Ancora un’isola nel prossimo resoconto di viaggio (edizioni Nuages) di Giorgio Maria Griffa. Stavolta Sant’Elena, relegata nella memoria collettiva come dura e inospitale, luogo di detenzione dell’ultimo Napoleone.
Ma perché non altro? Anche altro, certamente, attraverso gli acquerelli di Griffa, sorprendenti emblemi di quell’arte cara agli inglesi e, insieme, “viaggio che si ricompie, descrizione del dettaglio, molti piccoli e grandi segni di colore, ciascuno investito di responsabilità informative, indelebili per quanto è in loro potere, intrisi di ricordi anche se diluiti con l’acqua”. Griffa, nato a Biella nel 1944, padroneggia varie tecniche espressive, ma predilige l’acquerello proprio perché esso “come una rotta, si muove costantemente, sente il vento, l’inclinazione della tavola, l’onda lunga o corta del pennello, le gocce, gli spruzzi…”. Metafora dunque, l’acquerello stesso, di quella incessante voglia o insistente necessità che spinge l’artista a muoversi, a riscoprire, a ritornare sui propri passi per andare in direzioni sempre diverse. Dal Labrador alla Terra del Fuoco, dall’Antartide alle savane africane o, nello scorso settembre, a Sant’Elena: isole, anche quando geograficamente non lo sono, e nemmeno fisicamente, perché la realtà (“eravamo isole quando si ruotava senza gravità nel comodo amnios?”) è fatta di frammenti e di pezzi. Pezzi da ricomporre? Forse. Comunque da conservare.
La sua opera è proprio questo: l’interminabile taccuino di un viaggiatore colto e dalle sensibilità raffinate, un John Webber piuttosto che un James Cook. “E il signor John Webber, acquerellista, che accompagnò nei suoi viaggi James Cook, ha cercato egli pure l’immortalità, anche se un tipo di immortalità di qualità inferiore a quella del capitano Cook. Non essendo un Cook ‘dentro’, personalmente guardo con ammirazione all’opera del signor Webber… Nel piccolo mondo del ‘turista che viaggia da solo’ mi sono industriato di viverci bene facendo il signor Webber di me stesso. Una strana e normale coppia: il me stesso vorrebbe starsene in studio, al sicuro, tra pigmenti, carta e pennelli, l’altro, Mr. Webber, il viaggiatore, freme in attesa di partire… Al ritorno, il ‘Webber’ esporrà le opere guadagnandosi pure qualche complimento, mentre l’altro me stesso, il giorno del vernissage, questa volta davvero vorrebbe essere altrove, anche molto lontano”. Gli acquerelli di Giorgio Maria Griffa si possono vedere in gallerie “lontane dalle correnti”: grandi formati nei quali le variate consistenze dei colori, la limpidezza delle linee che garantiscono l’assoluta fedeltà delle forme, la costante perfezione dei dettagli già evocano il piacere o, forse, l’urgenza del raccontare. Urgenza che si realizza appieno nei suoi libri, dove l’acquerello diviene narrazione anche per “supplire alle inevitabili manchevolezze del racconto scritto”. Nascono, così, nel 1995 Tierra del Fuego, nel 1999 Acquerelli di viaggio, nel 2005 I fari degli Stevenson, nel 2007 Escursione alle isole Eolie. E, prossimamente, Sant’Elena.
Giorgio Maria Griffa
Attraverso gli acquerelli di Griffa, sorprendenti emblemi di quell’arte cara agli inglesi e, insieme, “viaggio che si ricompie, descrizione del dettaglio, molti piccoli e grandi segni di colore, ciascuno investito di responsabilità informative, indelebili per quanto è in loro potere, intrisi di ricordi anche se diluiti con l’acqua”