di Giorgio Orlandi
La formazione artistica di Ermete Lancini risale agli inizi degli anni Quaranta del Novecento, nel quartiere di San Giovanni. La piccola Montmartre bresciana riunisce, nel raggio di poche centinaia di metri, un nutrito numero di pittori quali Cavellini, i Ghelfi, Botticini, Ragni, Cattaneo, conosciuti come l’avanguardia di corso Mameli. Questa casuale contiguità degli atelier favorisce il ricorrente confronto su idee e problemi tecnici. Il gruppo si rivela unito dalla curiosità verso ciò che avviene al di là dei confini provinciali, nelle capitali. Lancini non nasce in Accademia; le suggestioni da cui parte per la propria elaborazione artistica derivano da Venezia, città nella quale ha estese frequentazioni intellettuali, iniziate negli anni universitari, quando era studente di lingue a Ca’ Foscari, e dopo alcune esposizioni in prestigiose gallerie della laguna. Nella stagione del Dopoguerra, in genere, gli artisti inclinati alla ricerca guardano alla scuola di Parigi ed alla lezione cubista che viene da Picasso. Lancini predilige la forza del linguaggio espressionista, caratterizzato da un cromatismo vivace, dalla resa delle ampie pennellate stratificate che, nell’impianto compositivo, tendono tuttavia ad abbandonare il disegno.
Estremamente interessante dal punto di vista tecnico, Lancini è un inesausto sperimentatore: la personale cifra espressiva lo porterà, nell’ultimo decennio della sua breve ma intensa vita (muore a soli quarantotto anni), verso il polimaterico (collage), stabilendo con i materiali un rapporto finalizzato ad evidenziarne la diversa qualità visiva, marcando lo spazio con la successione delle pagine tagliate, sovrapposte, incollate e coperte di segni. Il restauro I dipinti che presentiamo in fotografia – a documentazione dello stato delle opere, prima e dopo l’intervento di restauro conservativo – appartengono alla tipologia dei quadri che possono essere riferiti agli anni Quaranta e Cinquanta. Il primo è una testimonianza importante nell’ambito della produzione dell’autore: una tempera grassa, intitolata Io al mare, un autoritratto del 1946. Eseguito su un cartone di contenute dimensioni (48×60 cm), venne esposto nel 1946 alla seconda mostra dell’Associazione Arte e Cultura (la futura Aab) e vinse il “Premio Ricostruzione”. L’opera giungeva in laboratorio lamentando in varie aree incipienti sollevamenti della pellicola pittorica, causati da una preparazione disomogenea ed inadeguata del cartone di supporto. Il colore appariva generalmente “sordo” e sbiancato. In questo caso il restauro si è basato principalmente sul consolidamento della pellicola. I sollevamenti del colore sono stati fatti riaderire al supporto con l’ausilio di una resina termoplastica sciolta in white spirit a bassa percentuale (Plexisol 10%) stesa a caldo in tre passaggi sulla superficie dipinta. Dopo l’evaporazione del solvente ed a pellicola asciutta, l’intervento di riadesione è stato effettuato mediante un piccolo ferro da stiro da modellismo e l’interposizione di un foglio di Melinex, fino a raggiungere l’esito desiderato. Totalmente diversa la metodologia d’intervento sul secondo quadro.
L’opera (Val Sabbia, 50×70 cm), eseguita a tecnica mista su cartone verso la fine degli anni Cinquanta, presentava uno stato di conservazione fortemente compromesso, avendo subito in passato un singolare incidente. Il centro del dipinto palesava una grossa macchia di colletta, dello spessore di alcuni millimetri, caduta accidentalmente. Trattandosi di una tecnica mista (pastelli, tempera e colori ad olio), sono state necessarie attenzioni particolari, proprio per la diversa natura chimica dei materiali che si sovrapponevano. Inoltre, lo spessore della colla, concentrato, aveva creato un’eccessiva tensione superficiale “imbarcando” il cartone di supporto, con il conseguente sollevamento della pellicola pittorica nelle zone adiacenti. L’intervento, realizzato in due fasi ben distinte, è stato condotto principalmente attraverso l’asportazione della colletta e il successivo consolidamento delle parti sollevate. Si è dato inizio alle operazioni cercando di assottigliare il più possibile lo spessore della colletta polimerizzata, impiegando un solvente idoneo a base di chetoni disperso in un supportante a base di stearato di ammonio. La pappina riusciva a gonfiare parzialmente la colla, che veniva rimossa con l’aiuto del bisturi. Per quanto concerne le parti ad olio sovrastate dalla colla, si è proceduto con una pulitura a base di enzimi, che hanno permesso di ottenere un soddisfacente risultato. Il restauro si è concluso con il consolidamento generale delle parti pittoriche mediante una resina termoplastica stesa a caldo per nebulizzazione e con l’ausilio, dov’è stato possibile, di un termocauterio. La planarità del cartone è stata restituita dopo un intervento di deacidificazione del supporto eseguita con tamponature a base di idrossido di calcio e successivo mantenimento sotto peso tra fogli di tessuto-non tessuto e carte assorbenti, fino ad asciugatura totale.
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[PDF] Ermete Lancini
STILE Brescia 2007