di Giacomo Cordova
Nato a Bussolengo, classe 1966, ha sempre vissuto a Villafranca di Verona ed ha avuto una formazione tecnico-commerciale, nonostante la propensione artistica. “Questo perchè, malgrado la mia indole ben chiara fin da giovane, dovetti seguire quella che per me era una strada già segnata dai sacrifici oltre che dal duro lavoro di mio padre, che già aveva avviato un’attività.” Così afferma lo scultore Ermanno Leso, che aggiunge: “Ora, dopo un lungo percorso di vita e di esperienze ed una certa autonomia, riesco finalmente a trovare gli spazi per dedicarmi a quello che da sempre è stato il mio sogno.” Membro della Società delle Belle Arti di Verona e del direttivo del “Gruppo Antonio Nardi – Amici dell’arte”. Sta frequentando la “Scuola d’Arte marmo Paolo Brenzoni”, sotto la guida del maestro Matteo Cavaioni.
Tu hai unito due passioni, quella per l’arte e quella per la vela…
Ho dedicato molti anni della mia vita a questo bellissimo sport, che avvicina l’uomo alla natura, e certamente il Lago di Garda è una un palestra unica al mondo. Come sai ed hai visto gli ho dedicato una mia scultura: “On The Wave – Prua sul Garda”, 2014, Marmo bianco lasa e bronzo.
Ad ogni modo ogni lavoro a cui un artista dedica del tempo deve essere per raccontare di se, di ciò che vede, del suo vissuto.
Cosa ne pensi della teoria secondo la quale l’arte anticamente sarebbe nata come momento magico-propiziatorio nelle Culture più arcaiche e lontane nel tempo da noi umani civilizzati del XXI Secolo?
Ora torna il mio rammarico per non aver potuto seguire una formazione accademica. Mi limito ad esprimere il mio pensiero: credo che l’arte abbia un valore assoluto e senza tempo, cambiano i modi d’espressione le tecniche ma il concetto è sempre lo stesso: avvicinare l’uomo a qualcosa di più alto, in termini di Pensiero, Amore, Bellezza e Fede; testimoniando così in maniera indelebile il suo breve passaggio e non essendo così più prigioniero del tempo e della morte.
Quali scopi un artista di oggi può porsi, oggi, rispetto ai suoi colleghi, maestri e modelli del passato? E che cosa dovrebbe lasciare in eredità ai posteri, a livello di insegnamento?
Lo scopo è quello di suscitare emozioni attraverso un racconto, visto con gli occhi di chi sa vedere al di là della semplice apparenza. L’artista dovrebbe raccontare di sé e di ciò che vede, lasciando una poesia nella quale tutti riescano a leggere la verità, a volte anche amara. Io non posso pormi a confronto dei grandi maestri del passato, nessuno lo può fare – cito: Michelangelo, Bernini, Canova, fino ad arrivare ai grandi Artisti del XX secolo – mi posso limitare con molta umiltà a liberare l’innata esigenza che mi spinge a fare lo scultore.
Perché hai scelto, tra i vari percorsi artistici che offre il mondo della creatività, proprio il così impegnativo sentiero della scultura? Vorresti fare alcuni esempi, magari parlando anche dei modelli a cui ti ispiri o ti sei ispirato?
In realtà non ho scelto io. E’ stata la scultura che ha scelto me e mi ha rapito, non posso descrivere le emozioni che essa mi regala, e alla fine, anche con molta fatica. L’ Italia è ricchissima di testimonianze dei maestri del passato e le sollecitazioni formali e semantiche sono molto numerose. Devo comunque esprimere un particolare debito di riconoscenza al mio grande maestro Sergio Capellini, che oltre ad avermi insegnato la tecnica, mi ha avvicinato alla conoscenza di scultori come Emilio Greco, Giacomo Manzù, Pericle Fazzini, solo per citarne alcuni.
Cosa ne pensi della critica d’arte nel suo aspetto teorico?
Io credo che l’arte debba essere accessibile a tutti, ma tante volte i temi e la complessità dell’opera richiedono una figura più esperta e competente per essere descritta. Non nascondo che, in parecchi casi, questa importante figura è strumentalizzata per attribuire meriti a chi invece meriti non ne ha. Quindi io consiglio sempre al fruitore finale di instaurare (anche) un rapporto diretto con l’opera..
