Abbiamo intervistato Annie-Paule Quinsac, che curò la mostra la Scapigliatura. Un “pandemonio” per cambiare l’arte, tenutasi al palazzo Reale di Milano
Come nasce la Scapigliatura? Possiamo tracciarne uno schema genetico, con i principali attori e le principali svolte?
La Scapigliatura nasce ufficialmente attorno a una rivista. Viene alla luce dalle colonne di una pubblicazione, l’almanacco del Pungolo, nel dicembre del 1857, uno “ strumento editoriale contro”, tanto che in testata, per sottolineare il fatto che si poneva programmaticamente agli antipodi, il periodico recava l’immagine di Asmodeo, diavolo zoppo e volante. E’ Cletto Arrighi, uomo politico, scrittore e giornalista (che si attesterà politicamente su posizioni radicali, ndr), a definire i contenuti e le linee del nuovo movimento, contestualmente alla presentazione-anticipazione del romanzo che andava scrivendo, La Scapigliatura e il 6 febbraio (Un dramma in famiglia), che uscirà nel 1862.
Siamo nel 1857. Quindi la Lombardia è ancora sotto il giogo austriaco. L’esperienza eroica e drammatica delle Cinque giornate si era consumata meno di dieci anni prima. Ciò aiuta a comprendere il clima del battesimo del movimento. Nel romanzo di Arrighi – che, di fatto, narra il fallimento della progettata sollevazione mazziniana del 1853 – con il sostantivo “Scapigliatura” si identifica infatti un gruppo di giovani patrioti anticonformisti e amanti dell’arte, “pronti al bene quanto al male”. Un gruppo di giovani che non accetta le regole, il sonno indotto, l’isolamento, come avviene del resto per coloro i quali faranno parte del gruppo reale.
Ciò che scrive Arrighi ha il potere di catalizzare e di dar forma consapevolmente compiuta a quanto c’è già nell’aria.
Sono gli anni in cui la cultura di potere austriaca narcotizza l’Europa, sotto una linea d’ordine, di rigore e di burocrazia che si sarebbe trasfusa nel modello piccolo-borghese e impiegatizio o nel pensiero diffuso del ceto commerciale e professionale perbenista dell’Italia post-unitaria. Ci muoviamo pertanto in un mondo chiuso, asfittico, che induce alla claustrofobia, ma che sviluppa, per converso, molte iniziative culturali di dissenso, che covano sotto la cenere.
E, alla lunga, quando, in seguito alla seconda guerra d’Indipendenza, nel 1859, gli austriaci sono costretti ad andarsene da Milano, il clima non cambia. Una fiammata d’euforia, poi il sonno delle istituzioni. Artisti e uomini di cultura milanesi assumono posizioni assai critiche verso la letteratura e la cultura italiana, ammirando soprattutto autori stranieri come Baudelaire, Gautier, Heine, Hoffmann e Poe.
Gli intellettuali milanesi vogliono essere protagonisti dell’Unità d’Italia. C’è molta speranza che si traduce in fervore, ma presto tutti comprendono che la linea mazziniana è ormai congelata e che si procede in una direzione diversa dai sogni di tanti giovani, che avevano configurato la liberazione del Paese ma, al tempo stesso, avevano pensato che dall’uscita di scena di un altro popolo che dominava il Paese potesse scaturire un nuovo corso politico-sociale. Gli scapigliati si propongono, pertanto, attraverso la cultura, di essere un punto di riferimento avanzato sotto il profilo della politica e dell’espressione. E’ il moderno che preme. La modernità che vuol fare uscire l’Italia da un universo polveroso.
Il movimento ambisce alla convergenza e all’unità delle arti e delle forme espressive: pittura, scultura, letteratura, musica, ma anche cronaca e politica. Quindi, in sé, la Scapigliatura non è uno stile, ma il tentativo polimorfico di esprimere un dissenso politico, trovando nuovi linguaggi incisivi. Gli anni Sessanta sono quelli della formazione. Gli intellettuali si mettono in moto con fervore. Nel 1863 si tiene il convegno sulla sinestesia delle arti. Nel momento in cui Rovani, a Milano, proclama che le tre arti sono sorelle, è in piena sintonia con quanto di più avanzato avviene in Europa, e ciò a dimostrazione del fatto che la vibrazione scapigliata assume un ritmo e un andamento continentali.
