Enguerrand Quarton, quel pittore-soldato tra sangue e colori

Sbalzato di cavallo, era precipitato al suolo: una caduta rovinosa, che si sarebbe rivelata fatale se il giovane non fosse atterrato su una soffice zolla erbosa. Il suo amico e collega di bottega Barthélemy gli aveva prestato soccorso, aiutandolo a rimontare in sella. L’incidente fu provvidenziale: i due finirono in coda allo squadrone e si salvarono dal massacro. Era il 30 giugno del 1431: una giornata che segnò una svolta nella storia della Francia e nella vita di questo dotatissimo artista fiammingo



Enguerrand Quarton, Incoronazione della Vergine
Enguerrand Quarton, Incoronazione della Vergine

Era il 30 giugno del 1431: uno scoraggiato esercito francese, ormai privo della guida di Giovanna d’Arco, sferrava l’ultimo, disperato attacco contro i nemici della Corona. Il duca René d’Anjou ordinò la carica a centinaia di cavalieri terrorizzati. Fu la catastrofe. Le truppe avversarie, arruolate dagli Inglesi e dal duca di Borgogna, ressero l’urto, costringendoli a ripiegare. Molti persero la vita, altrettanti furono fatti prigionieri. Nel frattempo, la Pulzella trovava la morte sul rogo, tradita dall’uomo per cui si era sacrificata con tanto coraggio, Carlo VII, che nulla aveva fatto per venirle in soccorso. Il pittore Enguerrand Quarton era presente al momento dell’assalto. Sbalzato di cavallo, era precipitato al suolo: una caduta rovinosa, che si sarebbe rivelata fatale se il giovane non fosse atterrato su una soffice zolla erbosa. Il suo amico e collega di bottega Barthélemy gli aveva prestato soccorso, aiutandolo a rimontare in sella. L’incidente fu provvidenziale: i due finirono in coda allo squadrone e si salvarono dal massacro. Era il 30 giugno del 1431: una giornata che segnò una svolta nella storia della Francia e nella vita di questo dotatissimo artista fiammingo. Di Enguerrand Quarton si sa ben poco: incerti sono il luogo, l’anno di nascita (si presume il 1415) e persino la grafia del cognome (Quarton, Carton, Charton, Charonton o Charretier). Della sua attività restano solo quattro opere, quattro capolavori.

A colui che per certi aspetti è stato definito “il precursore medievale di Cézanne”, Giovanni Iudica ha dedicato un libro, Il pittore e la Pulzella (Guanda, 178 pagine), in cui l’appassionata indagine attorno all’esistenza enigmatica di un genio diventa anche l’originale affresco di un’epoca. Dopo essere scampati alla disastrosa battaglia di Bulgnéville, Enguerrand e Barthélemy si recarono da Jolanda d’Aragona, moglie di Luigi II duca d’Anjou, conte di Provenza e re di Napoli, nonché madre del prode René e della scialba Marie, sposa di Carlo VII. Figlia, moglie e suocera di re, Jolanda aveva una mente acutissima e uno spirito machiavellico; discreta e riservata, influenzava in modo determinante le scelte politiche del giovane genero, incapace di prendere decisioni senza l’appoggio morale e materiale di una forte personalità. La regina fu ben lieta di accogliere i due artisti che avevano combattuto a fianco del figlio e, da donna colta e perspicace, mostrò vivo interesse per i disegni, le miniature e gli schizzi da loro esibiti. Persuaso da una lettera di presentazione della sovrana, il vescovo di Aix ospitò i due pittori nella propria città. Qui essi furono introdotti nei salotti della nobiltà e della ricca borghesia, ottenendo un discreto successo. La pace d’Arras, proclamata nel 1435 dopo un intenso lavoro diplomatico – cui aveva preso parte anche Jolanda -, sancì un rovesciamento delle alleanze: il duca di Borgogna, sino ad allora acerrimo nemico della Corona, si riconciliava con il re di Francia abbandonando gli Inglesi. Finalmente libero dalla lunga prigionia, René d’Anjou si recò ad Aix, dove riabbracciò Enguerrand e Barthélemy, i suoi soldati-pittori. In procinto di partire per Napoli – il regno era infatti minacciato da Alfonso d’Aragona -, il duca invitò i due a seguirlo: un’occasione irrinunciabile per approfondire la conoscenza dell’arte italiana. A quel tempo la capitale partenopea godeva di un altissimo prestigio intellettuale, ed era considerata un centro di valenza internazionale, capace di accogliere e trasmettere in tutta Europa le più moderne tendenze culturali ed artistiche. In Italia, Enguerrand Quarton ebbe modo di apprezzare le straordinarie opere di Beato Angelico, del Ghirlandaio, di Domenico Veneziano, Pisanello e Gentile da Fabriano, e dipinse a stretto contatto con Colantonio, maestro di Antonello da Messina.
Enguerrand Quarton, David in preghiera, miniatura
Enguerrand Quarton, David in preghiera, miniatura

