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Un anziano cavalcato da una fanciulla, totalmente soggiogato da essa, pronto a cedere anche ai più bassi istinti pur di compiacerla. Un depravato, uno stolto messo alla berlina da qualche artista del XIV secolo? Stupisce sapere che l’individuo in questione altri non è che il sommo Aristotele. Ma come è possibile che uno dei padri nobili della filosofia sia trattato alla stregua di un volgare uomo comune? Qual è il significato di tale affresco?
A realizzarlo – nel caso specifico – è Memmo di Filippuccio, pittore civico attivo a San Gimignano che, tra il 1303 e il 1317, viene incaricato di comporre un ciclo decorativo per la Camera del Podestà nel Palazzo comunale. Le scene hanno il fine evidente di richiamo alla virtù, anche nella sfera privata. Sostanzialmente possiamo dire che Memmo di Filippuccio – evidentemente seguendo un soggetto indicato dal Comune – indica nel lecito matrimonio le fonti della gioia e dell’equilibrio, mentre indica negli infortuni delle virtù matrimoniali la fonte di dolore e di pericolo. Un pericolo che, nel caso del Podestà, è in grado di ricadere sull’intera comunità. E’ per questo che il ciclo d’affreschi affronta aspetti intimi, ma ha un valore civico.
L’opera rivela, sulla parete est, scene di vita coniugale, ricche di dolce erotismo: un giovane e la sua compagna fanno il bagno insieme e poi si mettono a letto. Temi non usuali, descritti con realismo e poetica sensibilità. La facciata nord, invece, fa da contrappunto. Alla virtù dell’amore coniugale essa oppone l’infortunio della virtù amorosa. Il pittore, a tal proposito, dipinge il Figliol prodigo – che spesso nella pittura antica appare a tavola con prostitute – i cognati danteschi Paolo e Francesca, Fillide e Aristotele, cavalcato, tenuto per le briglie e frustato.
La leggenda di Fillide e Aristotele ha radici antiche e numerosi varianti in letteratura, ma il testo principe, in questo ambito, risale al Duecento ed è opera del chierico normanno Henri d’Andeli, autore del Lai d’Aristotele, che racconta la storia alla quale probabilmente si ispirò il pittore di San Gimignano, probabilmente attraverso la mediazione di Brunetto Latini.. La storia narrata nella fiaba è la seguente. Alessandro Magno fermò le sue conquiste militari perché si innamorò di un’affascinante giovane indiana; questo dispiacque ai suoi ufficiali, che però non erano in grado di invitarlo a cambiare idea. È Aristotele, il suo tutore, che lo affronta e gli ricorda i suoi doveri politici.
Alessandro Magno evita per qualche tempo di vedere la ragazza. La giovane donna, trascurata, viene a sapere dell’intervento moralizzatore del filosofo e decide di vendicarsi. Il giorno dopo, mentre Aristotele è immerso nei propri libri, la ragazza cattura la sua attenzione sciogliendosi i capelli, passeggiando in giardino e cantando sotto la sua finestra. Immagini e suoni che accendono il desiderio del filosofo. A quel punto, Aristotele perde la testa e accetta persino di essere cavalcato dalla ragazza.
Alessandro li vede in questa posizione e scoppia a ridere fragorosamente. Aristotele, vergognandosi allora della sua follia e della posizione in cui si trova, deve umilmente ammettere che il giovane re può essere scusato per essersi lasciato infiammare dall’amore, poiché lui stesso, nonostante la sua età, non è stato in grado di porre alcuna resistenza.
Il grande successo dello scritto incontrerà ben presto le resistenze della Chiesa, che ne impedirà la diffusione, ritenendolo troppo audace nei contenuti. Si cercherà invece di individuare una versione più casta, atta a sottolineare l’aspetto moraleggiante dell’ordito narrativo, come avviene, appunto, nel caso di San Gimignano.
Nel 1460 ritroviamo l’immagine del filosofo cavalcato dalla cortigiana nei Trionfi di Amore, della Castità, della Morte e della Fama realizzati nella chiesa di San Marcellino in Chianti mentre, tra il 1503 e il 1513, è Hans Baldung Grien (1484-1545) che si cimenta nella rappresentazione grafica del racconto. I personaggi sono nudi per evocare nello spettatore l’idea di un rischioso gioco erotico e, al tempo stesso, fungono da illustrazione eccitante, semanticamente velata da un pretesto storico.
L’allegoria viene utilizzata, durante il periodo rinascimentale, sulla linea del pensiero stoico, che invita a contenere i sentimenti dirompenti per evitare negativi turbamenti dell’anima che possono portare a dipendenza e a soggiacenza. L’alto esempio derivante dalla tragicomica sottomissione di uno dei maggiori pensatori d’ogni tempo è un avvertimento esteso ad ogni uomo alle infinite possibilità che egli corre d’essere sopraffatto dalle pulsioni e dominato dalle donne.
Il tema iconografico di Fillide che cavalca Aristotele è ricorrente in numerosi palazzi e castelli italiani. La stratificazione dei significati – e pertanto la polisemia – contempla l’analisi di un’allusione più apertamente erotica, venata da un’idea di ribaltamento dei ruoli sessuali, percorsa da una vena sado-masochista
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