di Maurizio Bernardelli Curuz
Il colloquio tenutosi tra Bernardelli Curuz ed Enrico Crispolti, curatore della mostra “Futurismo 1909-1944”, in occasione della stessa
Crispolti, partiamo da una definizione di Futurismo, un fenomeno di rifondazione globale del mondo. Nessuna avanguardia ha mai esteso i suoi tentacoli e i suoi interessi a tanti settori della vita, con l’intento di ridisegnare l’universo.
Il Futurismo è una vicenda artistica che dura più di trent’anni, trent’anni che non si configurano nei termini della fissità. Il movimento presenta forti elementi evolutivi, fa registrare mutamenti di atteggiamento che dimostrano una profonda vitalità. Il Futurismo parte cercando di immaginare il futuro e, nel momento in cui vede che la realtà è già incarnazione di quanto aveva postulato, occupa profondamente il presente. Il problema che si pone ai futuristi, a quel punto, non è più quello di proiezione dell’immagine in un tempo posteriore, ma il cambiamento progettuale del presente. I futuristi non intendono subire il presente, ma contribuire attivamente al cambiamento.
Attraverso la mostra da lei curata, per la prima volta è possibile seguire l’evoluzione del movimento dalla grande utopia avveniristica degli anni Dieci alla fase propositivamente più matura. Il viaggio copre un arco temporale compreso tra il 1909 e il 1944, anno della morte di Marinetti. Ora vorremmo chiederle perché generalmente l’analisi si chiuda entro la prima fase, quella che termina attorno al 1916 con la morte di Boccioni.
E’ un vecchio pregiudizio storiografico che aveva le sue ragioni. Si pensava che il Futurismo fosse solo la pittura, e che la pittura futurista fosse solo Boccioni. In realtà la stessa pittura futurista s’evolve, si arricchisce. Nel 1915-16 emerge una nuova fase della cui inequivocabile novità si è reso conto lo stesso Boccioni. In un testo rimasto inedito, poi pubblicato da Zeno Birolli, Boccioni racconta di essere stato interessato dalle sintesi proposte dai quadri di Balla. E’ a questo punto che inizia una storia nuova… Il Futurismo non è soltanto pittura. I futuristi cercano di intervenire, modificando tutti gli aspetti del vissuto quotidiano, secondo la formula della ricostruzione futurista dell’universo; ogni aspetto dell’esistenza viene cambiato dalla proposta futurista, dai comportamenti ai vestiti, solo per fare un paio di esempi.
Ora torniamo alle origini. In qualche modo si può affermare che il Futurismo, soprattutto in pittura, sia nato dall’accelerazione dell’Impressionismo e in particolare del Divisionismo, che fu l’ulteriore passo di modernizzazione della pittura nuova di matrice ottocentesca.
Il passaggio cruciale è Balla. Balla era un giovane divisionista, alla fine dell’Ottocento. Agli inizi del Novecento fu a Parigi, anche se non risulta chiaro cosa sia riuscito a vedere. E’ certo invece il fatto che al ritorno egli ha approfondito il suo modo di dipingere secondo il bagaglio del Divisionismo. L’artista non apparteneva a quella linea italiana che, partendo da assonanze divisioniste, perveniva a risultati simbolisti. Era piuttosto un divisionista che puntava alla realizzazione di quadri di tipo naturalistico. La novità di Balla – maturata un po’ per istinto, un po’ per l’influsso esercitato dai pointilliste di Parigi (non tanto Signac o Seurat, piuttosto Cross) – ha portato nella pittura divisionista italiana il confronto con la luce. Fondamentalmente, il Divisionismo italiano non apparteneva infatti al filone del Postimpressionismo; si disinteressava del colore solare che è invece così presente nella pittura francese. Ora Balla “importa il sole”, la luce intesa come entità dinamica. Severini e Boccioni partono da questa “scoperta”. Boccioni la maturerà a suo modo, recuperando anche l’aspetto simbolista del Divisionismo italiano.
Per capire dove avvenga il passaggio tra Divisionismo e Futurismo basta guardare uno straordinario quadro in mostra.
Sì, “La bambina che corre sul balcone”, la celebre opera di Balla.
Quali sono gli elementi distintivi dei diversi periodi?