Eppure, con il passare dei decenni, si svilupperà una certa prevenzione – quando non un’aperta diffidenza – nei confronti del movimento, ingiustamente considerato come un prodotto del provincialismo italiano. Concetto che non riguarda le situazioni di punta, caratterizzate dall’internazionalismo del pensiero. Gli scapigliati erano davvero aperti al mondo e molto aggiornati. Erano intellettuali che leggevano il tedesco e il francese, e che, pertanto, risultavano informati rispetto a tutto quanto avveniva in Europa. Erano in contatto con ciò che si rivelava vivo e vitale. Una propensione che si era manifestata fin dal momento in cui Ranzoni, Cremona e altri amici si riunivano- negli anni Sessanta – nelle osterie della periferia meneghina.
Milano è una piccola capitale. Nel 1861 – anno dell’Unità nazionale – sono censiti trentadue giornali. C’è molta voglia di fare, di discutere, di incidere sulla realtà, anche se poi cala sul Paese la sonnolenza della nuova Italia. A dimostrazione dell’attività frenetica svolta dalla Scapigliatura, sotto il profilo artistico, letterario e pubblicistico, abbiamo diviso la mostra in due sedi. A Palazzo Reale esploriamo il filone delle arti figurative, mentre nella biblioteca di via Senato sono esposte le prime edizioni dei libri importanti, poi i giornali e le caricature. Ciò per dire che essa usò più di una forma espressiva.
Gli anni Settanta dell’Ottocento costituiscono l’arco temporale in cui il movimento tende al massimo la corda.
Gli anni Settanta son dominati dai cosiddetti “tre nani giganti”, Ranzoni, Cremona e Grandi. E’ il periodo d’oro del movimento, il momento apicale che viene interrotto a causa della morte di Cremona (’78) e della partenza di Ranzoni. Gli anni Ottanta son segnati dal ritorno di quest’ultimo. Ma il pittore, quando approda a Milano, trova la situazione mutata. Si sente persino isolato, non si riconosce nell’ambito che aveva fondamentalmente contribuito a creare. Erano venute a mancare le figure di riferimento.
Del resto, è un fenomeno che capita ai fondatori di qualsiasi realtà culturale. Dal primo capitolo della Scapigliatura – che contiene i paragrafi dei presupposti, della fondazione e del massimo sviluppo – passiamo al secondo, che è caratterizzato da un gruppo che fa propri i linguaggi del movimento, ma in alcuni casi con un certo calligrafismo, come se ormai il modello codificato fosse divenuto un semplice motivo di ispirazione delle modalità espressive.
Con il gruppo della “Famiglia artistica” si assiste, per diversi aspetti, a un sorta di sviluppo manierato di quanto in precedenza appariva esplosivo e vitale; ma non per ciò assistiamo ad una pedissequa ripetizione dei modelli. Anche quest’esperienza porta in là, nel tempo, alcuni elementi che si trasfonderanno nelle future avanguardie.
Ma torniamo al superamento della fase della fondazione e dell’apice espressivo. Il mutamento, che coincide con la terza fase del movimento, è dominato dall’assunzione più diffusa del linguaggio scapigliato ad opera di nuovi intellettuali ed artisti. Le vecchie figure di riferimento scompaiono. Nel 1889 muore Ranzoni. Negli anni Novanta assistiamo a ciò che ho definito “accademismo scapigliato”, che è una realtà da non sottovalutare, poiché, in quel periodo, crescono intellettualmente e artisticamente i pittori che confluiranno nell’esperienza divisionista.
