Fantastico, incredibile, meraviglioso! Inganni visivi e fantasmi d'arte tra Quattrocento e Novecento

Le manipolazioni prospettiche e gli oggetti mirabili non erano soltanto frutto di un gioco che aveva come fine la meraviglia. Il mutamento del punto di vista assecondava lo sviluppo di un pensiero non lineare, specchio della complessità del mondo da esplorare. Gabriele Mazzotta è il maggiore collezionista delle visioni del fantastico e del meraviglioso. Stile esamina con lui una straordinaria raccolta che parte dalle anamorfosi per arrivare al resto di un “unicorno”



Nelle foto: anamorfosi con proiezione cilindrica, Fondazione Mazzotta
Anamorfosi con proiezione cilindrica, Fondazione Mazzotta

intervista di Alessandra Zanchi
Gabriele Mazzotta, presidente della Fondazione Antonio Mazzotta, è altresì noto per la sua prestigiosa collezione di grafica e disegni che costituisce il fondo permanente della Fondazione, la cui sede espositiva a Milano si inaugurava nel 1995 proprio con una mostra delle sue opere dedicata al “Disegno del nostro secolo, da Klimt a Wols”. Ma la raccolta è molto più vasta e soprattutto comprende esempi assolutamente rari, se non unici, e alquanto particolari come il corpus vastissimo di opere su carta e libri che è stato oggetto di una mostra presso la Fondazione e a Madrid. Il titolo è significativo: “Visioni del Fantastico e del Meraviglioso. Prima dei Surrealisti”.Ecco le diversificate espressioni fantastiche e meravigliose, al limite tra arte, scienza e utopia, realizzate dal Quattrocento ai primi del Novecento. 

Mazzotta, esaminiamo le radici di questa singolare passione che l’ha portata a radunare oltre trecento opere: dal rarissimo incunabolo della “Divina Commedia”, impresso a Brescia nel 1487 con sessantotto xilografie a colori a piena pagina, fino alla straordinaria serie dei “Misteri” del 1914-15 di Alberto Martini, tirata solo in quattro copie, di cui solo la sua è completa. 
 
La mostra fu il frutto di una appassionata mania collezionistica che definirei quasi da “rigattiere” . Il vero collezionista vuole continuamente perfezionare le parti della propria raccolta perciò sogna “visioni” e “fantastica” di trovare l’oggetto del desiderio e, soprattutto, è colto da “meraviglia” allorché lo scopre, magari in un angolo polveroso di una stanza in qualche città sperduta. Lo scopre e ne entra in possesso, a volte dopo lunghe trattative. Ecco spiegato il titolo della mostra e lo spirito della collezione. Il corposo e dettagliato catalogo, prezioso strumento scientifico di schedatura delle opere, aiuta ad orientarsi in questo “mare magnum” attraverso ventidue parti che oscillano tra l’illusione ottica e il mostruoso, documentati attraverso volumi antichi (incunaboli e cinquecentine), disegni, acquerlli, tempere, stampe. Ci sono le note incisioni di Dürer, Brugel il vecchio e Piranesi, e poi di Goya, Redon e Boccioni. Opere rarissime di Klinger e Kubin e molte dei romantici: da Blake a Delacroix. Ma soprattutto ci sono preziosità come i libri di incisione detti Emblemata (disegni allegorici e relativo motto esplicativo, al suo parossismo nel Seicento ma con esemplari dal Cinquecento all’Ottocento) e ancora Vedute ottiche, Anamorfosi e Diorami, Atlanti celesti, documenti di Fisionomica, immagini del Museo di Aldrovandi e delle Wunderkammer alias “camera delle meraviglie”. Tutto un mondo che solo alla fine dell’Ottocento trova la sua collocazione psicologica nell’inconscio attraverso l’analisi dei sogni compiuta da Freud, a cui attingono i Surrealisti. Breton ed Ernst (genio indiscusso del movimento) partono da quelle premesse. Basta dire che le Anamorfosi derivano per l’appunto dalla collezione Breton.