Io ho cercato, da tempo, di individuare periodi che presentassero forti elementi di unità, senza per questo negare che ogni tranche temporale è suscettibile d’ulteriori suddivisioni. Ma mi sembra importante il fatto di far capire che, nell’estensione storica di tre decenni, il Futurismo vive in se stesso un’evoluzione, favorita dallo sviluppo dei propri presupposti e dal confronto con altre avanguardie europee. Non siamo di fronte ad una realtà chiusa e contrassegnata dall’incomunicabilità. Lo sguardo lanciato dai futuristi ha certamente un respiro europeo. Così, se il colloquio del Futurismo degli esordi avviene con il Cubismo analitico e poi con il Cubismo sintetico (che comporta una sempre maggior presenza di soluzioni astratte nell’ambito della scelta iconografica, ndr), via via s’aprono altri canali di confronto, tra i quali quelli con il Suprematismo, con il Costruttivismo, con il Neoplasticismo olandese… Ho cercato di marcare bene queste distinzioni.
Ora veniamo alle macrofasi. Il Futurismo è caratterizzato da un primo periodo analitico, compreso tra il 1910-11 ed il 1913-14. La ricerca della rappresentazione della simultaneità e della compenetrazione delle situazioni sono al centro di questo periodo, che intende dimostrare la complessità di quella grande macchina che è la metropoli.
Nel periodo analitico degli esordi, possiamo comunque evidenziare una primissima fase autarchica – nel corso della quale si utilizzano elementi simbolistici – e un secondo momento in cui si utilizzano elementi del Cubismo. I primissimi anni della fase sintetica (1914-15, ndr) sono i più astratti.
Ma presto l’impasse che si era creato in Boccioni nella conciliazione tra la tendenza all’astrazione plastica e il contatto con la realtà – i futuristi vogliono sempre introdurre nelle loro opere un elemento narrativo, o comunque si riferiscono a un fatto reale – e l’inserimento di elementi figurativi, viene superato nell’ultima fase della ricerca di Boccioni.
Balla, dal canto suo, anziché porsi il problema di rappresentazione della simultaneità, riesce ad inventare forme che, per analogia, diano il senso della realtà, attraverso la realizzazione astratta. Non per nulla Balla e Depero, firmando il Manifesto del 1915, si dichiarano “astrattisti futuristi”. Verso la fine degli anni Dieci, nel movimento si inseriscono modulazioni più narrative. Pensiamo all’arte meccanica, che nasce sui presupposti di un linguaggio il quale, già attorno al 1922-23-24, tende a dare una struttura alle forme analogiche, una struttura plastica solida, geometrica e stereometrica. Per arte meccanica non dobbiamo tanto pensare alla macchina come oggetto di rappresentazione, ma al “meccanismo” come logica di strutturazione formale, come un modello di organizzazione strutturale. Tutto ciò prosegue per tutti gli anni Venti, al termine dei quali s’affaccia una profonda suggestione nei confronti dell’indefinito e del mistero. La realtà inizia ad essere osservata da punti di vista macroscopicamente rialzati: nascono le visioni dall’aeroplano e si sviluppa così tutta la tematica dell’aeropittura.
Anche in questa categoria possiamo evidenziare, a livello molto schematico, due filoni: uno immagina lo sguardo alto e cosmico (Prampolini, Fillia, Oriani), l’altro si indirizza maggiormente alla rappresentazione delle macchine volanti.
E’ a questo punto che possiamo evidenziare l’avvicinamento a certe atmosfere surrealiste.
Soprattutto la visione cosmica di Prampolini ha momenti molto vicini al Surrealismo. Per la verità, i futuristi non amarono troppo il Surrealismo, per gli aspetti “psicologistici” che stavano al centro della poetica del movimento. I futuristi avevano una radice di derivazione positivista. Per loro, ciò che contava era lo scontro con la materia e la realtà, lo scontro della materia e della realtà. Anche quando, in ambito futurista, appare un momento spiritualistico, esso risulta profondamente ancorato alla materia.
Il Futurismo russo è germinato da quello italiano. Cosa distingue maggiormente le due scuole?
Sì, il Futurismo russo nasce da quello italiano, anche se poi finisce per essere molto autonomo. Le differenze? Evidenzierei appunto l’aspetto di materialità che contrassegna il fenomeno italiano contro la matrice autenticamente spiritualista di quello russo.