E siamo al movente. Ogni forma espressiva propone una visione della vita. Dai quadri degli scapigliati si evince – contro il progressismo mazziniano o la contestazione individualistica e anarcoide che costituiva il filo conduttore del sentire del movimento – una grande attenzione per la figura, ma con una connotazione più vicina al secondo romanticismo, con un’attenzione, direi, a quello che sembra un sentimento sognato, un’apparizione, una proiezione psichica. Non troviamo, anche nel tratto, nel segno, un’espressione di denuncia che penseremmo immediatamente correlata alla denominazione attribuita al gruppo. Scapigliati – in un’accezione socio-antropologica – sono coloro che non accettano le regole imposte dalla società e manifestano il dissenso pure attraverso elementi legati alla capigliatura, oppure all’abbigliamento…
La rivoluzione operata dagli scapigliati, se non si rivela nella scelta di soggetti con connotazioni di denuncia sociale, si palesa nella forma espressiva e, soprattutto, nell’epoca del paesaggio dominante e dell’accademica pittura di storia, nella scelta dell’esplorazione dell’uomo. L’essere umano viene posto al centro dell’osservazione del movimento; una presenza che è colta anche sensualmente, con finalità edonistiche. E’ importante sottolineare il disinteresse per il paesaggio, imperante in quel periodo.
Gli artisti della Scapigliatura dipingono sì en plein air, con la luce naturale sul personaggio, ma l’elemento luminoso naturale contribuisce a rivelare le contraddizioni psicologiche di chi posa, i suoi moti dell’anima, compresa la risalita dell’angoscia. L’elemento di introspezione psicologica è fondamentale.
Lei sostiene che la Scapigliatura non è uno stile. Comunque possiamo trovare alcuni elementi ricorrenti, in pittura, che fanno pensare ad una convergenza del linguaggio. Che cosa caratterizza, nel rapporto forma-contenuto, la poetica scapigliata nell’ambito delle arti figurative?
L’attenzione alla figura – come abbiamo già detto – e l’estetica del non finito. Sono opere che danno l’impressione di non essere state concluse; in realtà l’artista blocca in quell’istante, volutamente, la rappresentazione, considerando gli echi che è in grado di produrre la forma aperta. E questa modalità rappresenta un fondamentale momento di aggancio ad altre analoghe esperienze europee. Le scuole inglesi e tedesche hanno elaborato un modello legato al rifiuto della forma conchiusa, definita, in funzione di una pennellata in grado di manifestare intensamente la forza espressiva ed evocativa. Altro elemento che crea unità nell’ambito della Scapigliatura è il modo con il quale viene guardata la scultura, che deve avvicinarsi alla pittura, divenendo lieve, quanto il ricordo di un’impressione.
A proposito del “non finito”, vorrei ricordare che, nell’ultima sala della mostra, esponiamo quadri non licenziati da Cremona. Sono non finiti, non perché egli non sia giunto a completarli, ma per una scelta precisa. Erano rimasti nel suo studio e ciò aveva indotto a pensare che dovessero essere ancora considerati come semilavorati. Ma il raffronto con altri dipinti ci dà la certezza che siano opere concluse. Così è per alcuni quadri di Ranzoni.
Risulta importante porre l’attenzione su uno dei rari casi nei quali il messaggio politico e celebrativo giunge all’arte scapigliata. Abbiamo riservato uno spazio particolarmente ampio a Giuseppe Grandi, uno dei maggiori scultori dell’Ottocento, che non è stato mai oggetto della valorizzazione che avrebbe meritato. Ho desiderato che una sala intera fosse dedicata allo straordinario Monumento alle Cinque giornate, che abbiamo recuperato e sistemato. E’ un avvenimento molto importante, perché questo lavoro viene proposto per la prima volta nella sua integrità.
Quindi passiamo a Medardo Rosso. Rosso non è presentato come un caso isolato, un artista venuto alla luce per partenogenesi. La ridefinizione dello spazio scultoreo, il concetto del non finito, l’uso modellante della luce che viene catturata dalla materia come se avesse la forma di una pennellata, dimostrano in modo inequivocabile l’humus da cui trasse la propria genialità.
