di Andrea Baboni
[“M]ancante di denari e non potendo prendere un animale, cavalletti e studio, pensai che potevo studiare, osservando a mio piacere per le strade, e allora empivo e tuttora empio di segni i miei piccoli album”. Così Fattori scrive nelle “Memorie autobiografiche” e da tale atteggiamento nascono, mezzo primo di reazione all’Accademia, le centinaia e centinaia di fogli disegnati, di frequente sia al recto che al verso, ripresi più e più volte in tavolette o vaste tele ove il genio del Maestro reinterpreta in sempre nuovi contesti temi spesso a lui già noti; spunti e soggetti che toccano tutto l’ampio arco tematico dell’Artista, l’intera sua produzione, in un costante rapporto tra segno e colore. E’ ad iniziare dal segno che le movenze di una figura o l’espressione di un volto, le zampe di un cavallo o la fissità di un ciuco, le pieghe di un abito o la luce di un muretto, colti sul vero per assoluta intensità espressiva, pur ricollegandosi qua e là a valori di classica accademia, risultano filtrati da una luce nuova e da un tratto inconfondibile, che li rende in tutto e per tutto espressioni autonome, ove sintesi e vigore si alternano a grazia e dolcezza. Figure compiute ed accurate si avvicendano a schizzi ed appunti con cui l’Artista coglie l’attimo fuggente di un gesto, rende il bagliore di una luce, blocca il volume di una forma, od anche schizza la scena per una vasta tela di battaglia, nella più ampia varietà e verità di temi, asciugati da retorica in un senso panteistico del reale. Un linguaggio che presenta una sua precisa caratterizzazione nel rapporto con i dipinti, pur se generato dal continuo dialogo tra espressioni in tutto omologhe e che ci consegna un artista ineguagliabile anche nel disegno, vera spina dorsale dell’intero suo percorso creativo, con cui egli indaga la realtà quotidiana. Oltre ai 217 disegni del Museo Civico di Livorno, il più ricco ed organico corpus a noi pervenuto, di recente catalogato (2002, Comune di Livorno, “L’Ottocento: I disegni di Giovanni Fattori”, a cura di A. Baboni) ed ai tanti fogli qua e là già pubblicati, talvolta mi accade, nella costante ricerca sull’Artista, di imbattermi in disegni dalla particolare suggestione anche perché riferibili a dipinti noti. L’acquerello e gli altri 11 fogli disegnati, in parte provenienti dalla raccolta Finazzi di Bergamo e qui presentati, riassumono in ampio arco temporale molti dei temi più tipici di un Maestro che sembra non aver uguali nell’arte dell’Ottocento tutto, sia per complessità ed autonomia di forme espressive, sia per rigore stilistico ed ampiezza di respiro tematico. Alcuni di questi suggestivi inediti (“Donna seduta”, “Scorcio di paese”, “Suora”), databili intorno al 1859, rivestono particolare interesse in quanto riferibili all’iniziare dell’esperienza “macchiaiola”.
Il segno, in presa diretta, liberato dagli schemi accademici, non presenta ancora piena caratterizzazione pur se ricco di potenzialità in evoluzione nella nuova forma espressiva dell’appunto sul vero. “Porticciola a Castel di Poggio”, disegno ripreso molti anni dopo, naturalmente in controparte, nella celebre incisione, oltre al puro valore estetico, assume straordinario significato di documento, attestando come le mirabili acqueforti dell’Artista, uno dei suoi momenti espressivi più alti, generalmente apprezzate per la loro freschezza, in realtà spesso fossero profondamente meditate da Fattori, quali soggetti rivissuti nei riferimenti a precedenti disegni o dipinti. Intorno al 1860 il segno evolve rapidamente con caratterizzazione stilistica inconfondibile, composto per tratti netti e conchiusi, come a bloccare plasticamente le forme in un accentuarsi del rigore formale. “Ritratto di famiglia”, arricchisce quel mirabile gruppo di disegni di figura tra cui i tre fogli del Museo Fattori di Livorno, con una composizione di finissima evidenza plastica, mentre “Pecore. Studio di due pecore”, databile sempre agli anni 1860-1861, soggetto di cui si conosce un solo dipinto ma nessun disegno, si caratterizza per un segno già forte e sintetico nel plasmare le forme. “Studio per ‘L’assalto alla Madonna della Scoperta'”, databile agli anni 1860-1865, costituisce uno dei più significativi disegni utilizzati per la vasta tela datata 1860, conservata presso il Museo Civico di Livorno, probabilmente la più bella scena di battaglia dipinta nell’Ottocento. In “Traino di artiglieria in discesa”, composizione ripresa in anni seguenti nella litografia omonima, databile al 1884, si esprime la straordinaria capacità di Fattori di sperimentare nuove tecniche. Alla trama di arzigogoli a matita con cui è strutturata la composizione, si sovrappongono suggestivi tocchi con pennello ad acquerello grigio che rialzano paesaggio e figure in una sorta di tracciato segnico informale e figurativo ad un tempo; alcune figure in lontananza sono riprese ad inchiostro bruno. Freschissima impressione all’acquerello, è “Bosco nel Mugello”, ove l’Artista con non più di due o tre colori mescolati compone una vasta gamma di accordi tonali, anticipazione di certe ricerche paesaggistiche di Morandi. “Soldato a cavallo” e “Soldato a cavallo, da tergo” esprimono, nella matita e nell’inchiostro, le più tipiche e straordinarie qualità di concisione e vigore plastico da Fattori espresse nel disegno, così come la pagina di taccuino “Sosta di contadino e mulo”, sintesi estrema ove la matita sembra guidata in tratto continuo che ritaglia le forme come asciugate nel loro profilo essenziale.