Proviamo ad analizzare alcune tue opere. Partirei con un modello classico: “Afrodite”. Afrodite è la famosa divinità dell’amore, della bellezza e della fertilità. Ella gode di antichissime origini, probabilmente orientali; conosciuta e adorata in tutto il mondo greco fino e durante il periodo romano, sotto il quale adottò il nome di Venus “Venere”, fu, a partire circa dal Tardo Impero, una divinità ripudiata o assorbita per poi essere ripresa sotto altri nomi e attributi durante il Medioevo. Dopo molti secoli, il suo modello iconografico fu riportato alla luce durante il Rinascimento da moltissimi artisti.
Hai detto bene. “Afrodite” è uno dei miei lavori ispirato ai classici, e per la precisione mi riferisco alla Venere del Botticelli. Affascinato da questo grande dipinto ho voluto a mio modo reinterpretare la nascita di Afrodite, misurandomi con i panneggi della veste, che in modo simbolico rappresentano la continuazione delle onde del mare, così come la patinatura verde smeraldo e i riflessi dorati sono attribuiti alla sua Divinità. Il movimento continua elegante e sinuoso verso l’alto, esibendo la pura bellezza fino ai capelli mossi dal vento di Zefiro.
Passerei poi al tema biblico di Adamo ed Eva: “The blood of Eden”, letteralmente “Il sangue dell’Eden”.
Questo è un dei miei ultimi lavori. Il tema è molto sentito e rappresenta la mia crescita anche a livello tecnico ed espressivo. A questo virtuosismo tecnico è legato uno dei concetti più semplici: la nascita. E’ così che ho voluto rappresentare l’unione della donna e dell’uomo: complici nel sangue dell’Eden compongono quell’armonia e quel pathos che nella loro fusione generano la vita in un incantato equilibrio.
Secondo il dizionario Treccani, l’estasi rappresenterebbe uno “stato di isolamento e d’innalzamento mentale dell’individuo assorbito in un’idea unica o in un’emozione particolare; più propriamente, nella mistica, il rapimento dell’anima in diretta comunicazione con il soprannaturale. Come esperienza mistico-religiosa, l’estasi si ritrova in tutti gli stadi culturali; nelle società tribali può avere parte nelle cerimonie d’iniziazione e viene per lo più provocata con mezzi fisici e meccanici.”
Si direbbe che nell’ Estasi ci sia dato accesso ad un mondo altrettanto lontano dalla realtà quanto quello del sogno. Citando Salvador Dalì, ecco che ritorna la mia necessità di raccontare l’Attimo: il momento in cui non siamo più materia ma vibrante emozione; che ci conduce assorti e non più consapevoli in un mondo che lascia spazio solo all’essere, all’io più intimo. In questo viaggio il corpo si eleva, abbandonato e allo stesso tempo complice, rimane sospeso nell’aria – ecco perchè la scelta del Plexiglas trasparente. Il Bronzo, materiale per natura pesante, sembra non avere più consistenza. La scelta della laccatura nera è dovuta al fatto che spesso complice dell’Estasi è la notte, il buio e l’oblio.
Ed ecco l’opera“Il bacio”. Il bacio è un tòpos formidabile nella Storia dell’Arte…
“Il Bacio” è l’espressione dell’amore eterno e universale. Si tratta di quattro fusioni separate e poi unite in questo momento di intimo amore. Non si tratta di un bacio come piacere carnale ma è sulla guancia ed appena accennato, come se fosse più il gesto e lo sfioro dei visi a conferirne l’intimità e l’atmosfera di un amore vero. I due volti sono volutamente asessuati di modo che possa essere attribuito sia ad una amore materno che a quello di due innamorati dello stesso sesso. Sì, ho di nuovo profanato il bronzo laccandolo con vernice, questa volta con il Bianco, ma questo è voluto perché il bianco è simbolicamente il colore più incolore. Il bronzo invece conferisce all’opera la sua prerogativa intrinseca nella materia: l’eternità”.