Il gruppo, in genere, è stato scarsamente esplorato in una proiezione europea; si ha l’impressione che esso sia come soffocato, almeno pittoricamente, entro la cerchia dei Navigli e abbia semmai raggiunto altri artisti lombardi. Eppure dobbiamo notare che gli scapigliati furono attivi negli stessi anni degli impressionisti – potremmo dire con l’anticipo di un decennio -, che come loro giunsero al rifiuto della pittura accademica, che come loro praticarono una pittura di luce, che come loro, generalmente, ebbero l’idea di assegnare a quello che in precedenza era considerato un bozzetto la valenza dell’opera finita.
Per di più, esistono analogie anche sotto il profilo delle stesure, con la rinuncia a una pittura liscia, del tutto detto, del tutto descritto. Negli impressionisti troviamo molto spesso tache, mentre negli scapigliati – pensiamo a Tranquillo Cremona – notiamo stesure caratterizzate da pennellate “piumose”, simili per certi aspetti a falde di neve, che assecondano lo sfumato. Perché, a fronte di queste innovazioni, la Scapigliatura ebbe così scarsa incidenza all’estero?
La percezione che gli altri Paesi ebbero della Scapigliatura fu, rispetto alla produzione artistica, quasi nulla. Il mondo anglosassone si interessò invece con grande partecipazione alla produzione musicale e operistica sorta dal nucleo del movimento. Le traduzioni delle liriche dei poeti scapigliati ebbero un elevato successo negli Stati Uniti.
Uno dei motivi per i quali le arti figurative scapigliate non hanno ricevuto, fuori dall’Italia, il riconoscimento meritato è legato al fatto che la storicizzazione del movimento è stata compiuta in modo disastroso. Il ribellismo, l’individualismo, la libertà rispetto ad ogni schema coartante, che erano linee precipue della Scapigliatura, sarebbero risultate imbarazzanti, qualche decina d’anni dopo, al regime fascista. Per quanto riguarda la critica postfascista, dobbiamo dire che essa voleva crescere in una dimensione europeista. Nel momento in cui l’Italia usciva od era uscita dall’isolamento, guardava molto all’esterno e temeva che un giudizio di piena rivalutazione del fenomeno scapigliato potesse essere interpretato come una preoccupazione di tipo nazionalistico, che non sarebbe stata condivisa in Europa.
Sicché si diffuse, erroneamente, l’idea che la Scapigliatura fosse un fenomeno provinciale, tributario alla Bohème francese. Ecco, semmai si escludeva, da questo oblio, la figura di Ranzoni. Le prevenzioni e l’ingiustificato senso di inferiorità rispetto all’Europa non hanno permesso un corretto processo di storicizzazione. I macchiaioli, più facili da recepire, meno coinvolti nel discorso complesso della pluralità delle arti, ebbero, sotto tale profilo, un’altra sorte.
Lei crede che la marginalità di questi fenomeni italiani rispetto alla cultura europea derivasse dall’isolamento e dall’arretratezza del nostro Paese in quel periodo? Oppure, come accadde per De Nittis – italiano che partecipò, con gli impressionisti, alla mostra promossa da Nadar nel 1874, atto di nascita ufficiale dell’Impressionismo stesso -, si può ritenere che Parigi, divenuta capitale culturale del mondo, tendesse a considerare principalmente i propri artisti, a ribadire il primato d’ogni invenzione e a ridimensionare, quando non a cancellare, coloro i quali non erano francesi?