Ci parli allora di queste curiose e deformate raffigurazioni. Cosa sono? E come nascono? 
L’Anamorfosi costituisce una sorta di depravazione della prospettiva che ne inverte i principi dilatando le immagini fuori da se stesse invece di ridurle al punto limite del visibile. Ma la distruzione prelude al ripristino attraverso coni o parallelepipedi dalla superficie riflettente. Nate dai primi studi rinascimentali sull’ottica, sono considerate prodigi dell’arte da tenere segreti. Per esempio i ritrattatti anamorfici di Papi sono oggetti gelosamente custoditi perché si pensa dotati di caratteristiche occulte. Nel Settecento invece divengono alla portata delle masse come divertimento ludico ed ecco allora comparire figure popolari come il Bevitore di vino, il Mercante di pesce, l’Arrotino; e verranno riscoperte ancora alla fine del Novecento perché alla base della tecnica cinemascope.
Quali altre stranezze e mostruosità sono state partorite dalla fantasia umana in questi quattro secoli? Inoltre, si può considerare il concetto di “fantastico” come assoluto oppure suscettibile al variare delle culture nel tempo?
 Certamente nel corso della storia il “fantastico” ha avuto varie declinazioni ed espressioni. Il senso e i confini sono spesso piuttosto vaghi da definire tra contaminazioni con la realtà e fantasia pura, favoloso, misterioso e soprannaturale. Alcune formule iconografiche sono tuttavia resistite nel tempo come la “danza macabra” (con l’immagine costante dello scheletro) che allude al senso della morte livellatrice, che permane, naturalmente, in ogni era. Comunque il senso originario del “fantastico” fa capo al fascino del mito antico e dell’esotico che, sulla scorta dei primi grandi viaggi ed esplorazioni, si diffonde nel Cinquecento. Questo è il momento della vera “età dell’oro” della “meraviglia” intesa come anelito a tutto ciò che esuli dall’ordine e dalla norma ma anche verso la conoscenza esaustiva della natura. Da qui la nascita delle Wunderkammern che si distinguevano dalle collezioni dei musei per la raccolta di curiosità e stranezze tanto naturali, quanto artificiali. Il desiderio era quello di riunire una buona campionatura del mondo; desiderio che fino all’illuminismo resisterà in perfetto equilibrio tra gusto della rarità e apprezzamento estetico. Lo si vede ben documentato, per fare qualche esempio, nelle riproduzioni del Museo Cospiano di Lorenzo Legati, che risale al 1677, oppure nella rara incisione di Blake “La cruna a l’ago” del 1793 e persino in un diorama ottico del Settecento. Serpenti, pesci, animali stravaganti convivono con oggetti di ogni genere e provenienza, statue antiche, esseri umani dal nano al gigante.

Si può parlare allora di un’estetica del brutto? Sì. In effetti il senso del mostruoso nasce in opposizione e alternativa al culto del bello classico. Corrado Licostene nel 1557 descrive una cronaca di prodigi e disastri naturali, Olao Magno nel 1565 illustra invece “mirabili cose”  che vanno dai mostri marini ai draghi, fino alle donne “malefiche incantatrici”; mentre Fortunio Licetus, nel Seicento, descrive veri e propri mostri umani e animali forniti di più arti e teste variamente composti; e ancora Arosio illustra una campionatura di “Mascheroni” che si ritrovano in molte decorazioni pittoriche e architettoniche di fine Cinquecento .
In conclusione, tra tante stranezze e mostruosità ce ne può indicare una particolare?  Nell’ambito degli oggetti, non quindi delle opere o dei libri, direi che un esempio di assoluta curiosità e rarità è il dente incisivo sinistro del maschio di Narvalo, mammifero marino che può raggiungere i cinque metri di lunghezza e che vive esclusivamente nei mari freddi della regione artica. Molti naturalisti lo ritenevano, ancora nel Settecento, il corno del mitico Unicorno. Lungo oltre due metri è un oggetto che nel Settecento non poteva mai mancare in una Wunderkammern che si rispetti.

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Redazione
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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa