“Nel volgere di un mattino, De Pisis compera un pesce, lo dipinge, lo cuoce e lo mangia” diceva di lui il collega Mario Tozzi. L’impressione è un attimo, e il pittore ferrarese non indugia nell’attesa di fissarla rapidamente sulla tela, in gara con il tempo. In coincidenza con la stagione parigina, adotta uno stile veloce, nervoso, immediato, una sorta di “furore felice”. Sembra addirittura entrare in sfida con l’attimo luminoso degli impressionisti: le sue non sono istantanee, ma sintesi di immagini colte in unità temporali inferiori all’istante, per raggiungere, in un concitato alfabeto morse del colore, l’essenza delle cose, la struttura e la proiezione in direzione del disfacimento. L’essenza, allora. L’essenza fissata nel lasso di tempo che scivola tra un secondo e l’altro: e ciò gli consente di creare dipinti che vanno ben oltre la mera raffigurazione del paesaggio. Un esempio è Ponte sulla Senna a Parigi. In questa tela del 1926, come annota Daniela De Angelis in De Pisis.
Gli anni di Parigi, 1925-1939, edito da Mazzotta, “la definizione precisa degli spazi raffigurati è come annullata da un’immediatezza che tutto confonde”: un’immediatezza di composizione che arricchisce l’opera di un’ulteriore dimensione, la quale, appunto, “esprime il disagio esistenziale e la solitudine del testimone contemporaneo”. Una pittura che si confronta per molti aspetti – ma ponendosi anche come momento di definitivo superamento della vecchia seduzione monettiana – con l’Impressionismo, al quale impone un’accelerazione e centrifugazione violenta, dopo un primo periodo di vicinanza alla perennità del tempo dell’universo metafisico di Giorgio de Chirico, Carlo Carrà e Alberto Savinio. Il lavoro sulla nuova, concitata dimensione temporale che trae origine dall’osservazione critica del mondo impressionista è rilevabile nel raffronto tra La rue Saint Denis, festa del 30 giugno 1878 di Claude Monet e White Hall, creazione dell’autore ferrarese datata 1935, opera nella quale “l’artista accentua la frammentazione della pennellata, in quadri che si indovinano eseguiti con una rapidità sempre più convulsa”. Un altro commento a proposito di tale rapidità ci giunge da Francesco Arcangeli, che nel 1951 afferma: “Una consuetudine, quella depisisiana nel dipingere en plein air, divenuta leggendaria per la velocità dell’esecuzione, per la capacità di rendere in un flash l’impressione”. Tra le numerose testimonianze relative a questa “gara con il tempo”, eccone una, ancora di Mario Tozzi: “De Pisis dipinge rapido, produce molto ed espone spesso. Questa sua, poi, alla Jeune Europe, è stata un’esposizione lampo: il tempo di appendere i quadri e quello di rimetterli a terra!”.