Indubbiamente la Francia, in quegli anni, diventa sempre più autoreferenziale. A Parigi, Medardo Rosso è costretto a rinnegare Milano e la Scapigliatura. De Nittis riesce a frequentare gli ambienti giusti perché ha la fortuna di aver sposato una francese. Lo stesso Troubetzkoy, italiano di origine russa, ottiene considerazione, all’estero, soltanto dal collezionismo americano. Ma sottolineiamo il caso di Rosso e la sua presa di distanza per capire che cosa significasse all’epoca la Ville lumière. Si aveva l’idea che Parigi fosse il centro della terra…
La diffusione della fotografia incide in profondità nella pittura del secondo Ottocento. Da un lato, gli artisti debbono distanziarsi ulteriormente dall’immagine “meccanica”, dall’altro ne sono suggestionati. E cito, ad esempio, sotto il profilo “filosofico”, la cattura eternante dell’istante fuggitivo – amplificato dal sorprendente effetto della macchina -, ma anche lo studio di certi tagli di luce violenti che il mezzo meccanico sembra potenziare rispetto alla visione dell’occhio. Qual è il rapporto degli scapigliati con questo strumento?
Il ricorso alla fotografia e alle lenti è determinante. Sia Faruffini che Carcano avevano già fatto ampio uso della camera lucida per semplificare effetti luminosi e prospettiva…
La camera lucida è un dispositivo ottico che veniva utilizzato dagli artisti. Il brevetto risale al 1806. Essa permette di “proiettare” l’immagine sul supporto sul quale si sta disegnando, così da vedere contemporaneamente sia la scena che la superficie del disegno, come in una doppia esposizione fotografica. Ciò risulta di grande aiuto per un’accurata resa prospettica o per la “verità” di un ritratto.
La camera lucida, in quegli anni, era particolarmente usata dai pittori del napoletano. Penso che Carcano e Faruffini (che erano compagni di corso di Cremona e di Rovani, ndr) l’abbiano mutuata dal maestro partenopeo Domenico Morelli.
Per gli scapigliati, camera lucida e fotografia erano utilissime per un confronto con il vero. In questo modo, partendo dall’oggettività del reale, si poteva lavorare con più libertà rispetto all’evocazione, alle cose sognate. Possiamo pertanto parlare di un linguaggio onirico basato su una ripresa diretta dalla realtà. Quell’onirico che, successivamente, sarebbe stato oggetto di potenziamento da parte di Previati.
Consideriamo anche l’altro versante: la funzione di divulgazione delle opere d’arte compiuta dalla fotografia applicata alla cromolitografia. Le riproduzioni dei dipinti di Cremona – e non solo – entrano nelle case piccolo-borghesi, contribuendo a delineare un gusto.
Giustamente, nelle sue premesse, lei ricorda che la Scapigliatura può essere considerata come un precedente rispetto alle avanguardie storiche. Quanto, a suo giudizio, gli scapigliati spianarono il terreno a due fenomeni italiani, questi sì riconosciuti a livello internazionale, quali il Divisionismo e, soprattutto – e parrebbe strano sottolinearlo, data la differenza dei soggetti -, il Futurismo?
Concordo con lei. Io vedo una non soluzione di continuità tra Scapigliatura e Futurismo, più forte del rapporto che può essersi instaurato tra Divisionismo e Futurismo. Dicendola con semplicità, possiamo parlare della “regola dei nonni”. E’ più facile che un ragazzo instauri un rapporto diretto, coinvolgente e significativo con i padri e le madri dei propri genitori che con mamma e papà. Le forme di contestazione assunte dal Futurismo sono quelle – seppur amplificate – che, in precedenza, hanno caratterizzato l’esperienza scapigliata. L’idea di creare i versi liberi era già in Praga e in tanti poeti scapigliati, l’introduzione di parole-suono come Bum e Bam è degli scapigliati. Ciò nasceva dalla volontà di sparare al muro della mentalità borghese.
Ci sono punti di contatto – anche non voluti, non cercati, ma frutto del clima dell’epoca – tra il movimento milanese e l’Impressionismo?
L’Impressionismo è pressoché esclusivamente limitato alla pittura, attraverso la riscoperta dell’“en plein air”. La predominanza del dato visivo è quasi assoluta. Nella Scapigliatura assistiamo invece alla proposta del dato visivo a servizio del dato psicologico.