Dopo quattro intensi anni, tornò ad Aix a fianco del duca, il cui regno era stato espugnato da Alfonso d’Aragona. Fu in Provenza che Enguerrand realizzò i suoi capolavori, in cui l’acuta indagine dei particolari, di stampo fiammingo, si fonde armoniosamente con la monumentalità italiana. La Pietà di Avignone, oggi conservata al Louvre, ne è esempio eloquente: è forse l’opera più intensa della pittura francese del XV secolo. Fu commissionata dal canonico Jean de Montagnac, che desiderava appendere una tavola-epitaffio sulla propria tomba. La Vergine, effigiata al centro, con la testa reclinata e le mani giunte, in preghiera, tiene sulle ginocchia il figlio morto. Grandi figure si stagliano sul compatto fondo oro, colore simbolo della gloria di Dio: a sinistra san Giovanni che, con delicatezza, toglie la corona di spine dal capo di Cristo; sul lato opposto, la Maddalena che si asciuga gli occhi umidi con un panno. Il committente, inginocchiato, è rappresentato a fianco del Battista: il volto teso e scarno è illuminato da uno sguardo appassionato, di straordinaria intensità. Montagnac prega, non osa rivolgere gli occhi al gruppo di santi, fissa il vuoto, partecipando silenziosamente alla scena. Le aureole e la cornice interna sono decorate da eleganti iscrizioni con lettere a puntini bianchi in altorilievo (“O vos omnes qui transitis per viam attendite et videte si est dolor sicut dolor meus”). Entro le corone, che recano i nomi dei santi raffigurati, sono dipinti fiori simbolici: di ortica, simbolo del dolore, per la Madonna; di issopo, segno di umiltà, per san Giovanni; di garofano, emblema dell’amore puro, per la Maddalena. In lontananza si scorgono le cupole e i lanternini di un’immaginaria chiesa del Santo Sepolcro, che pochi, all’epoca, erano riusciti a vedere dal vero. Enguerrand Quarton adotta un linguaggio essenziale, sobrio, rigoroso e controllato, lontano dal patetismo tipico della tradizione italiana, riuscendo a realizzare una perfetta sintesi di dolore e sacra ritualità. L’Incoronazione della Vergine è il gioiello del Musée de la Chartreuse, a Villeneuve-lès-Avignon. Committente dell’opera fu, anche in questo caso, l’abate Montagnac.
Si tratta della grandiosa rappresentazione dell’universo, dall’Inferno al Paradiso, eseguita con una sensibilità tutta fiamminga, non senza l’apporto della cultura figurativa meridionale. La tavola è divisa in tre sezioni orizzontali: nella fascia inferiore Quarton dipinge il mondo degli inferi, con il Purgatorio a sinistra e l’Inferno a destra, pullulante di diavoli, fiamme e peccatori. Sopra, colloca il regno dei viventi: l’Occidente simboleggiato da Roma e l’Oriente da Gerusalemme. La fascia superiore, che occupa lo spazio più ampio, è dedicata al Cielo dei santi, della Madonna e della Trinità. A Montagnac, che secondo la rappresentazione si trovava in Purgatorio, sono stati condonati diversi anni di pena: un angelo lo accoglie a braccia aperte in Cielo, sottraendolo al fuoco purificatore. Oriente e Occidente sono divisi dal mare. Roma ha le sembianze di una città provenzale: la basilica di San Pietro, Castel Sant’Angelo e il ponte sul Tevere richiamano palesemente le chiese, gli edifici e i ponti di Avignone. Di fianco a San Pietro l’artista ha inserito un’immagine ricorrente nella pittura francese: il rovo ardente che, santificato dalla presenza di Cristo, brucia senza mai ridursi in cenere. Secondo i termini del contratto, i fondali del quadro dovevano essere quelli della Terra Santa, ma Enguerrand Quarton non rispettò tale prescrizione. Una Gerusalemme immaginaria è dipinta sul lato opposto: la città turrita, dalle architetture orientaleggianti, è raccontata in maniera minuziosa e, come Roma, appare molto simile ai luoghi urbani della Francia meridionale. Al centro della Terra, una croce sottilissima – che richiama quelle realizzate da Antonello da Messina e Masaccio – allude al legame tra gli uomini e Dio.


Il cielo blu cobalto è popolato di santi, pontefici, imperatori, monaci e frati. San Pietro e san Paolo sono collocati a sinistra della Trinità, mentre sul lato opposto appare un gruppo di santi guidato da santo Stefano e san Lorenzo. Sopra e sotto, gli angeli: i serafini, dalle ali e dai volti rossi, e i cherubini, di un blu intenso. Al centro del Paradiso, una Madonna dalla pelle nivea – che indossa un sontuoso abito di damasco dorato, impreziosito da ricami vermigli, al posto della tradizionale veste bianca – viene incoronata dalla Trinità. Per la prima volta, su specifica richiesta del committente, il Padre e il Figlio hanno lo stesso volto e sono ritratti nella medesima posizione, con gesti simmetrici, segno dell’identità di sostanza divina. Le rispettive bocche sono sfiorate dalle ali dello Spirito Santo, dipinto nella consueta forma di colomba, che procede ex Patre Filioque. Quarton immagina il Padre ed il Figlio come due giovanotti aitanti, nel fiore degli anni: è Dio che assomiglia all’uomo, e non viceversa.

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