà il suo nome ad Albi.
Benché non sia documentato che i due artisti si siano conosciuti, non lo si può escludere completamente; di fatto per alcuni mesi Picasso dipinge una cinquantina di tele in cui rappresenta i soggetti preferiti del maestro francese, come sotto dettatura, pur in versione quasi caricaturale; infatti questo suo periodo viene definito appunto “Lautrec”. Sono proprio i suoi soggetti e le ambientazioni a richiamare Lautrec; ma in Picasso non si trova invece traccia del colore fluido e freddo, della linea in movimento, dell’impaginazione provocatoria e insieme meditata del francese. Lo spagnolo, che nella maggior parte della sua opera successiva si rivelerà innanzitutto disegnatore, si mostra all’inizio più sensibile al colore e alla materia che al disegno, impiegando frequentemente una pasta cromatica densa e cremosa, applicata vigorosamente a tinte piatte o a coriandoli – come nella Nana del 1901. Contrariamente a Lautrec non accentua l’avvilimento dei suoi personaggi, incline piuttosto a esprimere solitudine, abbandono, disperazione nel vizio, stupidità insieme a laidezza; il suo sforzo è volto a sottolineare il carattere intenzionalmente seduttivo dei suoi modelli, prevalentemente prostitute e ballerine, che egli descrive con insistenza fino all’eccesso facendone maschere di volgarità, marionette grottesche.
Ciò che affascinava Lautrec al Moulin Rouge erano la danza, le evoluzioni delle ballerine, in contrasto con l’immobilità degli spettatori, oltre al tipo fisico e agli atteggiamenti dei personaggi. Picasso si interessa solo superficialmente allo spettacolo, ai colori e alla luce; si ha l’impressione che le sue donne imbellettate siano fantocci disegnati di getto in base a una osservazione superficiale, proprio come certi personaggi del primo Goya. French can-can, per esempio, sembra un esercizio su un manifesto di Lautrec, La troupe de Mlle Églantine; l’apporto personale si riduce a una schematica semplificazione del soggetto. Questo depotenziamento esprime anche il fatto che personaggi memorabili quali erano stati, fra gli altri, la Goulue e Valentin le Désossé non sono più attivi quando Picasso frequenta le notti di Montmartre e non sono stati degnamente sostituiti; la Goulue è ormai un’alcolizzata di taglia mostruosa, e Valentin si reca al Moulin
Rouge soltanto da spettatore.
Picasso a Parigi avverte presto la mancanza del rassicurante ambiente familiare e della compagnia di Barcellona. Perciò quando Mañac, entusiasta dei primi risultati, gli propone un contratto di centocinquanta franchi al mese per tutta la sua produzione, decide di rientrare in Spagna: può benissimo dipingere a casa propria come a Parigi, usando i bozzetti che aveva disegnato nei caffè e nei music-hall. Molte opere del “periodo Lautrec” vengono quindi realizzate a Barcellona: fra queste, La fin du numéro, Le diseuse, Les soupeurs, Les plastrons, Le Moulin de la Galette, French can-can, Dans la loge (Portrait de Jane Avril); tutte dichiarano un debito anche verso le opere di Steinlen, di Maurice Denis e del pur esecrato Bonnard. In quel momento un Lautrec vale seicento franchi, un Picasso fra i trenta e i cinquanta: finché Picasso dipinge nello stile Lautrec, Mañac lo appoggia, ma quando inizia il periodo blu lo abbandona, considerandolo invendibile.
Frequenta sempre l’amico Casagemas, sensibile, fragile, istericamente infatuato di Germaine, una modella di Montmartre che non ricambia il suo trasporto; Casagemas si spara un plateale colpo in testa davanti a lei. Picasso, sconvolto, dipinge l’amico in varie tele dove si riscontra una svolta. Fino ad allora ha dipinto alla maniera di Lautrec, pur violentandone il senso e le ragioni di fondo, sempre attento alla vendibilità dei quadri. Ma poco a poco, segnato in modo latente dalla tragedia di Casagemas, abbandona questo stile e si dà a una pittura più intima, malinconica, che riflette la miseria in cui vive la comunità spagnola di Montmartre. È il periodo blu, un quasi monocromo che permea le tele, ispirato dalla tavolozza di El Greco, pittore amatissimo anche da Lautrec che nel 1895 si era recato a Madrid e a Toledo per vederne le opere.
UNO STRAORDINARIO FILMATO CHE NARRA LA VITA DI TOULOUSE-LAUTREC ATTRAVERSO ANTICHE FOTOGRAFIE
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