Francesco Maffei, La Visitazione

Ritrovato un capolavoro del pittore veneto Francesco Maffei, spiritoso rivisitatore dei modi del Tintoretto e dei valori coloristici di Paolo Caliari, al servizio degli ideali della Controriforma

La ritrovata “Visitazione” di Francesco Maffei
La ritrovata “Visitazione” di Francesco Maffei

I temi e la poetica barocca riprendono l’idea dell’arte che è, che deve essere, mimesi, non la copia della realtà stessa. Lo “scopo” artistico non risiede, non può annullarsi inesorabilmente nello “sforzo” sterile di meglio imitare l’oggetto o il soggetto che si dipinge, ma deve rappresentarlo sul boccascena della fantasia, della interpretazione. Deve, la didattica dell’arte, insegnare emozioni, impressionare, essere inattesa quanto persuasiva. In ciò risiede l’originalità spiritata (solo recentemente rivendicata) del pittore Francesco Maffei, nato a Vicenza intorno al 1600, e morto a Padova nel 1660. L’artista, benché giovanissimo sia stato presso la bottega del manierista Alessandro Maganza, plasma il suo “fare” alla scuola veneta, ricollegandosi con spiritosa interpretazione ai modi del Tintoretto e ai valori coloristici del Veronese. I suoi temi sono prettamente evangelici: l’“Assunta”, la “Fuga in Egitto”, la “Visitazione” (Oratorio delle Zitelle a Vicenza), tema quest’ultimo ripreso anche nell’opera qui presentata, una tela ad olio che sfoggia squillanti contrasti coloristici insieme a brioso ordito pittorico. L’artista vicentino lavorò dapprima a Venezia, quindi a Vicenza sua città natale e, raggiunta la maturità, anche a Brescia dove realizzò il quadro qui analizzato, databile tra gli anni 1645/48. Il dipinto, di forma ellissoidale (132×207 cm), decorava il volto di una chiesetta privata sita nei pressi di Toscolano, sul lago di Garda, all’interno di un palazzo signorile.

“La Visitazione” è rimasta collocata nel luogo della primigenia committenza per più di tre secoli e mezzo, senza mai traslocare. La composizione manifesta a pieno l’idea che l’arte deve essere il prodotto dell’immaginazione, perché senza l’immaginazione non c’è salvezza. Il Maffei ribadisce con evidente intento che credere e immaginare la salvezza significa stare al di là del quotidiano. A questo aspirava la filosofia controriformista e barocca, a ciò mirava quell’era “disperatamente in crisi”. Questo cerca, realizza e asseconda Francesco, dimostrando di avere compreso la sapiente lezione del passato e di aver ben interpretato il suo presente, un momento storico, quello contemporaneo all’esistenza del Maffei, che, ad ogni costo, volle superare il “limite”. Il pittore ben sapeva che “senza l’immaginazione tutto è piccolo, chiuso, limitato (Giulio Carlo Argan). Francesco era consapevole del valore infinito della fantasia, della creatività, e si prodigò nel realizzare appieno quelle complesse inscenature che spesso nemmeno rifuggono da accenti grotteschi. Il Maffei coniugò nella sua arte la concezione barocca che fortemente volle fondere elementi reali e situazioni fantasiose, improvvise ma possibili. Nulla a che vedere con lo stanco e retorico repertorio di certo Manierismo. La sua pittura reagisce alla grave crisi in atto, già denunciata dal Vasari allorquando pubblica le sue “Vite”: è nervosa, veloce, geniale. L’operare suo fantasioso non è tale in sé, ma è per mezzo del soggetto che si avvicina alla realtà, ne compie l’esperienza e, quindi, può vedere al di là della cosa in sé, la mette, questa realtà-irreale, in relazione col tutto, dentro ad un tempo e ad uno spazio più vasti, universali. Ecco quindi che l’artista riesce ad accompagnare alla virtuosistica evidenza realistica della sua pittura, la figurazione immaginifica che trascende, interpreta, trasogna e dà “altro”.


I cieli s’aprono alla visione del santo, ma qui, è evidente, viene chiarito con acutezza il tipo di tessuto usato; là, l’architettura, anche se solo rappresentata, rivela l’ambito, dichiara l’habitat. E la luce che batte, che plasma ogni cosa e fa vedere, rivela gli arcani segreti di un codice antico, oggi ormai perduto. Nell’opera del pittore di chiara formazione veneta poco si vede la mera “esaltazione dei moti fisici e spirituali oltre ogni norma di classica contenutezza” che la critica neoclassica accusa nella produzione secentesca. Anche in questa riuscitissima opera non si scorgono, come nelle altre due conservate nella Basilica Minore di Verolanuova: “L’ultima cena”, posta nel transetto a sinistra della chiesa, e “L’angelo custode”, “l’ampollosità e il desiderio di meravigliare con spettacolose, illusive scenografie e invenzioni stravaganti (E. Carli – G.A. Dell’Acqua). Lì non si legge la vuota enfasi del “barocchismo” quando cerca, con troppa insistenza, il movimento che diventa concitazione, quando vuole la contorsione delle forme e dei sentimenti, quando spalanca visioni celesti popolate di svolazzanti personaggi simili più a comparse che a presenze, bensì si possono godere gli esiti di un’alta, colta e coinvolgente poesia. Nella “Visitazione” del Maffei, ora conservata nella Bassa bresciana, è assolto a pieno il grande compito imposto agli artisti dal cattolicesimo trionfante della Controriforma, che volle interpretare “quel sentimento di sicurezza e di gerarchico dominio della Chiesa, quello smodato desiderio di ‘gloria et honore’, e quindi d’azione” che fu vera “vittoria tanto della forza umana, come della grazia divina” (Briganti).

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