La morte di Marinetti è l’ultima porta futurista. In parte il fenomeno si esaurisce per motivi storici, in parte per la mancanza dell’ideologo.
Quale fu realmente l’importanza di Marinetti nella delineazione delle poetiche?
Il Futurismo è stato un movimento organizzato, non un movimento che si recupera a livello di storiografia, tirando le fila di autori che risultano solo tematicamente e stilisticamente vicini. Era quindi un vero movimento, con un leader forte, con una direzione che si faceva sentire molto intensamente specie quand’era collocata a Milano – minore, ma non sottovalutabile, fu la sua azione quando si trasferì a Roma -. Marinetti era il controllore dell’ideologia e anche il connettitore. Tendeva a raccordare i manifesti dei vari campi e dare un’impostazione pubblicistica ad ogni azione. Non possiamo dimenticare che la connessione dei diversi campi che furono oggetto dell’interesse dei futuristi è molto importante. Il Futurismo, come abbiamo detto, voleva modificare tutti gli aspetti della realtà.
Si può pensare a Marinetti come a un cardinale del vecchio Sant’Uffizio, pronto a censurare opere o comportamenti non in linea con l’ortodossia?
No. Marinetti semmai correggeva in funzione di questa funzionalità ideologica.
Il Futurismo muore, come abbiamo detto, con la fine della Seconda guerra mondiale. Non siamo più di fronte a un evento bellico inteso come igiene del mondo, come cancellazione della tavola del passato sulla quale costruire, in palinsesto, il mondo nuovo. La seconda guerra mondiale, la drammatica fine del Ventennio fascista, annullano le utopie futuriste, ne rendono datato il linguaggio…
Ecco, il problema del Fascismo…
Bisognerebbe considerare alcuni fatti. Il Futurismo anticipa di dieci anni il Fascismo; e anche in campo politico il Fascismo rivoluzionario del ’19 si ispirò, per il proprio Manifesto, a quello del Partito politico futurista, che risale a un anno prima. Sostanzialmente, Marinetti vedeva di buon occhio il Fascismo rivoluzionario. Quando esso fu un movimento più ampio e iniziò ad accogliere istanze più moderate avvenne la rottura (1920). Ciò fu preceduto peraltro, nel ’19, dal momento di congiunzione dei Fasci futuristi di Marinetti ai Fasci di combattimento. Rapporti più intensi si ebbero poi a partire dal momento in cui il Fascismo andò al potere. Nel 1923-24 furono inoltrate richieste al Governo sulla posizione dei futuristi nella società.
Marinetti considerava il Fascismo una realizzazione politica minima, e riteneva d’essere personalmente molto più importante di Mussolini. In diversi casi, i futuristi si sono dovuti difendere dalla destra fascista. Il Futurismo, peraltro, soffriva la scarsezza di committenze (e bisognerà attendere la Biennale del ’26 per vederli a Venezia). Il movimento ha sempre avuto il problema di difendersi. I colpi dell’estrema destra fascista erano parati da Mussolini, che era amico personale di Marinetti. Quando Marinetti si trovava in difficoltà chiedeva aiuto direttamente al capo del Governo.
Il movimento ebbe forti basi nazionaliste. Intendeva appunto esportare la via italiana al modello della modernità. Ma non fu, appunto, compreso.
Sul piano dei rapporti, i futuristi furono emarginati dall’ufficialità. L’arte premiata fu quella di Novecento della Sarfatti. Difficoltà di comprensione con il regime si manifestarono frequentemente, fino alla famosa questione del ’38, quando la destra fascista tentò l’operazione relativa alla cosiddetta “arte degenerata” (si intendeva giungere, come i tedeschi, all’individuazione e all’esclusione di quelle forme artistiche d’avanguardia non inseribili in un filone d’ordine postclassicista, ndr). I futuristi organizzarono la reazione di tutta l’avanguardia italiana. E certo, anche in quel momento, dovevano avere una grande nostalgia del Fascismo del ’19….
Il Fascismo celebrava la romanità degli italiani, il legame con un modello guerrescamente classico. Il Fascismo avanzava, guardandosi alle spalle. Come fu possibile un raccordo con un movimento totalmente iconoclasta come quello di Marinetti, un movimento antipassatista?
Le difficoltà, sì, furono notevoli.
Stile Arte, ottobre 2001
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